Riflessioni sull’apprendimento e sull’insegnamento
di Patrizia Terreno
Le parole “imparare” ed “insegnare” hanno nel corso un significato molto diverso dall’accezione corrente del termine.
Questo è uno dei problemi maggiori che lo studente si trova a dover affrontare: studiare ed applicare il corso significa – soprattutto nella fase iniziale di discernimento- svolgere una sorta di “traduzione interna” di ciò che si legge, man mano che lo si legge, in modo da allenarsi a dare alle parole un significato diverso, se non diametralmente opposto, rispetto a quello che affiora immediatamente alla consapevolezza. Tale atteggiamento mentale, basato sull’osservazione attenta e priva di giudizio dei propri pensieri, allena lo studente alla pratica basilare del perdono, che - nel significato che il corso dà a questo termine- consiste nel percepire diversamente le relazioni in cui ci sperimentiamo coinvolti, lasciando andare completamente il giudizio ed il significato che avevamo già conferito loro precedentemente.
Quindi gli studenti fraintendono spesso il significato delle parole “imparare” ed “insegnare”, proprio come fanno con i principali termini usati nel corso, credendo che insegnare significhi svolgere un’attività specifica per non dire speciale. E- partendo da tale errore- giungono poi alla credenza distorta che il Manuale degli insegnanti sia una sorta di testo avanzato, adatto specificatamente (ma anche qui sarebbe meglio dire “specialmente”) a coloro che- superata la fase dell’apprendimento- arrivano alla fase di insegnamento, e che questa fase coincida con l’insegnare in varia forma il corso. Nulla di più sbagliato: non c’è nessuna indicazione nel corso sullo svolgere una qualsivoglia attività, mentre ci sono molte indicazioni sul fatto che lo studente debba diventare Insegnante di Dio.
Pertanto, e fraintendendo completamente il significato di tale espressione, gli studenti possono decidere di “insegnare” in vario modo il corso, per esempio cercando di imporlo a conoscenti e familiari più o meno disinteressati e riluttanti, o tentando di correggere gli errori degli altri studenti all’interno dei gruppi di studio o sui blogs, o addirittura tenendo dei corsi specifici. Così facendo pensano di essere diventati degli insegnanti di Dio, mentre invece si sono semplicemente dimenticati della loro funzione di perdono e di fatto sono diventati dei veri e propri portavoce dell’ego che -indisturbato se non rafforzato- continua a spadroneggiare imperterrito nella loro mente.
Allo scopo di chiarire tali incomprensioni e di fornire a chi lo desidera degli strumenti validi per capire che cosa intenda il corso con l’espressione “insegnante di Dio”, questo saggio esplorerà alcuni dei punti essenziali della teoria del corso relativa a tale argomento.
INSEGNARE ED IMPARARE
Proprio nell’Introduzione al Manuale degli Insegnanti troviamo la più chiara definizione del significato che il corso attribuisce ai concetti di insegnare ed imparare. Leggiamola insieme: Il ruolo dell’insegnamento e dell’apprendimento, nel modo di pensare del mondo, è di fatto rovesciato. Il rovesciamento ne è un aspetto tipico. Sembra che insegnante e studente siano separati, con l’insegnante che dà qualcosa allo studente piuttosto che a se stesso. Inoltre, l’atto di insegnare è considerato un’attività speciale nella quale si impegna soltanto una parte relativamente piccola del proprio tempo. Il corso, d’altro canto, sottolinea che insegnare è imparare cosicché insegnante e studente sono la stessa cosa. Esso sottolinea anche che l’insegnamento è un processo costante: procede in ogni momento del giorno e continua persino nei pensieri del sonno. (M.In.1)
E’ un’esposizione molto chiara: per il corso l’insegnamento non viene espletato attraverso lo svolgimento di un’attività, e quindi non implica l’impiego di una parte limitata del proprio tempo. E’ un processo costante, che avviene in continuazione, addirittura nel corso del sonno, perché la mente “non dorme mai” (T.2.VI.9:6). In sostanza tutti insegniamo tutto il tempo.
Ma allora che cosa significa “insegnare”? La spiegazione si trova nelle prime frasi del secondo paragrafo:
Insegnare è dimostrare. Ci sono solo due sistemi di pensiero, e tu dimostri in ogni momento di credere che sia vero l’uno o l’altro. Gli altri imparano dalla tua dimostrazione, e anche tu. La questione non è se tu insegnerai, poiché in questo non c’è scelta. (M.In.2:1-4)
In pratica l’insegnamento non è un’attività formale, ma si riferisce al contenuto che sottende qualunque tipo di attività formale. Come il corso ripete in continuazione, e come viene ribadito anche in queste poche righe, esistono solo due contenuti: i due sistemi di pensiero dell’ego e dello Spirito Santo, basati sulla errata credenza nella separazione o sulla correzione di tale errata credenza (definita nel corso “Espiazione”).
Non possiamo NON insegnare l’uno o l’altro dei due sistemi di pensiero -e questo non ha nulla a che fare con l’attività che svolgiamo in quel momento, qualunque essa sia (per esempio lavorare, giocare, parlare con qualcuno o addirittura dormire) - perché questa è una proprietà della mente: I pensieri cominciano nella mente di colui che pensa, e dalla mente si protraggano all’esterno (T.6.II.9:1). Questo significa che i pensieri, che cominciano all’interno del sistema di pensiero che li origina, vengono inevitabilmente applicati dentro la mente stessa a qualunque cosa la mente creda far parte del mondo esterno.
Ma la modalità con cui essi si protraggono all’esterno è diversa: lo Spirito Santo estende, mentre l’ego proietta. (T.6.II.4:3). In altri termini i pensieri che pensiamo nella mente sbagliata, e che quindi sono guidati dall’ego, sono proiezioni del nostro senso di colpa e di scarsità e si traducono in pensieri di attacco, giudizi, condanne, vendette e ritorsioni, rancori e rivendicazioni, esaltazioni idolatre e presunzioni di autonomia, illusioni di bisogni e sogni malati di completamenti speciali. Invece i pensieri che pensiamo nella mente corretta, e che quindi sono guidati dallo Spirito Santo, saranno gentili correzioni di tutti questi pensieri egoici, e saranno basati su un diverso tipo di giudizio che è totalmente scevro di condanna; saranno osservazioni gentili della propria mente con quell’atteggiamento di lievità che ne toglie il pesante investimento di separazione ed attacco; saranno estensioni della scintilla di luce presente nella nostra mente, che riflette lo splendore dei Grandi Raggi.
Per concludere: se siamo nella mente sbagliata insegniamo il sistema di pensiero dell’ego, se siamo nella mente corretta insegniamo il sistema di pensiero dell’Spirito Santo. E la mente con cui ci saremo identificati dimostrerà qual è l’insegnante interiore che abbiamo scelto di seguire, dimostrando proprio il sistema di pensiero in cui crediamo nel preciso momento in cui lo pensiamo.
E questo non ha nulla a che fare con quanto il corpo -con il quale siamo identificati- sembra fare in quel preciso momento.
Ma chi sono gli “allievi” ai quali insegniamo? Leggiamo ancora:
Si potrebbe dire che lo scopo del corso è di fornirti il mezzo per scegliere ciò che vuoi insegnare sulla base di ciò che vuoi imparare. Non puoi dare a qualcun altro, ma solo a te stesso, ed impari ciò attraverso l’insegnamento. (M.In.2:5-6)
Questo sembra contraddire quanto era espresso in una frase letta precedentemente. Gli altri imparano dalla tua dimostrazione (M.In.2:3) . La verità è che noi diamo solo a noi stessi, in quanto gli altri avranno sempre il libero arbitrio di scegliere qual è l’interpretazione da dare alla nostra dimostrazione. Proprio come facciamo noi anche loro, se sono nella mente sbagliata, seguiranno l’interpretazione basata sull’attacco fornita dal loro ego e proietteranno tale attacco su quanto noi avremo dimostrato, mentre se sono nella mente corretta seguiranno l’interpretazione amorevole dello Spirito Santo, che estenderà la sua visione amorevole sulla nostra dimostrazione. E quanto impareranno sarà determinato da quanto avranno insegnato, ossia dal contenuto –vero o falso- a cui avranno dato retta dentro la loro mente. Quindi indipendentemente da quanto diamo o non diamo agli altri, daremo sempre e comunque a noi stessi, cioè saremo gli allievi di noi stessi, perché impareremo proprio quel contenuto che- dimostrandolo- stiamo insegnando. E’ l’insegnamento che sta dietro a ciò che dici che ti insegna (M.In.3:6). In altri termini: è il contenuto che sottende le nostre parole l’insegnamento che insegniamo prima di tutto a noi stessi. Imparare ed insegnare sono una cosa sola proprio come dare e ricevere sono una cosa sola (lezione 108). Questo significa che rafforzeremo nella nostra mente il sistema di pensiero in cui in quel momento crediamo, come viene chiarito fin dai primi capitoli del Testo: I pensieri si accrescono donandoli (T.5.I.2:1).
Continuando la lettura dell’introduzione del Manuale degli Insegnanti, i concetti si chiariscono ulteriormente:
Il programma di studi che stabilisci viene quindi determinato esclusivamente da quello che pensi di essere e da quello che credi che sia la relazione degli altri nei tuoi confronti (M.In.3:1)
Questa frase aggiunge un elemento molto importante al concetto di insegnamento-apprendimento che abbiamo visto prima: il concetto del sé, ciò che crediamo di essere. Se ci sperimentiamo come un corpo (e questa è la credenza di chiunque ascolti la voce dell’ego dentro la sua mente), allora crederemo di essere in relazione con altri corpi e crederemo che le relazioni siano delle interazioni fra persone. Se invece ci sperimentiamo come il DM, l’osservatore che prende la decisione, (e questa è la correzione che viene gradualmente accettata da chiunque ascolti la Voce dello Spirito Santo dentro la propria mente), allora non crederemo più di relazionarci con altri corpi, e quindi comprenderemo che le relazioni non sono interazioni fra persone, ma processi che avvengono solo e soltanto dentro la nostra mente, là dove si trovano anche gli altri, perché la mente è una.
Non a caso nella terza sezione del Manuale degli insegnanti, in cui vengono descritte le tre principali relazioni in cui può trovarsi l’insegnante, tali relazioni vengono definite con un’espressione totalmente nuova: situazioni di insegnamento-apprendimento. Come a ribadire che in realtà noi siamo essenzialmente in relazione con i nostri processi mentali, ossia le relazioni che abbiamo con gli altri sono semplicemente delle opportunità per guardare i pensieri che pensiamo e che rafforziamo dentro la nostra mente (cioè impariamo) man mano che li dimostriamo attraverso la proiezione dell’ego o l’estensione dello Spirito Santo (cioè man mano che li insegniamo).
Rafforzando tali pensieri rafforzeremo anche il nostro concetto del sé, ossia la credenza di essere l’eroe del sogno o il sognatore del sogno, un corpo o una mente, una persona che agisce nel mondo o un osservatore che osserva i pensieri: “L’insegnamento non fa che rafforzare ciò che credi riguardo a te stesso” (M.In.3:7).
Ed i nostri “allievi” non sono altro che gli altri personaggi di quello stesso sogno che il nostro corpo sta “vivendo” in quel preciso momento, che ci offrono l’opportunità di compiere nella nostra mente il processo del perdono che ci permetterà di imparare a risvegliarci gradualmente dal sogno.
Concludo questa breve esposizione con alcune righe tratte dal commento di Kenneth Wapnick all’Introduzione del Manuale per gli insegnanti. (Wapnick, Journey through the Manual of ACIM, pag 4)
Prima di imbarcarci nel nostro viaggio attraverso il manuale, c’è un punto finale che speriamo aiuti gli studenti ad evitare una comune trappola dell’ego. Ricordate che una delle varianti importanti del nostro tema di interessi condivisi è forma e contenuto. La forma divide e separa come, ad esempio, vediamo nei corpi, che chiaramente demarcano dove un sé finisce e ne inizia un altro. Ecco perché Gesù afferma nel testo “Nulla è così accecante come la percezione della forma” (T-22.III.6:7). La forma ci rende ciechi alla verità che siamo uno. Di nuovo non c’è bisogno che comprendiamo il vero contenuto dell’Unità – “l’Unità unita come Una cosa sola” – ma possiamo comprendere il riflesso di quella Unità: siamo la stessa cosa perché siamo sullo stesso viaggio. Condividiamo lo stesso sistema di pensiero dell’ego: odio, crudeltà, colpa, sofferenza, dolore, specialezza e morte; condividiamo la stessa correzione nella nostra mente corretta: perdono, guarigione e pace; e condividiamo la stessa capacità della mente di scegliere tra il sistema di pensiero della mente sbagliata dell’ego e quello della mente corretta dello Spirito Santo. In altre parole abbiamo la stessa mente separata e lo stesso bisogno: risvegliarci dal sogno di morte alla vita eterna che non abbiamo mai perduto. La forma ci confonde riguardo questo risveglio perché ci mantiene nel sogno di separazione. Quindi, quando Gesù parla di insegnanti ed insegnamento, egli non parla della forma – un corpo che insegna ad un altro, sia che si tratti di aritmetica, storia, scienze o Un corso in miracoli. Nell’introduzione al manuale egli discute in maniera specifica che insegnare significa dimostrare e in un bellissimo passaggio del testo afferma:
Non insegnare che sono morto invano. Insegna piuttosto che non sono morto dimostrando che vivo in te (T-11.VI.7:3-4).
Così, l’insegnamento di cui parla Gesù non riguarda il parlare ad un gruppo, per esempio, ma di un insegnamento che avviene tramite la dimostrazione.
Tutto quanto detto fin qui non significa che uno studente del corso non possa sentire il desiderio di insegnare il corso stesso, facilitando la comprensione degli altri studenti. Come ho scritto all’inizio non c’è nessuna indicazione, in tutto il corso, che si riferisca al comportamento del corpo, perché il corso non è scritto a noi in quanto persone, ma al DM, ossia alla mente che osserva e decide quale voce vuole ascoltare. Quindi nel corso non vengono date indicazioni né su come comportarsi né su come non comportarsi. Tuttavia, come risulta chiaramente dall’introduzione al Manuale che abbiamo letto in parte, il fatto che uno studente cerchi di spiegare il corso a qualcun altro, o addirittura svolga formalmente la professione di insegnante del corso, NON significa affatto che insegni (cioè dimostri) il contenuto del corso, ossia sia un autentico insegnante di Dio.
Se, infatti, mentre espone la teoria del corso ascolta la voce dell’ego nella propria mente, insegnerà l’ego, ossia dimostrerà l’esatto contrario di quanto starà magari dicendo a parole.
Ma a questo punto emerge una nuova domanda: chi è l’insegnante di Dio? Vediamo ora di cercare di comprendere che cosa dice il corso a questo proposito.
L’INSEGNANTE DI DIO
L’insegnante di Dio viene definito in parecchi modi nel Manuale degli Insegnanti che a lui è dedicato. Questa è la prima delle varie definizioni: Un insegnante di Dio è chiunque scelga di esserlo. I suoi requisiti consistono unicamente in questo: in qualche modo, da qualche parte, egli ha fatto una scelta deliberata in cui non ha visto i propri interessi separati da quelli di qualcun altro. Una volta che ha fatto ciò, la sua strada è stabilita e la sua direzione è certa. Una luce è entrata nell’oscurità. Può trattarsi di una luce sola, ma è sufficiente. Ha fatto un accordo con Dio anche se non crede ancora in Lui. E’ diventato un portatore di salvezza. E’ diventato un insegnante di Dio (M.1.1)
L’insegnante di Dio è lo studente che ha percepito almeno una volta la totale, assoluta uguaglianza con un fratello, ossia il fatto di avere il medesimo scopo ed i medesimi interessi di tornare a Casa che ha lui. Questo è il significato della prima frase che abbiamo letto nel paragrafo precedente. La scelta ancora una volta non è formale, non consiste nel dire a sé stessi “voglio essere un insegnante di Dio” perché le parole sono solo simboli di simboli (M. 21.1:9), e quindi potrebbero simboleggiare uno scopo egoico. Questo studente ha semplicemente iniziato il lungo cammino di disfacimento del proprio ego, avendo accettato di ascoltare almeno una volta la correzione dello Spirito Santo, e quindi avendoGli permesso di estendere la pace nella propria mente. L’espressione non definisce pertanto chi ha ultimato il percorso di apprendimento o addirittura chi è entrato nel Mondo Reale; non definisce chi ha compreso alla perfezione la teoria del corso, né tantomeno chi è in grado di applicarla costantemente a tutte le situazioni della sua vita; e- come abbiamo visto prima in dettaglio- non definisce affatto chi insegna formalmente il corso.
Come abbiamo visto nell’introduzione al Manuale, tutti insegniamo tutto il tempo, perché – che ci piaccia o no- dimostriamo l’uno o l’altro contenuto (ce ne sono solo due) che si trova dentro la nostra mente e in cui crediamo in quel momento: o il sistema di pensiero dell’ego, che viene proiettato dal nostro ego sulle situazioni della nostra vita, o il sistema correttivo dello Spirito Santo che estende alle medesime situazioni della nostra vita la luce, la forza e la pace che già si trovano –spesso non riconosciute- all’interno di noi. Dunque diveniamo tutti insegnanti di Dio nel momento in cui sperimentiamo l’Istante Santo e mettiamo in discussione l’arroganza dell’ego, vedendo che condividiamo gli stessi interessi degli altri, ossia siamo tutti uniti nello scopo di tornare a Casa. Ma ridiventiamo tutti insegnanti dell’ego nel momento in cui ritorniamo ad abbracciare il suo sistema di pensiero e ispirati dall’ego ricominciamo a proiettare colpa sugli altri e a predare la loro specialezza.
Lo studente del corso sperimenta degli alti livelli di fluttuazione tra le due menti. L’investimento alternato fra i due livelli di percezione viene usualmente sperimentato come un conflitto, che può diventare molto acuto (T.2.III.3:9), e quindi- a causa delle forti interferenze opposte dal suo ego- può cadere nelle molte trappole che l’ego gli tende man mano che avanza nel suo percorso. Nei termini messi in luce in questo articolo, alternerà costantemente i due livelli di percezione, divenendo alternativamente insegnante di Dio ed insegnante dell’ego, a seconda della voce o della Voce che sceglie di ascoltare. E se il corso ci conforta dicendoci che la riuscita è certa così come lo è Dio (T.2.III.3:10), in più punti ci mette in guardia dal credere che il percorso sia rapido e facile (per esempio, in M.4.1.A.7:7-9).
L’espressione “insegnante di Dio” non definisce dunque una qualifica stabilmente raggiunta, ma un percorso che si è liberamente scelto di seguire. E’ un percorso graduale fatto di piccoli passi tutti uguali nel contenuto, che ci portano dalla fase iniziale, descritta in M.1.1, alla fase avanzata, in cui l’insegnante ha accettato pienamente tutte le caratteristiche che vengono elencate nel IV brano del Manuale degli insegnanti: la fiducia, l’onestà, la tolleranza, la dolcezza, la gioia, l’assenza di difese, la generosità, la pazienza, la fedeltà e l’apertura mentale. Tra queste due fasi si dipana tutto il percorso di disfacimento del proprio ego, definito qui lo sviluppo della fiducia. E’ una fiducia che l’insegnante impara a rafforzare dentro di sé man mano che la insegna, ossia la dimostra, attraverso le apparenti relazioni della propria vita.
LA SCALA DEGLI INSEGNANTI- ALLIEVI
In più punti, nel corso, la strada di ritorno a Casa viene descritta attraverso il simbolo della salita di una scala. Così, in T.18.V.2:7 ci viene detto che attraverso lo Spirito Santo costruiremo una scala, piantata nella solida roccia della fede, che sale fino al Cielo. E nel capitolo 28 il simbolo viene ripreso per dirci …E così la mente è libera di fare un’altra scelta. Cominciando da qui, la salvezza procederà a cambiare il corso di ogni gradino nella discesa verso la separazione, finché tutti i gradini saranno ripercorsi, la scala scomparsa e tutto il sognare del mondo disfatto (T.28.II.12:6-7), e ancora: …hai appena cominciato a permettere i tuoi primi passi incerti di essere diretti a risalire la scala che la separazione ti ha condotto a scendere (T.28.III.1:2.).
Per non parlare del supplemento Il canto della preghiera, in cui proprio la preghiera viene descritta nei termini di una scala che ci porta direttamente in Cielo. (CdP.1.II)
Utilizzando il medesimo simbolo possiamo dunque dire che in ogni istante ogni insegnante di Dio si trova ad un qualche punto della scala di ritorno a Casa. Una scala che inizia con la propria decisione di essere un insegnante di Dio principiante, ossia con la dimostrazione di aver accettato almeno una volta la presenza della correzione dello Spirito Santo dentro la proprio mente, e si conclude quando il processo di generalizzazione del perdono è stato completato e non è rimasto più nulla da perdonare. A questo punto l’ego è totalmente svanito, l’insegnante – che era già diventato un insegnante avanzato - entra nel Mondo Reale, ed accede ad una condizione totalmente diversa, divenendo insegnante degli insegnanti. E’ questo l’ambito traguardo nel quale non si è altro se non la manifestazione dello Spirito Santo, ossia la manifestazione di quello che nel corso è l’Insegnante per definizione. (C.6.5)
A seconda del punto della scala in cui si troverà, lo studente avrà una comprensione diversa della teoria del corso, dovuta alla maggiore o minore interferenza dell’ego, ossia alle maggiori o minori resistenze che sperimenterà nell’accogliere la correzione dello Spirito Santo.
E, a seconda del punto della scala in cui si troverà, lo studente insegnerà in base alla comprensione raggiunta, che potrà ovviamente essere alquanto limitata. Se avrà deciso di insegnare formalmente il corso, non potrà che farlo in base alla comprensione più o meno parziale che avrà raggiunto in quel momento. Inoltre, man mano che prosegue il suo viaggio la sua comprensione potrà essere gravemente distorta dai frequenti attacchi dell’ego, perché –tra le molte trappole che l’ego gli tende- ci sarà anche l’attaccare la teoria del corso. E quindi, a causa dell’investimento alternato nei due livelli di percezione visto prima, questa comprensione del corso potrà divenire estremamente fluttuante. Anche qualcosa che era stato compreso correttamente un minuto prima potrà essere rapidamente tramutato dall’ego nel suo esatto opposto, perché l’ego attaccherà le tue motivazioni non appena esse saranno chiaramente in disaccordo con la sua percezione di te. Questo è il momento in cui cambierà improvvisamente dalla diffidenza alla malvagità, dato che la sua incertezza sarà aumentata (T.9.VII.4:6-7), e ancora Abbiamo detto prima che l’ego vacilla tra l’essere sospettoso e l’essere malvagio. Rimane sospettoso finché disperi di te stesso. Cambia in malvagità quando decidi di non tollerare l’umiliazione che tu stesso ti infliggi e cerchi sollievo. Allora ti offre l’illusione dell’attacco come soluzione (T.9.VIII.2:7-10).
Nel momento in cui l’ego catturerà nuovamente la nostra mente (secondo la magnifica espressione che si trova nella prefazione), saremo nuovamente intrappolati nel sogno, e le profonde verità del testo diventeranno incomprensibili. Allora l’insegnante di Dio cadrà facilmente nella trappola dell’ego, distorcendo le parole del testo per farle aderire allo scopo di predazione e proiezione dell’ego, ed il messaggio di luce del corso, filtrato dagli specchi deformanti dell’ego, verrà trasformato dallo studente- ora ridivenuto insegnante dell’ego- in un messaggio di attacco e condanna.
La trappola diverrà a questo punto particolarmente sottile, perché – come Ken ha detto molte volte- a questo punto l’ego comincerà a fare il corso con noi. Ogniqualvolta la paura si insinua in qualunque punto lungo il cammino verso la pace, è perché l’ego ha tentato di unirsi a noi nel viaggio...(T.8.V.5:5). Questo sarà il momento in cui lo studente, che può essere anche arrivato al punto di conoscere a memoria alcune delle parole del libro, potrà distorcerne completamente il contenuto, adattandolo agli obiettivi dell’ego. E questo potrà apparirgli come molto “spirituale”, molto “illuminato”, e molto “santo”.
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Cerchiamo ora di riassumere quanto detto fin qui:
Abbiamo visto che la definizione di “insegnante di Dio” non ha nulla a che fare con l’insegnare il corso, perché la forma evidenziata dal corpo non ha nulla a che fare con il contenuto dimostrato dalla mente (ossia con la voce o la Voce a cui si dà retta dentro la propria mente).
Questo significa che non è affatto necessario insegnare il corso per diventare insegnante di Dio: credere di doverlo fare significa confondere forma con contenuto. E significa anche che il fatto di insegnare formalmente il corso non implica affatto che se ne stia insegnando il contenuto e che si sia insegnanti di Dio.
Abbiamo anche visto che ogni studente del corso si trova ad un punto diverso del proprio percorso di apprendimento, e non potrà non insegnarlo, perché non potrà fare a meno di dimostrarlo. Insegnandolo lo imparerà, cioè lo rafforzerà maggiormente dentro la propria mente. E se questo studente ha deciso di insegnare formalmente il corso, non potrà che insegnare in base alla comprensione parziale che ha raggiunto in quel momento.
Ma a questo punto cosa vuol dire insegnare il corso? Cercherò di affrontare adesso questo aspetto.
INSEGNARE IL CORSO
Dato che il corso non dice assolutamente nulla a proposito del comportamento, non possiamo trovarvi alcuna indicazione relativa all’insegnare il corso. Tutte le linee guida di gestione della mente sono quindi assolutamente identiche a quelle di qualunque altro studente, indipendentemente dalla attività che svolge all’interno del sogno. L’insegnante del corso non è speciale, non è diverso da qualunque altro studente. Solo la forma in cui impara potrebbe essere diversa da quella di un altro studente (per esempio dalla forma di un commerciante o un avvocato), ma la forma è irrilevante.
Nel capitolo 17 del Testo c’è una sezione che chiarisce l’importanza dello scopo che noi attribuiamo nella nostra mente alle cose che scegliamo di fare. E viene detto molto chiaramente che la chiarificazione dell’obiettivo appartiene all’inizio, perché è questo che determinerà il risultato (T.17.VI.2:3). Quindi in ogni situazione la prima domanda da porsi è semplicemente Che cosa voglio ottenere da questa cosa? Qual è il suo scopo?(T.17.VI.2:1-2)
Questa è dunque anche la prima domanda che uno studente che aspira a divenire insegnante del corso si dovrebbe porre. Ed il porsela implica un profondo processo di osservazione dei propri pensieri, per individuare le moltissime forme che lo scopo dell’ego assumerà dentro la sua mente. L’ego è estremamente ingannevole e si maschererà in molti modi, arrivando persino ad uno dei suoi trabocchetti preferiti: travestirsi da Spirito Santo. Se l’obiettivo dell’ego non viene portato alla luce e smascherato, più e più volte, attraverso un lungo e costante processo di osservazione e perdono, l’aspirante insegnante del corso non farà altro che dare spazio al proprio ego, e nella sua mente trasformerà il corso in una strada di rafforzamento della specialezza, instaurando una relazione speciale con il corso, con lo Spirito Santo e con Gesù. Il risultato che raggiungerà sarà quindi quello di insegnare esattamente il contrario di quello che il corso insegna. Ed insegnandolo lo rafforzerà dentro la sua mente, e quindi si autoconvincerà sempre di più di essere nel giusto ed avere ragione.
Lo studente che decide di insegnare il corso dovrebbe ricordarsi prima di tutto che il vero Insegnante del corso è lo Spirito Santo, e quindi dovrebbe imparare a non interferire con la teoria del corso e con le lezioni che il corso stesso propone, che traducono in un linguaggio più vicino a noi il Suo insegnamento squisitamente astratto. C’è già un Insegnante, ed è lo Spirito Santo. C’è già un modello, ed è Gesù. (T.6.IV.9:4-6).
Il tentativo di sostituirsi allo Spirito Santo assumerà molte forme, che andranno dal sostituire al corso una propria versione speciale del corso, all’integrarne le lezioni con altri esercizi che lo studente avrà elaborato autonomamente nell’errata convinzione di “migliorarle”; dal proporre una sintesi delle lezioni a cui darà un’importanza speciale al mischiare il corso con altre strade, usandole per spiegare i passaggi del corso che gli risulteranno troppo difficili da comprendere. Tutti errori che ricadono in quella che Kenneth ha definito specialezza spirituale.
Quindi è assolutamente possibile (anzi, a dire la verità è piuttosto frequente) che – spinto dall’ego- lo studente insegni il corso proprio per rafforzare la propria specialezza, arrivando praticamente a dimostrare l’esatto contrario di quelli che sono i principi basilari del corso stesso. A questo punto, invece di imparare a divenire una manifestazione di quelle caratteristiche che ho citato in precedenza e che sono elencate nella IV sezione del Manuale degli insegnanti, lo studente/insegnante dimostrerà ed imparerà a rafforzare in sé le tipiche manifestazioni dell’ego: per esempio l’arroganza, il senso di superiorità, l’identificazione con il corpo ed il problema d’autorità, la falsa empatia e la propria relazione speciale con il corso stesso (oltre che con gli altri studenti del corso), il bisogno di avere ragione e in generale la resistenza a comprendere ed accettare un sistema di pensiero che mette radicalmente in discussione il proprio ego.
Lo studente che insegna il corso non può dunque fare altro se non facilitarne la comprensione interferendo il meno possibile, fermo restando il fatto che la faciliterà alla luce di quanto lui stesso avrà compreso. E’ proprio la costante consapevolezza dei suoi limiti quanto gli permetterà di proseguire più speditamente, disfando tutta l’arroganza dell’ego che strada facendo cercherà di insinuargli nella mente un mucchio di sciocchezze riguardo alla specialezza del ruolo che ha scelto di svolgere all’interno del sogno.
Purtroppo potrebbe anche darsi che si verifichi un’altra condizione, ossia che chi insegna il corso sia convinto di conoscerne bene la teoria, mentre la conosce solo in parte, e basi la propria convinzione sulla propria interpretazione soggettiva del libro, nell’errata convinzione che il corso sia interpretabile. E a volte potrebbe addirittura sostenere di insegnare una versione o una variante del corso che gli viene “direttamente suggerita dallo Spirito Santo dentro la sua mente”. In questi ed altri casi sta chiaramente seguendo la guida dell’ego dentro la propria mente.
La genesi di queste distorsioni si trova nei limiti alla comprensione del messaggio del corso che ho cercato di evidenziare in precedenza, dovuti alle interferenze dell’ego e alle resistenze che lo studente sperimenta man mano che procede.
Cercherò di fare qualche esempio: Una delle forme più tipiche assunte dal problema d’autorità in relazione al corso è quella di credere che il corso sia interpretabile soggettivamente. Questo errore deriva direttamente dalla prima legge del caos, ossia dalla credenza che la verità sia diversa per ognuno di noi, e che noi – proprio come ci sembra che sia accaduto al momento della “minuscola folle idea” - possiamo contrapporre la nostra volontà alla Volontà di Dio. La prima legge del caos è che la verità è differente per ciascuno. Come tutti questi principi, questo sostiene che ognuno è separato e ha un differente sistema di pensiero che lo taglia fuori dagli altri (T.23.II.2:1-2).
Così, lo studente/insegnante che vuole più o meno inconsciamente affermare la propria “verità” ed autonomia può sostenere la validità della propria percezione soggettiva, dicendo di aver compreso il corso “a modo suo” e quindi di “sentire” di doverlo adattare, spiegandolo in un qualche modo speciale che si adatta meglio al suo modo di essere o alle sue doti particolari, alle sue peculiari vicende di vita o a qualche esperienza spirituale che ha vissuto nel corso della sua vita. Non ha semplicemente compreso che l’insegnamento del corso riflette l’unicità della Creazione insegnando una sola cosa, l’Espiazione, e che l’unico compito dello studente è proprio questo: accettare l’Espiazione per sé stesso accettando la sostanziale identicità di tutto il molteplice e comprendendo che non c’è gerarchia di illusioni. (T.2.V.5:1). Il fatto che il corso venga compreso in modo diverso nelle varie fasi del proprio avanzamento spirituale dipende dal fatto che nel corso del tempo gli studenti si trovano su punti diversi della scala, e non dal fatto che il corso sia in sé passibile di interpretazioni diverse.
In altri casi lo studente non conosce affatto il corso e a volte non lo sta nemmeno studiando, ma ha fatto altre esperienze spirituali. A questo punto si imbatte nel corso e trova delle risposte o delle conferme alle sue esperienze. Questo gli fa credere di aver compreso tutto il profondo messaggio del corso e di poterlo insegnare alla luce delle sue esperienze. In questo caso non solo confonde forma con contenuto, ossia la sostanziale identicità di contenuto di tutte le strade spirituali autentiche con la loro ineluttabile differenza di forma, ma – non avendola studiata né sperimentata- trascura completamente la specifica ed unica forma che il corso adotta per disfare l’ego. Non stai facendo uso di questo corso se insisti ad usare mezzi che sono serviti bene ad altri, trascurando ciò che è stato fatto per te. (T.18.VII.6:4)
Un altro errore tipico è il bisogno di correggere gli errori degli altri studenti. Nonostante il corso ci metta costantemente in guardia da tale errore, (L’attenzione dell’ego per gli errori degli altri ego non è il genere di attenzione che lo Spirito Santo vuole che tu mantenga. - T.9.III.1:1) esso sembra esercitare un enorme fascino su tutti noi, per la semplice ragione che il tentativo di correggere gli errori degli altri ci esenta dal duro lavoro di guardare gli stessi identici errori dentro la nostra mente. In base alla mia esperienza questo errore è particolarmente frequente all’interno dei gruppi di studio, e può giungere fino al punto di trasformarli in veri e propri campi di battaglia. I gruppi di studio possono essere utili perché facilitano lo studio individuale, ma implicano la capacità di mantenere l’attenzione focalizzata su quanto avviene dentro la propria mente e non su quanto un compagno di classe fa o dice. Per raggiungere questo livello elementare di osservazione dei propri pensieri a volte ci vuole molto lavoro.
Ecco perché il vero lavoro che lo studente del corso deve svolgere è squisitamente individuale.
Come ha scritto Kenneth in The Message of A Course in Miracles: Il processo centrale inerente lo studio del Corso ed il seguire il suo particolare percorso spirituale è individuale. Non si può sfuggire al duro lavoro e alla dedizione implicita nello studiare e ristudiare individualmente il testo, così come nel fare gli esercizi del libro degli esercizi nel programma formativo di un anno che è parte integrante del processo educativo del Corso. Troppo spesso l’unirsi ad un gruppo o ad una classe può sottilmente interferire con la responsabilità dello studente, sostituendo il contenuto dell’unirsi allo Spirito Santonella propria mente con la forma dell’unirsi ad un gruppo.
L’errore forse più diffuso fra gli studenti/insegnanti è il non riuscire a comprendere che il corso è un sistema non dualistico, espresso con un linguaggio dualistico. Così un insegnante/allievo potrà illustrarne la teoria, o addirittura cercare di spiegare l’affascinante sintesi metafisica compiuta da Ken nei suoi scritti, senza averla realmente compresa, magari addirittura ripetendola fedelmente parola per parola, ma tradendone completamente il contenuto, perché la userà allo scopo di sostenere l’illusione (e quindi di rafforzare il mondo dualistico), invece che allo scopo di disfarla. Oppure ripeterà a memoria i cosiddetti “tre passi del perdono”, descritti nella lezione 23 e brillantemente illustrati da Ken, fraintendendoli clamorosamente fino al punto di cadere in quella trappola dell’ego che il corso chiama “magia”.
Da questo errore di base deriva l’errore di prendere alla lettera molte espressioni del corso, non comprendendo che sono semplicemente usate in modo simbolico per descrivere un’esperienza. Così – confondendo ancora una volta la forma con il contenuto- l’insegnante/allievo potrebbe credere che “ascoltare la Voce dello Spirito Santo” significhi sentire fisicamente delle parole dentro la propria mente o, o che “offrire allo Spirito Santo” significhi dare allo Spirito Santo i nostri problemi specifici, perché sia Lui a risolverli magicamente per noi. Crederà altresì che le domande della lezione 71 vadano prese alla lettera, invece di essere simboli di una diversa esperienza di fiducia che dobbiamo imparare a sviluppare nelle fasi iniziali del nostro percorso. Questo è un altro errore molto diffuso: non comprendere i due livelli di linguaggio del corso.
In conclusione, non solo ogni insegnante/allievo si trova su un qualche punto della scala di ritorno a Casa, ma tenderà a cadere continuamente dalla scala tutte le volte che darà retta all’ego dentro la sua mente. E quando lo farà fraintenderà completamente la teoria del corso, credendo magari di seguirla ed applicarla alla lettera. Oppure comincerà a modificarla a modo suo, magari mescolando il corso ad altre strade, nell’errata convinzione di migliorarlo, ma riuscendo solo ad usare una delle due strade per interferire con l’altra. Perché ogni strada autentica arriva ad un qualche punto cruciale in cui l’ego deve essere messo seriamente in discussione, e questo punto cruciale può fare molta paura. Il seguire più di una strada è quindi un modo eccellente per evitare di arrivare a quel punto cruciale.
Kenneth Wapnick ha scritto un intero volume dedicato a tali errori, purtroppo piuttosto frequenti fra gli studenti del corso, e lo ha intitolato: Few choose to listen (Pochi scelgono di ascoltare), citando una frase del corso stesso (T.3.IV.7:12). Sul nostro sito abbiamo già pubblicato un breve estratto del libro. Vedi http://www.ucim.it/index.php/materiale-di-studio/estratti-da-libri/945-da-the-messagge-of-a-course-in-miracle
Fra i progetti dell’Associazione c’è quello di tradurre tutto il libro al più presto.
CONTROLLARE E/O COORDINARE GLI INSEGNANTI DEL CORSO
Considerando tutte le cose scritte fin qui, mi viene spesso domandato perché la nostra Associazione non controlli o quanto meno non coordini il lavoro degli insegnanti del corso italiani. In fin dei conti, mi viene detto, noi siamo stati a lungo in supervisione con Kenneth Wapnick, quasi universalmente considerato come il più avanzato insegnante del corso apparso nel sogno ai nostri giorni, e quindi abbiamo o dovremmo avere tutti gli strumenti per comprendere se un insegnante è in grado di insegnare il corso o meno, e dovremmo di conseguenza “impedirgli di fare dei danni”.
La mia risposta è sempre stata che non abbiamo alcun diritto di farlo. Prima di tutto nemmeno Kenneth e la sua Foundation hanno mai svolto alcuna azione di controllo e coordinamento: seguire il suo insegnamento significa – tra le altre cose- allinearci alla sua visione da noi pienamente condivisa.
Tuttavia ci sono alcuni punti che vale la pena di considerare ulteriormente, a sostegno della nostra comune posizione.
In primo luogo, se il corso stesso non dà alcuna indicazione relativa al comportamento, chi siamo noi per farlo? Chi siamo noi per ostacolare o meno le scelte esercitate liberamente da uno studente? Se uno studente decide di portare avanti il proprio apprendimento attraverso la forma dell’insegnamento del corso, non sta a noi mettergli i bastoni fra le ruote. Se lo facessimo cadremmo proprio nell’errore di confondere i livelli, ossia di dare importanza alla forma, come se farlo facesse la differenza.
Ciò non significa, naturalmente, che tale studente/insegnante non possa prendere delle grandi cantonate.
Io per prima l’ho fatto ripetutamente, e la decisione non solo di studiare con Ken alla sua Foundation, ma soprattutto di entrare in supervisione con lui dal 2007 al 2013, è venuta proprio da questa consapevolezza, dal rendermi conto delle innumerevoli trappole in cui cadevo. Perché l’ego è ingannevole, tortuoso, scivoloso, eesperto solo in confusione (T.8.II.1:6)
Dunque è facile che lo studente vada decisamente fuori strada. E a dire la verità mi è capitato spesso di vedere degli studenti che cercavano di spiegare il corso in modo assolutamente errato, o che addirittura cercavano di spiegare l’insegnamento di Ken senza averlo affatto compreso. E più di ogni altra cosa mi è capitato di vedere gli studenti insegnare il corso mischiandolo a varie pratiche di crescita personale, a varie scuole psicologiche, alle teorie sistemiche, alle tecniche della New Age, ad altri percorsi spirituali e/o religiosi, (a volte inserendo vari esercizi che nel corso non compaiono, quali visualizzazioni, mantra, varie forme di meditazione, tecniche energetiche, preghiere, tecniche regressive, procedimenti analitici, e quant’altro) non avendo affatto compreso che il corso offre un sistema di studio autosufficiente e completo, composto da una parte teorica basata su una profonda ed impegnativa teoria non dualistica e una serie completa di esercizi pratici che sono basati su tale specifica teoria non dualistica e permettono di applicarla alla propria vita quotidiana nonostante le resistenze e le paure.
Non rendendosi quindi conto del fatto che tali tentativi sono originati dall’ego, terrorizzato di vedere scardinare le proprie basi, e dimentichi del fatto che Imparare questo corso richiede che tu sia disposto a mettere in dubbio ogni valore che hai (T.24.In.2:1) tali studenti arrivano a sostenere che “in fin dei conti il corso dice la stessa cosa di…”, o “quel brano di…. serve benissimo a spiegare questa frase del corso”, o “questa frase del corso serve a spiegare il pensiero di….” Data la assoluta straordinarietà e coerenza del sistema di pensiero offerto dal corso, inoltre, molti studenti – per non parlare di molti leaders più o meno affermati- lo citano a sproposito, estrapolando le frasi del corso dal loro contesto, per sostenere le proprie teorie ed i propri punti di vista, e facendo dire al corso quello che il corso non dice affatto. Anche in Italia sono stati pubblicati alcuni libri nei quali traspare questo errore.
Ma a che cosa servirebbe un eventuale controllo? Se diamo retta al corso, qualunque forma di controllo, essendo basata su un intento difensivo, non può che determinare o rafforzare il problema, perché le difese fanno ciò da cui vogliono difendere (T.17.IV.7:1). La nostra Associazione non ha nessuna intenzione di ripetere i molteplici errori compiuti nella storia dell’umanità, in cui le varie correnti di pensiero sono divenute l’occasione offerta all’ego per perpetuare l’attacco attraverso la promulgazione di norme, leggi, vincoli e obblighi, che hanno favorito fra i vari pensatori la nascita di correnti, divisioni, scissioni e infine vere e proprie guerre.
Ma c’è altro da aggiungere: come Kenneth ha ripetuto spesso, anche l’insegnante/allievo più principiante, incapace di cogliere le profondità della visione non dualistica o i due livelli di scrittura del corso, potrà accedere almeno ai primissimi passi del percorso, ossia accettare almeno di mettere parzialmente in discussione la propria percezione. In tal caso quindi lo dimostrerà. Inevitabilmente. E questo può rappresentare un ottimo inizio per un suo allievo che ancora è convinto dell’oggettività delle sue percezioni. In fin dei conti l’allievo che incontrerà quell’insegnante potrebbe aver bisogno esattamente di quell’insegnamento, ed un’esposizione più astratta potrebbe spaventarlo troppo, spingendolo ad allontanarsi dal corso stesso. Non dobbiamo dimenticare che proprio il corso è scritto a molti livelli (riconducibili essenzialmente a due), per facilitare la comprensione dei vari studenti che- trovandosi su punti diversi della scala di ritorno a Casa- si apriranno solo alla comprensione di quanto non li spaventa eccessivamente. Molto frequentemente, infatti, gli studenti riferiscono di rileggere frasi già lette, frasi che apparentemente avevano già pienamente compreso, e scoprono di accedere ad un livello maggiore di profondità e comprensione. E riferiscono che questa esperienza può essere fatta anche molte volte, leggendo e rileggendo una stessa frase nel corso degli anni. Dunque l’allievo non potrà che rivolgersi esattamente all’insegnante che meglio si adatta al suo livello di apprendimento. In caso contrario, e cioè se l’allievo scoprirà di aver bisogno di un insegnamento più o meno avanzato, cercherà un altro insegnante, e se è pronto ad incontrarlo lo incontrerà.
Mi è capitato molte volte di vedere studenti insoddisfatti cercare, e trovare, un livello di insegnamento maggiormente rispondente alle loro esigenze. Come dice il Manuale: A ciascuno degli insegnanti di Dio sono stati assegnati certi allievi ed essi cominceranno a cercarlo non appena egli avrà risposto al Richiamo. Essi sono stati scelti per lui perché la forma del programma di studi universale che egli insegnerà è la migliore per loro alla luce del loro livello di comprensione. (M.2.1:1-2) Come nessuno di noi ha il diritto di interferire con il libero arbitrio di un insegnante, così non ha il diritto di interferire con il libero arbitrio di uno studente.
Ma ricordiamo ancora un altro punto già trattato in precedenza: la differenza fra insegnante ed allievo è puramente illusoria. Ognuno insegna unicamente a sé stesso. In altri termini è impossibile che – per quanto riguarda l’insegnamento di Un Corso in Miracoli - un insegnante/allievo possa fare veramente dei danni ad un altro insegnante/allievo. Se è assolutamente fuori discussione che all’interno del sogno un corpo possa danneggiare un altro corpo (per esempio un crimine rimarrà sempre un crimine, in base alle leggi del mondo), e' impossibile che uno studente /insegnante possa veramente danneggiare un altro studente/insegnante. Quanto ognuno insegnerà con la sua dimostrazione servirà solo a rafforzare il suo sistema di pensiero. Si potrebbe dire che lo scopo del corso è di fornirti il mezzo per scegliere ciò che vuoi insegnare sulla base di ciò che vuoi imparare. Non puoi dare a qualcun altro, ma solo a te stesso, ed impari ciò attraverso l’insegnamento. (M.In.2:5-6)
Ogni allievo ha un suo schema di riferimento interiore: ha una capacità decisionale autonoma, il suo libero arbitrio; ha nella mente un suo Insegnante, lo Spirito Santo, ed un modello di riferimento, Gesù; ha sempre la possibilità di riferirsi al corso, che in fin dei conti è una via di autoapprendimento. Ed è perfettamente in grado di rendersi conto delle eventuali distorsioni o limitazioni che gli vengono proposte e che interferiscono con il livello di comprensione che ha raggiunto in quel momento.
E da ultimo giova ricordare sempre che la nostra funzione è quella di perdonare, non quella di giudicare.
In altri termini, che strumenti abbiamo realmente per giudicare le motivazioni di chi sta insegnando il Corso? L’analisi delle motivazioni dell’ego è molto complicata, molto oscura e non avviene mai senza che il tuo ego ne sia coinvolto (T.12.I.2:1). Che elementi abbiamo per comprendere realmente a che punto della scala si trova uno studente? Il corso ci invita a non incaricarcene, poiché non siamo in grado di distinguere fra avanzamento e arretramento (T.18.V.1:5).
Noi non siamo nella mente degli altri. Possiamo solo vedere gli effetti delle loro scelte, ossia la forma. E nulla è così accecante come la percezione della forma (T.22.III.6:7). Non possiamo giudicare le loro motivazioni, non possiamo giudicare le loro scelte, né comprendere se essi stanno realmente svolgendo la loro vera funzione, che è quella di imparare le proprie lezioni di perdono. Perché non vediamo il contenuto della mente degli altri, solo la forma esterna.
In sintesi, un insegnante del corso che va temporaneamente fuori strada e –guidato dalla paura- inciampa nelle trappole che il suo ego gli pone di fronte, non diviene altro se non una meravigliosa opportunità offerta a tutti per osservare i propri pensieri… aspettare… e non giudicare. (L.pII.1.4:3).
Una meravigliosa opportunità per scegliere la pace, ancora una volta.
PER CONCLUDERE……
In linea con quanto scritto fin qui, il mio compito in qualità di insegnante del corso è quello di facilitare la comprensione del corso in base al livello di comprensione- il gradino della scala- al quale sono arrivata.
Spero con questo articolo di averlo fatto in modo sufficientemente chiaro, offrendo a tutti gli studenti interessati degli strumenti esaurienti per osservare la propria mente ed effettuare liberamente e consapevolmente la propria decisione, l’unica che ognuno di noi deve compiere.
Torino, novembre 2014
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