Secondo gli insegnamenti di Kenneth Wapnick

D 1353 La gratitudine è realmente uno strumento o semplicemente un effetto?

 

D #1353: Mi interrogo in merito alla gratitudine ed alla sua utilità nel praticare Un corso in miracoli. Altri amici del Corso sostengono frequentemente che la pratica della gratitudine è loro molto utile, e  come si sentono. Io non so di cosa debba essere grato in quanto studente del Corso. Mi sento effettivamente grato quando sperimento sollievo dalla paura o dal dolore, gioia in relazione ad un altro, e quando sperimento pace. Ma questo può essere uno strumento? O è un effetto? Mi disturba quando sento persone dire che la pratica della gratitudine ha cambiato la loro intera percezione di una situazione.

 

R: La gratitudine è parte integrante della pratica del Corso. Questo è particolarmente evidente da uno studio della lezione del libro degli esercizi: “L’amore è la via che percorro con gratitudine” (L.pI.195). Lì Gesù contrasta la visione di gratitudine del mondo, che riflette la strategia dell’ego di mantenerci separati, con la visione del Corso, che riflette “l’Amore che è la Fonte di tutta la creazione” (L.pI.195.10:3).

Nel nostro sito [www.facim.org] nella voce Teaching Materials/Excerpts, abbiamo postato la trascrizione revisionata di un seminario presentato da Ken, intitolato “Our Gratitude to God” [La nostra gratitudine nei confronti di Dio]. Ti rimandiamo a quella serie per una discussione approfondita di questa importante dimensione della guarigione delle nostre menti. Come per la maggior parte dei concetti affrontati nel Corso la gratitudine viene approcciata dapprima dal punto di vista dell’ego e poi dalla prospettiva corretta della nostra mente corretta. Viene anche presa in considerazione la nostra resistenza all’essere grati.

In breve, la nostra gratitudine è triplice: 1) verso Dio perché condivide tutto Se Stesso con noi nella nostra creazione; 2) verso Gesù che è presente come un fratello che ci aiuta a ricordare Dio; 3) per tutte le circostanze e le persone della nostra vita, poiché formano l’aula scolastica in cui impariamo a svegliarci dal nostro sogno di paura.

Se fossimo onesti con noi stessi riconosceremmo in noi della resistenza alquanto forte verso questi livelli di gratitudine. Questo dovrebbe essere il caso, considerando il sistema di pensiero da cui emana la nostra esistenza individualizzata. In fondo l’ego ha detto a Dio: “Chi ha bisogno di te? Posso farcela da solo. Guardami!” Questo atteggiamento di fondo è presente nelle menti di tutti, e pertanto nella misura in cui diamo valore alla nostra indipendenza ed autonomia troveremmo ben poca giustificazione nell’essere grati a Dio per averci creato. Questo dovrebbe anche essere vero per la nostra relazione con Gesù, dato che simboleggia l’Amore di Dio per noi. Essere grati sarebbe in conflitto con il nostro bisogno inconscio di dimostrare che possiamo fare qualcosa delle nostre vite per conto nostro. Potremmo avere bisogno dell’aiuto altrui di tanto in tanto, ma l’ideale che ci viene presentato, specialmente in questo paese, è fiducia in se stessi e indipendenza. “L’ho fatto a modo mio” come proclama la popolare canzone. Tutto questo significa che prima di poter fare esperienza della vera gratitudine dobbiamo guardare l’ingratitudine che sentiamo e cosa rappresenta, il che fondamentalmente è dare valore alla separazione. Nel momento in cui riconosciamo il dolore associato a ciò, possiamo rivolgerci all’amorevole, dolce insegnante interiore che lo guarderà con noi. Scegliendo contro tutto il resto salvo quell’amore, “la nostra gratitudine spianerà la strada verso Lui e accorcerà il tempo del nostro apprendimento più di quanto [noi si] possa mai sognare” (L-pI.1:1).