D # 892 Ho letto molto a proposito delle “esperienze di premorte” nel corso degli anni ed ho trovato che questi racconti sono quasi sempre ispiranti e rassicuranti. La natura di molte di queste esperienze sembrerebbero in contrasto con lo scopo dell’ego di mantenerci attaccati al nostro corpo. Ho letto molti racconti di esperienze di premorte in cui chi faceva l’esperienza era estatico per il fatto di essere libero dal corpo e la maggior parte di loro è arrabbiata/triste, contrariata nel ritrovarsi di nuovo nel proprio corpo dopo l’evento. Ho letto una precedente risposta sull’argomento dove dicevate che al loro ritorno viene talvolta data loro una missione ‘speciale’ da portare avanti (assecondando l’ego); tuttavia non ho mai letto di qualcuno che ritornando sentisse che questa esperienza lo facesse sentire ‘speciale’. La maggior parte di essi si sente estremamente grata di aver avuto un barlume di ciò che loro ora credono essere il loro vero stato e l’esperienza spesso li rende delle persone migliori. Mi chiedo in che modo la meravigliosa sensazione di liberazione dal corpo e il senso di unità con tutto che molti di coloro che fanno esperienza di premorte provano serva effettivamente all’ego.
R: Se c’è una sensazione di unità con tutto – senza il più piccolo bisogno di farlo sapere agli altri, o la più piccola traccia di specialezza per aver avuto tale esperienza – allora non sarebbe un evento dell’ego. Dal punto di vista di Un corso in miracoli, tuttavia, la mente della persona non sarebbe guarita completamente se la sensazione di liberazione e l’amore onnicomprensivo diminuisce o cambia nel “ritrovarsi di nuovo nel corpo dopo l’evento”. Il Corso insegna che l’amore è la nostra realtà, non il corpo, e quindi quando la tua mente è totalmente identificata con quell’Amore del Cielo vedresti chiaramente il corpo – come fece Gesù – semplicemente come un veicolo tramite il quale quell’amore fluisce. Vedresti o quell’espressione di amore ovunque o altrimenti una richiesta di quell’amore, e quindi non ci sarebbe alcun senso di tristezza o contrarietà, poiché sapresti che non sei nel corpo. La tua identità resta quella che è – separata dal corpo. L’amore nella tua mente verrebbe espresso con una forma corporea, così che gli altri che sono ancora identificati con il loro corpo possano riconoscerlo ed accettarlo in un modo che non li sovrasterebbe di paura. Una esperienza di premorte, dunque, può essere una esperienza non dell’ego, ma quella stessa esperienza di essere oltre il corpo può verificarsi in qualsiasi istante in cui scegliamo contro l’ego. In altre parole, è sempre accessibile per noi, poiché è unicamente una questione di scelta che facciamo nella nostra mente e non ha nulla a che fare con la condizione del nostro corpo.
Un corso in miracoli insegna che il corpo è una proiezione della mente e non ha alcuna realtà in sé e di per sé. In questo senso la mente è la causa e la fonte di tutte le condizioni ed esperienze corporee: il corpo è solo un effetto delle decisioni della mente. La mente è divisa tra il sistema di pensiero dell’ego e la correzione di ciò, che è il sistema d pensiero di perdono dello Spirito Santo. Così, tutti gli apparenti avvenimenti corporei – fisici e psicologici – possono essere compresi come simboli che riflettono per noi la decisione della nostra mente o in favore dell’ego o dello Spirito Santo. Questo non è il nostro “vero stato”, ma la vera percezione, o l’essere nella mente corretta, ci conduce lì, come spiega Gesù: “Non sarà mai sottolineato troppo spesso il fatto che correggere la percezione è solo un espediente temporaneo. … la percezione accurata è una pietra miliare verso di essa [la conoscenza]. L’intero valore della percezione corretta sta nell’inevitabile realizzazione che tutta la percezione non è necessaria (T.4.II.11:1,2,3). Il nostro vero stato è quello di Mente (con la M maiuscola) – puro spirito, pura unità, totalmente al di là di ogni percezione. Noi facciamo esperienza del riflesso del nostro vero stato ogni qualvolta non percepiamo i nostri interessi come separati da quelli di qualcun altro, la cui pratica costante ci conduce alla percezione che siamo la stessa cosa.