Secondo gli insegnamenti di Kenneth Wapnick

D 726 Cosa si dovrebbe fare nel caso di in cui ci si è innamorati del proprio terapeuta?

 

D # 726: Negli ultimi sette mesi mi sono sottoposto a incontri di counseling. Di recente il processo è diventato piuttosto doloroso. Ho fatto un sacco di letture in merito alla questione del transfert e immagino di non essere il primo cliente ad essersi innamorato della propria terapeuta (o a pensare di esserlo). Le ho parlato di questo, ma sto cercando di trarre un senso da tutte queste mie sensazioni dalla prospettiva di Un corso in miracoli. Il transfert è semplicemente la stessa proiezione che accade nella vita quotidiana? E’ significativo il fatto che io sappia molto poco di lei? E’ questo un altro esempio della relazione di amore speciale? A parte ciò che è ovvio (un uomo sposato che si innamora di una donna) qual è il ruolo del perdono in questa situazione? Chi perdono? Non so neppure da chi sto facendo il transfert.

 

R: Sì, ogni qualvolta sentiamo che qualcun altro ha qualcosa che noi non abbiamo – pace, amore, intuizione, risposte, ecc. – la situazione è matura per la specialezza e per tutto il dolore che la accompagna. Perché ci ricorda la colpa e la mancanza che sentiamo interiormente e vogliamo disperatamente coprire con le nostre fantasie che circondano la nuova relazione. E questo è il motivo per cui la proiezione funziona meglio quanto meno sappiamo della nuova persona, poiché la realtà di quella persona interferirebbe con la nostra fantasia (T.17.III.4:5,6,7,8).

All’interno della teoria psicoanalitica il transfert implica il proiettare sulla relazione con il terapeuta pensieri e sensazioni associati ad altre persone che provengono dal passato del cliente, a partire dai genitori. Ma il Corso direbbe che persino le relazioni genitoriali non sono primarie, perché abbiamo proiettato sui nostri genitori l’esperienza della nostra relazione speciale iniziale con Dio.

Così, nei termini del Corso, il transfert implica il portare nella relazione con il terapeuta le nostre fantasie egoiche relative a Dio. E queste fantasie includerebbero sia l’amore speciale che l’odio speciale, perché abbiamo visto Dio come Colui che ha ciò che a noi manca e siamo stati disposti ad attaccarLo come anche a sedurLo per ottenere ciò che desideriamo. Ed è inevitabile avere dei risentimenti nei Suoi confronti perché non ci dà semplicemente la specialezza che vogliamo (T.16.V.4:1,2; T.24.III.6). E così il terapeuta è semplicemente diventato lo schermo attuale sul quale vengono proiettati questi sentimenti di specialezza non corrisposta. E’ una trappola in cui è facile cadere, considerando l’accettazione priva di giudizio e l’attenzione focalizzata che è altamente probabile il terapeuta offra in occasione di ogni visita, per quel periodo di tempo circoscritto e ben definito. E potrebbe esserci del risentimento latente, se non esplicito, per il fatto che il tempo sia così limitato. E quindi sì, la relazione offre davvero un’altra opportunità per praticare il perdono. Ma chi necessita del tuo perdono non è realmente il terapeuta, né alcun altro personaggio ombra del tuo passato (T.17.III), Dio compreso.  Perché ciascuno di essi in realtà non è niente di più di un simbolo della colpa e del peccato che credi essere reale nella tua mente, e da cui credi di dover essere salvato. E quindi è qui – dentro la tua mente- che c’è davvero bisogno di perdono.

E il Terapeuta, lo Spirito Santo a sua volta lì nella tua mente, è disponibile per te - in ogni momento, luogo o circostanza in cui Ne hai bisogno - per aiutarti a ricordare la verità su di te: che rimani il Figlio di Dio totalmente perfetto ed innocente (T.10.V.12), non importa a quali folli credenze ti aggrappi in relazione a chi tu sia realmente e di cosa abbia bisogno per essere felice.