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Da alcune settimane stiamo esaminando quelle prime lezioni, nel libro degli esercizi, che ci insegnano a fare esperienza pratica dell’estensione, argomento che sto trattando dallo spunto 383 (per rileggere gli spunti relativi cliccare qui). Abbiamo visto che in tali lezioni la pratica dell’estensione viene definita “avvolgimento” e “benedizione”. Il primo termine descrive felicemente la componente inclusiva dell’estensione, in contrapposizione alla componente esclusiva, propria della proiezione egoica. Il secondo termine evoca quel senso di armonia interiore che ci porta a “dire bene”, a “volere il bene” degli altri, invece che volere il loro male, dirne male, come l’ego ci spinge continuamente a fare inducendoci alla proiezione di colpa. Queste lezioni sono la logica conseguenza della lezione 35, che ci propone una diversa visione di noi stessi e degli altri basata sulla percezione della comune, inerente santità. Una visione che non è possibile quando siamo nella mente sbagliata, dominata dall’ego, ma cui si può accedere attraverso la pratica del perdono, che ci insegna a divenire osservatori dell’ego dentro la nostra mente (con il primo passo) e a essere disponibili a metterlo in discussione chiedendo l’aiuto dello Spirito Santo (con il secondo passo).
In altri termini l’estensione della santità, che non è opera nostra ma dello Spirito Santo in noi, consegue a quella che invece è e deve essere opera nostra: la ferma determinazione alla santità, ossia a mettere in discussione la presenza dell’ego dentro la nostra mente.
L’istante santo è il risultato della tua determinazione ad essere santo. E’ la risposta. Il desiderio e la disponibilità a farlo arrivare precedono la sua venuta. Prepari la tua mente per esso soltanto fino al punto di riconoscere che lo vuoi sopra ogni altra cosa. Non è necessario che tu faccia di più, invero è necessario che tu ti renda conto che non puoi fare di più.
(T-18.IV.1:1-5)
La lezione 38 aggiunge un aspetto molto incoraggiante alle considerazioni delle lezioni precedenti, un aspetto che viene annunciato dal titolo stesso: Non c’è nulla che la mia santità non possa fare.
Questa affermazione è la diretta conseguenza del primo – e più fondamentale - principio presentato all’inizio del testo: Non c’è ordine di difficoltà nei miracoli. Uno non è “più difficile” o “più grande” di un altro. Sono tutti uguali. Tutte le espressioni d’amore sono massimali. (T.1.I.1). Si tratta del principio che capovolge la prima legge del caos, ossia dell’ego, secondo la quale c’è una gerarchia di illusioni (T-23.II.2:5) L’ego, in altri termini, induce nella nostra mente l’illusione che esistano delle gerarchie di valori e il mondo sembra proprio dimostrarlo alla lettera. Ma il Corso ci ripete in più punti che i sensi del corpo non ci mostrano una realtà ma un sistema di allucinazioni. La visione - ossia la percezione che estende la santità della mente corretta - ci offe un quadro totalmente diverso, preannunciato appunto nel primo principio dei miracoli. Ecco perché l’estensione della santità prescinde da qualsiasi gerarchia, e - ritornando alla lezione 38 - non c’è nulla che la nostra santità non possa fare. A volte potrebbe sembrarci impossibile modificare la percezione di un evento particolarmente doloroso, di un problema che ci impaurisce, di una persona fastidiosa. Ma questa lezione dice che non è così. La tua santità, quindi, può eliminare ogni dolore, può porre fine a tutte le sofferenze e può risolvere tutti i problemi. Può farlo in relazione a te stesso e a chiunque altro. (L-pI.38.2:4-5)
E a dire la verità non riusciremmo certamente a farlo se ci affidassimo alle nostre sole forze, partendo dal presupposto di potercela fare da soli. Ma il perdono proposto dal Corso ci insegna che l’estensione non è opera nostra. Noi dobbiamo soltanto preparare il terreno perché essa possa avvenire, scegliendo liberamente, con i due passi del perdono, di mettere in discussione l’ego e di accettare al suo posto la Presenza dello Spirito Santo dentro la nostra mente. A questo punto entreremo in contatto con l’esperienza della santità - l’innocenza, la pace, la comunione, l’amore - che sono parte inscindibile della mente corretta e assisteremo con stupore alla meravigliosa estensione della santità dalla nostra mente a tutto e a tutti. Costateremo proprio quanto dice il titolo della lezione 38: non c’è nulla che la mia santità non possa fare. E capiremo finalmente che cosa intende la lezione 23 quando dice che le nostre immagini sono già state sostituite.
L’idea di oggi introduce il pensiero che tu non sei intrappolato nel mondo che vedi, perché se ne può cambiare la causa. Questo cambiamento richiede che la causa venga prima identificata e poi lasciata andare, in modo che possa essere sostituita. I primi due passi di questo procedimento richiedono la tua collaborazione. Quello finale no. le tue immagini sono già state sostituite. Facendo i primi due passi vedrai che è così.
(L-pI.23.5)
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Negli spunti degli ultimi mesi abbiamo visto più e più volte come la legge della mente (il suo inderogabile protendersi all’esterno) appaia in due forme diverse, anzi diametralmente opposte: come proiezione, quando viene guidata dall’ego, e come estensione, quando viene invece guidata dallo Spirito Santo. (per rileggere gli spunti, cliccare qui) Per dirla in altri termini l’ego e lo Spirito Santo usano la mente con fini e risultati diametralmente opposti, perché l’uso dell’ego porta ad escludere gli altri, e quindi ad allontanarci da loro con la sgradevole conseguenza di sperimentare isolamento e solitudine, dipendenza ed oppressione, mentre l’uso dello Spirito Santo porta ad includere gli altri, con il lieto effetto di sperimentare armonia, unione, comunione e libertà. All’inizio di una splendida sezione che si trova nel capitolo 19 del Testo, Gli Ostacoli alla pace, il Corso parla proprio del processo dell’estensione, precisando che l’ego cercherà di intrufolarsi, ostacolandolo. E aggiungendo che purtroppo noi gli daremo spesso retta.
Quando la pace si estenderà dal profondo di te stesso per abbracciare tutta la Figliolanza ed offrirle riposo, incontrerà molti ostacoli. Cercherai di imporre alcuni di essi. Altri potranno sembrare emergere da altre fonti: dai tuoi fratelli e da vari aspetti del mondo esterno.
(T.19.IV.1:1-3)
In sostanza cadremo in una delle tante trappole che l’ego ci tende, e proveremo ad allontanare da noi proprio quello stato di pace che avevamo così faticosamente conseguito. E come se non bastasse non sempre ci assumeremo la responsabilità di questo errore. Solo qualche volta riconosceremo che parte da noi. Altre volte lo proietteremo sui nostri fratelli o su altri aspetti del mondo esterno, ritenendoli responsabili della nostra perdita di pace.
Cosa significa tutto questo? Significa che quando mettiamo in atto con successo i tre passi del perdono così come ci insegna il Corso, sarà inevitabile l’estensione della pace al mondo. Dato che si tratta di un’ineludibile legge della mente, una volta che abbiamo scelto il perdono e siamo entrati in uno stato di pace, questa pace si estende automaticamente portandoci a percepire in modo corretto il mondo esterno, qualunque cosa stia avvenendo in quel momento. Riconosceremo allora la nostra unione profonda con gli altri, perché faremo esperienza di quegli interessi che tutti condividiamo, il nostro profondo bisogno di amore e di guarigione, ed il desiderio ancor più profondo di tornare da nostro Padre. Vedremo questa comunanza di interessi sia in noi che negli altri. Ci sentiremo parte di un tutto più vasto. Sarà un po’ come uscire dai nostri limiti ristretti.
A questo punto l’ego tenterà di intrufolarsi e “rimetterci in riga”, ventilando che quest’unione profonda con Dio e con gli altri ci sta facendo perdere la nostra individualità e tutti i “vantaggi” che la separazione e la specialezza ci avevano garantito. E noi saremo tentati di dargli retta.
Ma il tentativo dell’ego, a cui la parte malata di noi vorrebbe aderire stoltamente, non può nulla contro il nostro libero arbitrio, in grado di scegliere nuovamente la pace in qualsiasi momento e in assoluta libertà, mediante una rapida richiesta d’aiuto rivolta allo Spirito Santo. E se lo faremo, sperimenteremo l’estensione della pace, che ci permette di vedere in una nuova luce il mondo che ci circonda.
Tuttavia la pace li coprirà dolcemente, estendendosi oltre essi, totalmente libera. La pace che Egli [lo Spirito Santo] ha posto profondamente dentro di te e tuo fratello, si estenderà quietamente ad ogni aspetto della tua vita, circondando te e tuo fratello di una felicità luminosa e della calma consapevolezza di essere completamente protetti.
(T.19.IV.1:4,6)
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Quando la pace si estenderà dal profondo di te stesso per abbracciare tutta la Figliolanza ed offrirle riposo, incontrerà molti ostacoli. Cercherai di imporre alcuni di essi. Altri potranno sembrare emergere da altre fonti: dai tuoi fratelli e da vari aspetti del mondo esterno. Tuttavia la pace li coprirà dolcemente, estendendosi oltre essi, totalmente libera… La pace che Egli [lo Spirito Santo]ha posto profondamente dentro di te e tuo fratello, si estenderà quietamente ad ogni aspetto della tua vita, circondando te e tuo fratello di una felicità luminosa e della calma consapevolezza di essere completamente protetti.
(T-19.IV.1:1-4,6)
Nello spunto della scorsa settimana (per rileggerlo cliccare qui) abbiamo letto alcune frasi di una meravigliosa e profonda sezione che si trova nel capitolo 19 del Testo, Gli ostacoli alla pace. In esse il Corso parla dell’estensione, quella legge della mente che funziona al di là delle nostre intenzioni e che viene messa in atto ogni qualvolta scegliamo di entrare in contatto con la santità, ossia con quelle esperienze di pace, amore, unione, condivisione, gioia e libertà che caratterizzano la mente corretta, proprio come la rabbia, l’angoscia, il dolore e la colpa caratterizzano la mente sbagliata.
Il punto non è se estendere o non estendere, perché l’estensione va al di là delle nostre intenzioni. Il punto è se rivolgersi all’ego o allo Spirito Santo come nostro insegnante e guida. Perché la scelta dell’ego impedirà sempre l’estensione, mentre lo scegliere lo Spirito Santo la favorirà, impedendo sempre, nel contempo, la proiezione.
Questo viene spiegato molto chiaramente nel capitolo 12 del Testo:
Ho detto in precedenza che dipende da te cosa proietti o estendi, ma devi fare l’uno o l’altro, perché questa è una legge della mente, e devi guardare dentro prima di guardare fuori. Mentre guardi dentro scegli la guida per vedere. E poi guardi fuori e ne vedi le testimonianze. Questo è il motivo per cui trovi ciò che cerchi. Renderai manifesto ciò che vuoi dentro di te, e lo accetterai dal mondo perché, volendolo, ve lo hai messo.
(T-12.VII.7:1-5)
Dunque, come prima cosa dobbiamo imparare a rivolgerci all’interno e scegliere di farci guidare dallo Spirito Santo. Ma come si fa? Il Corso ci insegna un procedimento che definisce perdono, basato su 3 passi abbondantemente descritti in tutto il libro, e brillantemente sintetizzati da Kenneth Wapnick. Sono dei passi che dobbiamo imparare ad applicare nelle nostre relazioni, quando ci sentiamo turbati a causa degli altri, mentre dovremmo invece riconoscere che il turbamento è integralmente farina del nostro sacco.
Il primo passo consiste dunque nel rendersi conto di aver già chiesto aiuto all’ego. Ce ne accorgiamo perché facciamo esperienza dei tipici pensieri e delle tipiche sensazioni egoiche: le varie forme che la paura può assumere, dalla rabbia alla colpa, dal senso di solitudine all’angoscia profonda, dal desiderio di vendetta al senso di essere perseguitati, dal vittimismo al senso di superiorità. In questo modo impariamo a riconoscere che non siamo turbati per quello che gli altri ci hanno fatto o non fatto, ma per la presenza dell’ego dentro la nostra mente (lezione 5).
Il secondo passo consegue al primo, e lo pratichiamo quando ci rendiamo conto di non voler più sperimentare la presenza dell’ego dentro la nostra mente, perché il costo è troppo elevato nei termini di perdita della pace. La determinazione maturata a questo punto ci permette di rivolgerci dal profondo del cuore ad un diverso Insegnante, perché ci guidi fuori dal labirinto che l’ego ha generato nella nostra mente. E questa determinazione alla santità si traduce nella disponibilità a farci condurre, scegliendo di non essere noi a guidare il percorso, ma a permettere che a guidarci sia Uno Che sa farlo. Questo è il secondo passo del perdono.
Se facciamo questi primi due passi, allora - come dice poeticamente una frase che si trova nell’introduzione agli ostacoli alla pace - avremo offerto un luogo di riposo allo Spirito Santo dentro la nostra mente, e questo ci permetterò di riposare in Lui.
Farai questo, perché niente di ciò che viene intrapreso con lo Spirito Santo resta incompiuto. Non puoi essere davvero certo di niente che vedi fuori di te, ma di questo puoi essere certo: lo Spirito Santo chiede che tu Gli offra un luogo di riposo dove riposerai in Lui. Egli ti ha riposto, ed è entrato nella tua relazione. Non vuoi restituire ora la Sua cortesia ed entrare in relazione con Lui? Perché è Lui che ha offerto alla tua relazione il dono della santità, senza il quale sarebbe stato per sempre impossibile apprezzare tuo fratello.
(T-19.IV.2:3-7)
Sarà lo Spirito Santo allora a compiere per noi il terzo passo, che da soli non potremmo compiere: l’estensione di quella pace profonda che la nostra accettazione della Sua Presenza nella nostra mente ha favorito.
E guardando ora quelle relazioni che sembravano turbarci così profondamente, le vedremo rifulgere di una luce nuova, di una gioia e di un’amorevolezza che prima del processo del perdono ci sembravano del tutto irraggiungibili.
La luce avrà disfatto l’oscurità.
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Lo Spirito Santo comincia col percepirti perfetto. Sapendo che questa percezione è condivisa, Egli la riconosce negli altri, rafforzandola così in entrambi. Invece della rabbia, suscita amore per entrambi, perché stabilisce l’inclusione.
(T-6.II.5:1-3)
Nel libro degli esercizi c’è un bellissimo esercizio che ci aiuta a sperimentare l’estensione e quel senso di pace gioiosa, di amore e di unione che ne costituisce l’inevitabile risultato, proprio come la rabbia, l’esclusione e l’isolamento costituiscono l’inevitabile risultato della proiezione. Si trova nella lezione 121.
Il titolo della lezione è uno dei più belli fra quelli presenti nel libro degli esercizi: Il perdono è la chiave della felicità. Partiamo dunque proprio da qui: il perdono è una chiave, e come tutte le chiavi serve per aprire una porta. Ma quale porta? Quella che avevano chiuso, anzi sbarrato letteralmente, con la separazione, la colpa, la paura, e tutte le illusioni generate dall’ego dentro la nostra mente, ma da noi ritenute assolutamente reali perché coperte dal meccanismo della negazione, che le ha rese inconsce. Una porta dunque celata dall’ego, perché inducendoci a proiettare queste illusioni sul mondo esterno, l’ego ci ha fatto credere che il mondo esterno fosse la causa della nostra infelicità, e ci ha spinto letteralmente a risolvere il problema dove non può più essere risolto, ossia dentro il mondo. E’ lì che l’ego ci spinge continuamente a cercare la porta della felicità: dentro il mondo. Ma la porta non si trova lì.
In sostanza per poter infilare la chiave nella toppa bisogna prima di tutto trovare la porta. E’ questo la ragione per cui il Corso ci rivolge una domanda divertente, ma allo stesso tempo inquietante:
Il perdono è la chiave, ma chi può usare una chiave quando ha perso la porta per la quale la chiave è stata fatta, e che è la sola per cui va bene?
(CdP-2.I.9:2)
La porta in cui infilare la chiave si trova dentro la nostra mente, non nel mondo. La chiave della nostra felicità è un processo dentro la nostra mente, non un qualche cambiamento nel mondo.
E la chiave è molto semplicemente il perdono, nei suoi tre passi già visti tante volte in questi spunti (cliccare qui): prima di tutto riconoscere appunto che la causa della nostra infelicità è dentro la nostra mente, e non nel mondo, e poi scegliere la guarigione della nostra mente, accettando quell’Espiazione che lo Spirito Santo ci propone da sempre (L-pI.23.5). Se facciamo questi due passi non potremo non sperimentare la pace profonda che lo Spirito Santo estenderà dalla nostra mente alle situazioni della nostra vita, permettendoci di percepirle in modo amorevole invece che ostile. La nostra percezione sarà mutata, e con essa sarà mutato sia il nostro stato interiore che la percezione del mondo esterno. La felicità avrà preso il posto del rancore, della paura e dell’angoscia.
Leggiamo ora il meraviglioso esercizio proposto dalla lezione 121. Potremo notare che ci propone di modificare la percezione sia di un nemico (l’antagonista della relazione speciale d’odio) che di un amico (l’idolo della relazione speciale d’amore). La percezione di entrambi è deformata dalla proiezione egoica. Cambiandone la percezione dentro la nostra mente, vedremo un’immagine nuova, che si estenderà anche a noi, guarendo anche la percezione malata che abbiamo di noi stessi:
Inizia i periodi di pratica più lunghi pensando a qualcuno che non ti piace, che sembra irritarti, o causarti dispiacere se lo incontrassi: uno che disprezzi attivamente, o che cerchi semplicemente di ignorare. Non importa quale forma assuma la tua rabbia. Probabilmente lo hai già scelto. Lui andrà bene.
Ora chiudi gli occhi, vedilo nella tua mente, ed osservalo per un po’. Cerca di percepire della luce in qualche parte di lui: un piccolo barlume che non avevi mai notato. Cerca di individuare una piccola scintilla di luminosità che risplende attraverso la brutta immagine che hai di lui. Guarda questa immagine finché vedrai in essa una luce da qualche parte, e poi cerca di permettere a questa luce di estendersi fino a ricoprirlo e rendere l’immagine bella e buona.
Osserva questa percezione mutata per un po’, poi volgi la tua mente a qualcuno che chiami amico. Cerca di trasferire su di lui la luce che hai imparato a vedere intorno al tuo ex “nemico”. Percepiscilo ora come più che un amico per te, perché in quella luce la sua santità ti mostra il tuo salvatore, salvato e che salva, guarito e intero.
Poi permetti che egli ti offra la luce che vedi in lui, e lascia che il tuo “nemico” e l’amico si uniscano nel benedirti con ciò che hai dato. Adesso sei uno con loro, e loro con te. Ora sei stato perdonato da te stesso.
(L-pI.121.10-13:3)
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Quale bellezza vediamo oggi! Quale santità vediamo intorno a noi!
(L-pII.291.1:4-5)
A conclusione dell’argomento trattato da inizio anno, l’estensione della santità, non resta che leggere alcune delle bellissime frasi del Corso, che ne descrivono l’esperienza.
Ma prima di leggerle, permettetemi di sintetizzare ancora una volta come si fa ad arrivare ad un obiettivo così elevato: attraverso il perdono, quel procedimento che il Corso descrive abbondantemente presentandolo da diverse angolazioni, affinché tutti noi - qualunque sia la forma in cui ci sperimentiamo - possiamo accedervi. Kenneth Wapnick lo ha sintetizzato partendo da un paragrafo che abbiamo letto molte volte in questi spunti.
L’idea di oggi introduce il pensiero che tu non sei intrappolato nel mondo che vedi, perché se ne può cambiare la causa. Questo cambiamento richiede che la causa venga prima identificata e poi lasciata andare, in modo che possa essere sostituita. I primi due passi di questo procedimento richiedono la tua collaborazione. Quello finale no. le tue immagini sono già state sostituite. Facendo i primi due passi vedrai che è così.
(L-pI.23.5)
Il cambiamento consiste nell’assumerci la responsabilità che la causa delle nostre sofferenze non sta nel mondo esterno, ma nella nostra mente (I passo). E - avendo constatato che il prezzo che stiamo pagando per mantenere tali sofferenze è decisamente troppo elevato nei termini di mancanza di pace - la parte successiva del cambiamento richiede la nostra determinazione a lasciar andare la causa della nostra sofferenza, ossia la nostra dipendenza dall’ego, a favore di una diversa Guida che ci permetta di liberarci dal labirinto paludoso che l’ego ha instaurato nella nostra mente (II passo).
Questi due passi sono nostra responsabilità. Se non decidiamo noi di compierli, nessuno potrà farlo al posto nostro. Costituiscono l’esercizio del nostro libero arbitrio. Ma proprio come nessuno può toglierci una tale responsabilità, così nessuno può impedirci di esercitarla. Quindi siamo assolutamente liberi nella decisione di lasciar andare la causa: l’ego dentro la nostra mente.
La determinazione che ci farà prendere tale decisione (una determinazione già impostata nelle precedenti lezioni 20, 21, e riproposta nelle successive lezioni 27 e 28), si traduce nella disponibilità ad essere guidati da una Presenza Autorevole, Che impariamo sempre di più a sentire nella nostra mente, e da cui impariamo sempre di più a farci guidare. Così ci spinge a compiere tale scelta con sempre maggiore frequenza? Ci spingono gli effetti di cui gradualmente faremo esperienza, ossia l’estendersi della pace interiore al mondo esterno, che vedremo letteralmente cambiare davanti ai nostri occhi. Non saranno necessariamente dei cambiamenti in termini di forma: per esempio le situazioni di vita o le persone con cui saremo in contatto potrebbero essere le stesse di prima. Ma ne faremo un’esperienza totalmente diversa. Un’esperienza che estenderà la nostra pace interiore, invece di proiettare la nostra angoscia interiore. Sarà questo il miracolo che il Corso ci preannuncia fin dal titolo: il miracolo del constatare che se cambiamo noi, il mondo esterno cambia di conseguenza, per la semplice ragione che non c’è una vera differenza fra il mondo esterno e quello interno.
E allora vedremo il mondo con occhi nuovi. Le immagini saranno letteralmente cambiate.
Partendo da quest’idea il mondo si aprirà dinanzi a te e tu lo vedrai, e vedrai in esso ciò che non vi avevi mai visto prima. E ciò che vedevi prima non sarà più nemmeno pallidamente visibile per te. Oggi cerchiamo di usare un nuovo tipo di “proiezione”. Non tenteremo di disfarci di ciò che non ci piace vedendolo al di fuori di noi. Cercheremo invece di vedere nel mondo ciò che c’è nella nostra mente, e che c’è ciò che vogliamo riconoscere. In tal modo cerchiamo di unirci con ciò che vediamo, invece di mantenerlo separato da noi.
(L-pI.30.1:2-3/2:1-4)
Con questa nuova visione ogni cosa apparirà meravigliosa:
Tutta questa bellezza si leverà a benedire la tua vista quando vedrai il mondo con gli occhi del perdono. Perché il perdono trasforma letteralmente la visione e ti permette di vedere l’avvento del mondo reale calmo e dolce attraverso il caos, eliminando tutte le illusioni che hanno sviato la tua percezione legandola al passato. La più piccola foglia diventa una meraviglia e un filo d’erba un segno della perfezione di Dio.
(T-17.II.6)
Forse al momento non riusciamo ancora a raggiungere questi attimi di luce. Ma il Corso ci assicura che prima o poi ci arriveremo. Insieme.
Con queste meravigliose immagini di luce vi saluto con affetto, cari compagni di viaggio, augurandovi pace e serenità nelle vacanze estive.
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Ben ritrovati.
In questi spunti, iniziati ormai da molti anni, ho cercato di presentare il perdono così come lo intende il Corso, rifacendomi principalmente alla sintesi compiuta da Kenneth Wapnick e da lui definita “I tre passi del perdono”. Dopo un’iniziale introduzione mirata a presentare alcune linee essenziali che dovrebbero aiutare lo studente a comprendere le linee essenziali del linguaggio e della teoria del Corso, ho trattato il primo passo dallo spunto 79 al 266, il secondo dal 267 al 376, e dallo spunto 383 ho iniziato a trattare il terzo passo. Chi volesse rileggerli anche solo in parte può consultare l’indice degli spunti cliccando qui.
Abbiamo visto che i primi due passi sono due importanti decisioni che lo studente deve prendere per assumersi la responsabilità di quanto sembra togliergli la pace. La prima consiste nel decidere di guardare senza veli i meccanismi dell’ego dentro la propria mente – e non dentro la mente degli altri, come l’ego gli propone prontamente di fare- e la seconda nel decidere di rivolgersi ad un diverso Insegnante- lo Spirito Santo- per accedere ad una diversa percezione di quanto sembra turbarlo. Se lo studente compie entrambe le decisioni, farà esperienza del terzo passo: quella pace che lo Spirito Santo ha già donato alla sua mente tormentata e dalla sua mente estende in continuazione alle altre menti.
Proprio negli ultimi spunti, pubblicati all’inizio dell’estate, ho proposto l’argomento dell’estensione (per rileggerli, cliccare qui). Come abbiamo visto una volta che si sono praticati i primi due passi del perdono l’estensione è inevitabile, in quanto la mente, per sua propria natura, non può non protendersi all’esterno. È una legge che viene usata in modo diametralmente opposto dall’ego e dallo Spirito Santo: l’ego la usa per proiettare la colpa e quindi per escludere, mentre lo Spirito Santo la usa per estendere l’amore e quindi per includere.
L’estensione conseguente al perdono permette allo studente di fare un’esperienza completamente diversa di quanto prima sembrava opprimerlo. Mentre la proiezione gli faceva percepire un mondo ostile da combattere o da predare, l’estensione gli offre una percezione del mondo amorevole e pacifica e davanti ai suoi occhi il mondo appare illuminato da una luce diversa.
Grazie al perdono a volte lo studente vedrà le stesse immagini che vedeva in precedenza, ma colorate da una diversa interpretazione: là dove, colmo di paura, interpretava un evento come manifestazione di odio ora vede un amore insospettato o una richiesta di guarigione o di aiuto. Altre volte vedrà nel mondo immagini che prima non vedeva, e nelle persone aspetti amorevoli che in precedenza non riusciva nemmeno a sospettare, un’innocenza e una gentilezza là dove prima riusciva a vedere soltanto cattiveria e colpa. E questo avverrà perché la percezione è selettiva, e gli occhi vedono solo quello che la mente dice loro di vedere: se la mente vuole vedere il peccato, seleziona la percezione in modo da vedere il peccato; se la mente vuole vedere l’innocenza, allora selezionerà la percezione in modo da vedere l’innocenza.
Nel passaggio dalla percezione egoica a quella spirituale, lo studente acquisirà quella che il Corso definisce visione.
Proprio della visione parlerò a partire dal prossimo spunto.
Che ora venga a me una nuova percezione. Padre, c’è una visione che vede tutte le cose senza peccato, cosicché la paura è svanita e dove essa si trovava, è invitato ad entrare l’amore. E l’amore verrà ovunque venga richiesto. Questa visione è il Tuo dono. Gli occhi di Cristo vedono un mondo perdonato. Ai Suoi occhi tutti i suoi peccati sono perdonati, poiché Egli non vede alcun peccato in qualunque cosa guardi. Che la Sua vera percezione venga a me ora, affinché io possa risvegliarmi dal sogno di peccato e vedere dentro di me la mia assenza di peccato, che Tu hai mantenuto completamente incontaminata sull’altare al Tuo santo Figlio, il Sé con il quale mi voglio identificare. (L-pII.313.1)
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Come annunciato la scorsa settimana, a partire da questo spunto inizio a trattare un nuovo argomento: la visione.
Partiamo dalla definizione del termine che si trova nel Glossario stilato da Kenneth Wapnick (per accedere al Glossario sul nostro sito cliccare qui):
visione
Percezione di Cristo o dello Spirito Santo che vede oltre il corpo lo spirito che è la nostra vera Identità; la visione di perdono ed assenza di peccato attraverso la quale si vede il mondo reale; puramente interiore, riflette la decisione di accettare la realtà anziché giudicarla; un cambiamento di atteggiamento dallo scopo che l’ego assegna al corpo (specialezza) a quello datogli dallo Spirito Santo (perdono) e questo non ha niente a che fare con la vista fisica.
A differenza del significato usuale del termine, dunque, nel Corso la visione non si riferisce mai alla vista fisica, ma alla percezione corretta che la mente raggiunge quando sceglie di ascoltare la Voce interiore dello Spirito Santo invece di quella dell’ego. In altri termini potremmo dire che secondo il Corso si vede con gli occhi e si ha la visione con la mente.
La vera luce che rende possibile la vera visione non è la luce che viene vista con gli occhi del corpo. È lo stato della mente divenuta così unificata che l’oscurità non può essere affatto percepita. E così ciò che è uguale è percepito come una cosa sola, mentre ciò che non è uguale non viene notato, perché non esiste.
(L-108.2)
La visione è insomma uno stato mentale che permette di percepire l’identicità del contenuto dietro alla variabilità delle forme. È dunque un passo importantissimo nel processo di generalizzazione che ci traghetta dall’usuale percezione molteplice al dualismo della mente, e di lì al mondo reale.
Nella definizione tratta dal glossario di Kenneth, inoltre, leggiamo che la visione deriva dal perdono, cioè dall’aver lasciato andare l’idea di peccato, accettando al suo posto la realtà della nostra natura spirituale anziché giudicarla. Questa realtà è riflessa - nell’illusione in cui siamo precipitati dopo la separazione - nell’Espiazione, cioè nella correzione del sistema di pensiero dell’ego. E accettarla significa accettare l’Espiazione per noi stessi, mentre giudicarla significa scegliere di separarsi da essa.
In altri termini la visione è la conseguenza, l’effetto della decisione interiore di perdonare.
Come abbiamo visto in tutti questi spunti il perdono del Corso è quel mutamento di percezione che deriva da due decisioni interiori che siamo noi, e solo noi, a dover prendere: la prima consiste nell’assumerci la responsabilità delle nostre percezioni senza attribuirla al mondo esterno, e la seconda nel chiedere aiuto ad un diverso Insegnante interiore per raggiungere una diversa percezione dello stesso evento che ci faceva apparentemente soffrire.
Senza queste due premesse, senza queste due decisioni, non è possibile perdonare e quindi non è possibile fare esperienza dell’effetto – la visione appunto- che ne consegue.
La visione è il dono che lo Spirito Santo ci fa quando noi siamo determinati a perdonare. È il terzo passo del perdono, che deriva dall’aver praticato con determinazione e disponibilità i primi due passi.
La visione è il mezzo con cui lo Spirito Santo trasforma i tuoi incubi in sogni felici, le tue selvagge allucinazioni che ti mostrano tutti i paurosi risultati di peccati inventati, in immagini calme e rassicuranti con le quali Egli le sostituisce. Queste dolci immagini e questi suoni vengono guardati felicemente e uditi con gioia. Sono i Suoi sostituti per tutte le immagini terrificanti e i suoni urlanti che lo scopo dell’ego ha portato alla tua consapevolezza inorridita. Essi ti allontanano dal peccato, ricordandoti che ciò che ti spaventa non è la realtà e che gli errori che hai fatto possono essere corretti.
Quando avrai guardato ciò che sembrava terrificante e lo avrai visto cambiare in immagini di amorevolezza e pace; quando avrai guardato scene di violenza e di morte e le avrai viste cambiare in quiete immagini di giardini sotto cieli aperti, con acque chiare e donatrici di vita che scorrono felicemente accanto ad essi in danzanti ruscelli che non si esauriscono mai, chi avrà bisogno di persuaderti ad accettare il dono della visione? E dopo la visione, chi c’è che potrebbe rifiutare ciò che deve venire dopo? Pensa, per un solo istante, proprio a questo: puoi vedere la santità che Dio ha dato a Suo Figlio. E non avrai mai bisogno di pensare che per te ci sia qualcos’altro da vedere.
(T-20.VIII.10:4-11:4)
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Come abbiamo visto nell’ultimo spunto (per rileggerlo cliccare qui), nel suo Glossario Kenneth Wapnick definisce la visione come una percezione puramente interiore che non ha nulla a che fare con la vista fisica, e come il risultato del processo del perdono che noi scegliamo liberamente di compiere nella nostra mente.
Ma c’è anche un altro aspetto sul quale è opportuno portare la nostra attenzione: rileggiamo insieme la definizione tratta dal Glossario per scoprirlo:
visione
Percezione di Cristo o dello Spirito Santo che vede oltre il corpo lo spirito che è la nostra vera Identità; la visione di perdono ed assenza di peccato attraverso la quale si vede il mondo reale; puramente interiore, riflette la decisione di accettare la realtà anziché giudicarla; un cambiamento di atteggiamento dallo scopo che l’ego assegna al corpo (specialezza) a quello datogli dallo Spirito Santo (perdono) e questo non ha niente a che fare con la vista fisica.
L’ego conferisce al corpo e al mondo dei corpi lo scopo di rafforzare la nostra presunta separazione dalla realtà spirituale. Secondo il Corso il mondo è stato fatto dall’ego proprio per questa ragione: come cortina di fumo per distogliere la nostra attenzione interiore dalla mente, perché proprio nella mente è possibile trovare lo Spirito Santo, Che corregge il nostro sistema di pensiero errato.
Il perdono non può avvenire se noi non mettiamo in dubbio, almeno per un istante, lo scopo dell’ego, e non decidiamo di adottare, almeno per un istante, lo scopo dello Spirito Santo. Questo istante, che il Corso definisce istante santo, punta alla santità invece che alla specialezza, apre la nostra mente al perdono invece che all’attacco, e ci fa compiere i due passi indispensabili senza i quali non possiamo fare esperienza della visione.
Tu guardi ancora con gli occhi del corpo ed essi non possono vedere che spine. Tuttavia hai chiesto e ricevuto un altro modo di vedere. Coloro che accettano come proprio lo scopo dello Spirito Santo condividono anche la Sua visione. E ciò che Gli permette di vedere il Suo scopo risplendere da ogni altare adesso è tuo tanto quanto è Suo. Egli non vede stranieri, solo cari, adorati, e amorevoli amici. Non vede spine, ma solo gigli che rifulgono nel dolce splendore della pace che splende su tutto ciò che Egli guarda e ama. (T-20.II.5)
Ecco, è proprio questo il miracolo che dà il nome a questo Corso: dove prima vedevamo scene di dolore e di angoscia, dopo il perdono vediamo soltanto immagini di pace o di aspirazione alla pace, di amore o di richiesta d’amore.
Letteralmente la visione spirituale non può vedere errore e cerca semplicemente l’Espiazione. Tutte le soluzioni che l’occhio fisico cerca, si dissolvono. La visione spirituale guarda all’interno e riconosce immediatamente che l’altare è stato profanato e ha bisogno di essere riparato e protetto. (T-2.III.4:1-3)
L’altare che prima era profanato – un simbolo che nel Corso sta a simboleggiare la mente sbagliata - ora rifulge di una luce splendente: la pace della mente corretta. Eppure non sono cambiate le situazioni esterne, è “soltanto” cambiata la percezione. Ma grazie a questo cambiamento importante l’altare della mente viene riparato e protetto e ricomincia a funzionare correttamente: ora vediamo miracolosamente amorevoli amici dove prima vedevamo solo nemici o idoli. Le nostre proiezioni di colpa, che ci portavano a vedere ovunque nemici da combattere o idoli da predare, vengono sostituite dallo Spirito Santo in immagini di amici carissimi, adorati e amorevoli. La nostra strabiliante esperienza interiore ci dimostra alla fine che il Corso ha mantenuto le sue promesse.
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Negli spunti delle ultime settimane (cliccare qui per rileggerli) abbiamo visto che la visione non si raggiunge attraverso gli occhi del corpo, ma cambiando la percezione interiore di quanto sembra impedirci la pace. E abbiamo anche visto che possiamo conseguirla quando abbiamo veramente l’intenzione di perdonare, perché la visione rappresenta il dono che lo Spirito Santo ci offre dopo che noi ci siamo assunti la responsabilità dei nostri turbamenti (I passo) e Gli abbiamo chiesto aiuto per vedere in un modo diverso (II passo).
Lo Spirito Santo conserva la visione di Cristo per ogni Figlio di Dio che dorme. Ai Suoi occhi il Figlio di Dio è perfetto ed Egli desidera ardentemente condividere la Sua visione con te. (T-12.VI.4:5-6)
Tuttavia abbiamo visto tante volte in questi spunti che la correzione dello Spirito Santo non potrà modificare la nostra esperienza interiore se non siamo disposti ad accoglierla. Questo è il significato dell’idea che l’Espiazione va accettata, non attuata da noi, e che- come leggiamo in una celebre frase del II capitolo- essa rappresenta la sola responsabilità dell’operatore in miracoli, cioè dello studente del Corso che vuole sperimentare il miracolo della pace interiore e condividerla con gli altri:
L’unica responsabilità di colui che opera il miracolo è accettare l’Espiazione per se stesso. (T-2.V.5:1)
La visione dipende dunque dalla nostra intenzione di sperimentarla. E questa intenzione si manifesta attraverso la nostra pratica dei primi due passi del perdono. Per addestrarci a questo radicale mutamento del nostro modo di usare la mente il Corso ci propone 4 lezioni specificamente dedicate a questo argomento: la 20, la 21, la 27 e la 28. Leggiamone i titoli:
Io sono determinato a vedere (L-pI.20)
Io sono determinato a vedere le cose in maniera diversa (L-pI-21)
Più di ogni altra cosa io voglio vedere (L-pI-27)
Più di ogni altra cosa io voglio vedere le cose in modo diverso (L-pI.28)
Come si vede chiaramente, si tratta di una vera e propria progressione in cui siamo invitati ad impegnarci con intensità crescente. La lezione 20 è una semplice dichiarazione di intenti. Ci propone, per la prima volta nel libro degli esercizi, una pratica particolarmente intensa: due ripetizioni della frase ogni ora, cercando di farlo ogni mezz’ora. Perché una pratica così intensa? Per sollecitarci a riflettere, per almeno un giorno nella nostra vita, sulla nostra incapacità di vedere le cose correttamente, impegnandoci fermamente a cambiare atteggiamento interiore. Due frasi all’interno della lezione sottolineano l’importanza di questa intenzione:
La tua decisione di vedere è tutto ciò che la visione richiede… La visione che ti viene data dipende dalla tua determinazione a vedere. (L-pI.20.3:1,8)
La lezione 22, chiara evoluzione della precedente, sposta l’intenzione dal piano generale alla pratica specifica, chiedendoci di pensare a situazioni di rabbia e di impegnarci specificamente a modificare la nostra percezione - cioè a raggiungere la visione - proprio in quelle situazioni. Proprio con quel collega… proprio con quel famigliare… proprio relativamente a quell’ingiustizia subita… proprio in relazione a quell’imprevisto che ci ha così alterati…. Le lezioni gemelle 27 e 28 ripetono lo stesso schema, partendo anche in questo caso da un’intenzione generale (nella lezione 27), e passando all’applicazione specifica nella lezione successiva, la 28. Ma qui ci viene proposto un impegno più radicale. Come leggiamo nel I paragrafo:
L’idea di oggi esprime qualcosa di più della semplice determinazione. Essa dà alla visione la priorità su tutti i tuoi desideri. (L-pI.27.1:1-2).
Su tutti i desideri? Sembra un impegno veramente grande! E infatti la lezione lo riconosce subito dopo:
Puoi sentirti esitante ad usare questa idea, perché non sei sicuro che questo è veramente quello che vuoi dire. Ciò non ha alcuna importanza. Lo scopo degli esercizi di oggi è di avvicinare un pochino il momento in cui l’idea sarà completamente vera. (L-pI.27.1:3-5)
Un’ottima opportunità per riflettere - almeno per un giorno - sul valore che diamo ai nostri desideri e all’obiettivo propostoci da questo Corso. Che cosa conta di più per noi? La pace interiore? Oppure mantenere i nostri radicati ed immutabili punti di vista, nella convinzione incrollabile che siano corretti?
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La correzione è per tutti quelli che non sono in grado di vedere. Aprire gli occhi ai ciechi è la missione dello Spirito Santo, perché Egli sa che non hanno perso la visione, ma semplicemente dormono. (T-12.VI.4:1-2)
Il Corso ricorre più volte all’analogia della cecità per descrivere la condizione nella quale noi siamo immersi. Crediamo di vedere, ma in verità non vediamo. Troviamo una toccante descrizione della nostra condizione nella prima sezione del capitolo 21. Leggiamo insieme qualche frase:
Non dimenticare mai che il mondo che “vedono” coloro che sono privi di vista deve essere immaginario, perché l’aspetto che ha veramente è a loro sconosciuto. Essi devono supporre ciò che potrebbe essere visto da prove sempre indirette, e ricostruire le loro illazioni mentre inciampano e cadono a causa di ciò che non hanno riconosciuto, o mentre avanzano illesi attraverso portali che pensavano fossero chiusi. E così è per te. Tu non vedi. Gli spunti per le tue illazioni sono sbagliati, e così inciampi e cadi sulle pietre che non hai riconosciuto, ma non riesci a essere consapevole che puoi varcare le porte che pensavi fossero chiuse, ma che sono aperte davanti a occhi che non vedono, in attesa di darti il benvenuto. (T-21.I.1)
L’analogia è chiara: come i ciechi non vedono il mondo esterno, così noi non vediamo il mondo interno. Gli occhi del corpo ci permettono soltanto di vedere il mondo esterno, ma non ci sono di alcun aiuto nel percorso interiore, di fronte al quale ci comportiamo esattamente come ciechi che avanzano a tentoni, sbattendo contro le porte chiuse e incapaci di riconoscere quelle che invece sono aperte. Eppure, nella nostra cecità, ci fidiamo delle nostre valutazioni e dei nostri giudizi, credendo che ci permetteranno di migliorare la nostra esperienza.
Quant’è sciocco cercare di giudicare ciò che può essere visto al suo posto. (T-21.I.2:1)
È sciocco perché i nostri sensi ingannano e non ci permettono di trovare la via d’uscita. Tuttavia abbiamo una Guida Che è in grado di vedere e può aiutarci ad uscire dall’oscurità in cui siamo immersi, indicandoci la strada. Ci mostra la visione interiore, una luce in grado di pilotarci. Sarà questa visione a permetterci di trovare la strada e approdare felicemente e senza inciampi al porto sicuro della pace interiore.
Non è necessario immaginare l’aspetto che il mondo deve avere. Deve essere visto prima che tu lo riconosca per quello che è. Ti può essere mostrato quali porte sono aperte, e puoi vedere dove sta la sicurezza, quale via conduce all’oscurità e quale alla luce. Il giudizio ti darà sempre false indicazioni, ma la visione ti mostra dove andare. Perché tirare a indovinare? (T-21.I.2:2-6)
Eh già… perché tirare a indovinare, quando abbiamo la possibilità di essere aiutati? È proprio questo il punto. Vogliamo veramente essere aiutati? Vogliamo veramente trovare la via della pace? O vogliamo solo degli “aggiustamenti” che ci facciano sopportare la nostra miserevolezza, degli “adattamenti” per varcare senza inciampi delle porte illusorie che non portano da nessuna parte?
Abbiamo visto la scorsa settimana che la nostra determinazione a vedere è la base della visione (per rileggere lo spunto cliccare qui). La nostra esperienza interiore dipende da noi. Siamo noi a dover compiere la scelta. Il nostro libero arbitrio è sovrano. È questo, in sintesi, il senso del secondo passo del perdono.
In questo periodo, dedicato alla celebrazione della nascita di Gesù, e con essa al ricordo della stella cometa che ci guida nel ritorno a casa, le meravigliose parole del Corso possono ispirarci per compiere la scelta che ci farà uscire poco alla volta dalla nostra cecità.
Il segno del Natale è una stella, una luce nell’oscurità. Non vederla fuori di te, ma splendente nel Cielo interiore, e accettala come segno che il tempo di Cristo è venuto. (T-15.XI.2:1-2)
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Fra pochissimi giorni è Natale.
Nel Corso ci sono dei passaggi bellissimi dedicati a questa importante celebrazione cristiana, che rievoca la nascita del bambino di Betlemme. Negli anni passati ho dedicato puntualmente uno o più spunti a questo argomento, collegandoli all’argomento che trattavo proprio in quel periodo, qui nella scuola del Corso. Per rileggere tali spunti si può accedere all’indice (cliccare qui), dove è possibile trovare una sezione integralmente dedicata al Natale.
Anche quest’anno collegherò il Natale al tema che sto proponendo in questo periodo, la visione, tema che ho iniziato a trattare partendo dalla differenza tra il vedere con gli occhi e il vedere con la mente. È un aspetto sul quale il Corso mette molta enfasi. Con gli occhi vediamo il mondo esterno, per definizione ingannevole. Ma con la visione interiore vediamo quella luce che ci permette di uscire dall’illusione nella quale siamo precipitati, un’illusione che ci attanaglia e ci inganna facendoci continuamente inciampare e non permettendoci di vedere la vera via d’uscita dal nostro fondamentale problema: la presunta separazione da Dio.
Come si accede alla visione, secondo il Corso? Attraverso il perdono, un metodo che ci permette di modificare la nostra percezione rivelandoci miracolosamente proprio quello che in precedenza non riuscivamo a vedere. Dove prima vedevamo solo torti, abusi, affronti, forme di vendetta e di idolatria, magari mascherate da giustizia e apparente innocenza, grazie al perdono vediamo espressioni di amore o disperate richieste di amore, guarigione ed aiuto. L’ostilità che avvelenava i nostri cuori allontanandoci dai nostri fratelli si trasforma in desiderio di aiuto e vicinanza. L’esclusione diviene inclusione, perché riconosciamo di condividere con loro la stessa mente, lo stesso scopo e gli stessi interessi. Non nella forma, perché in essa siamo ovviamente tutti diversi, ma nel contenuto, che ci accomuna e ci rende realmente fratelli.
E come si perdona? Il Corso ci suggerisce due passaggi, i cosiddetti “passi del perdono” a cui sono stati dedicati questi spunti fin dal loro inizio. Il primo passo consiste nel riconoscere che le nostre sofferenze non dipendono dagli altri, ma dalla nostra percezione. Il secondo consiste nel sincero desiderio di modificare tale percezione chiedendo aiuto a Chi è in grado di darlo, perché è per definizione il luminoso Correttore della nostra percezione errata: lo Spirito Santo. Ma dobbiamo essere determinati a volerlo. Molto determinati. La determinazione a vedere con gli occhi correttivi dello Spirito- il secondo passo del perdono- è la chiave che ci permette di raggiungere la visione.
La visione che ti viene data dipende dalla tua determinazione a vedere.
(L-pI.20.3:8)
Il Corso dedica al Natale un’intera sezione all’interno del capitolo 15, oltre ad alcuni paragrafi di altre sezioni. E in essi troviamo riassunti – insieme a molti altri- i temi che sto esponendo in questo periodo. Proviamo a rileggere insieme qualche frase:
Il segno del Natale è una stella, una luce nell’oscurità. Non vederla fuori di te, ma splendente nel Cielo interiore, e accettala come segno che il tempo di Cristo è venuto.
(T-15.XI.2:1-2)
Proprio come la stella cometa guida i pastori verso la grotta di Betlemme, così la luce della visione interiore ci può portare ad un’autentica rinascita. Ed è questa rinascita nella nostra mente- l’altare interiore della santità- ciò che il Corso ci propone di celebrare nel periodo natalizio.
La mia nascita in te è il tuo risveglio alla grandezza. Non darmi il benvenuto in una mangiatoia, ma nell’altare della santità, dove la santità dimora in pace perfetta.
(T-15.III.9:5-6)
Secondo il Corso il Natale è pertanto una magnifica occasione di risveglio. Un risveglio alla visione che si attua - come ho evidenziato prima- proprio attraverso il perdono. Ecco perché la bellissima preghiera del Natale ci invita a perdonare i nostri fratelli. Affinché sia questo il dono di Natale che siamo finalmente pronti ad offrire loro, e a noi stessi nello stesso tempo. Un dono che aprirà la strada al raggiungimento della visione interiore.
Dì quindi a tuo fratello:
Ti do allo Spirito Santo come parte di me stesso.
So che sarai liberato, a meno che io non voglia usarti per imprigionare me stesso.
Nel nome della mia libertà scelgo la tua liberazione, perché riconosco che saremo liberati insieme.
(T-15.XI.10:4-7)
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Questo è il tempo in cui un nuovo anno nascerà presto dal tempo di Cristo. Ho fede assoluta nel fatto che farai tutto ciò che vorrai compiere. Niente mancherà, e tu renderai completo e non distruggerai. Dì quindi a tuo fratello:
Ti do allo Spirito Santo come parte di me stesso.
So che sarai liberato, a meno che io non voglia usarti per imprigionare me stesso.
Nel nome della mia libertà scelgo la tua liberazione,
perché riconosco che saremo liberati insieme.
Così l’anno inizierà con gioia e liberta. C’è molto da fare, ed abbiamo procrastinato parecchio. Accetta l’istante santo mentre nasce quest’anno, e prendi il tuo posto, lasciato vacante così a lungo, nel Grande Risveglio. Fa che quest’anno sia differente rendendolo tutto uguale. E permetti a tutte le tue relazioni di essere fatte sante per te. Questa è la nostra volontà. Amen
(T-15.XI-10)
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Al termine delle vacanze natalizie riprendiamo il tema della visione che avevamo iniziato a studiare insieme a partire dallo scorso autunno.
Nell’ultimo spunto dedicato a questo argomento (per rileggerlo cliccare qui) abbiamo visto come il Corso ricorra più volte all’analogia della cecità per descrivere il nostro stato mentale sbagliato, dominato dall’oscurità. Proprio come i ciechi avanzano a tentoni, inciampando in continuazione e non distinguendo le porte chiuse da quelle spalancate, così noi brancoliamo nel buio della nostra mente, incapaci di varcare le porte che ci conducono alla felicità e alla pace.
Non dimenticare mai che il mondo che “vedono” coloro che sono privi di vista deve essere immaginario, perché l’aspetto che ha veramente è a loro sconosciuto. Essi devono supporre ciò che potrebbe essere visto da prove sempre indirette, e ricostruire le loro illazioni mentre inciampano e cadono a causa di ciò che non hanno riconosciuto, o mentre avanzano illesi attraverso portali che pensavano fossero chiusi. E così è per te. Tu non vedi. Gli spunti per le tue illazioni sono sbagliati, e così inciampi e cadi sulle pietre che non hai riconosciuto, ma non riesci a essere consapevole che puoi varcare le porte che pensavi fossero chiuse, ma che sono aperte davanti a occhi che non vedono, in attesa di darti il benvenuto.
(T-21.I.1)
Proprio come i ciechi, anche noi abbiano bisogno di una Guida per poter avanzare, una Guida che ci insegni il modo per uscire dal nostro stato interiore malato. Eppure non crediamo di averne bisogno, perché tendiamo a credere di vedere e quindi di essere in grado di comprendere le cose, di riconoscere i nostri migliori interessi, e di risolvere da soli tutti i nostri problemi.
Se ti rendessi conto che non percepisci ciò che è meglio per te, ti si potrebbe insegnare cos’è. Ma vista la tua convinzione di saperlo, non puoi imparare.
(L-pI.24.2:1-2)
Ancora una volta leggiamo in questa frase che la via d’uscita dal nostro buio interiore è rappresentata dalla disponibilità a praticare i primi due passi del perdono: riconoscere prima di tutto che il buio è dentro la nostra mente, e non nel mondo esterno; e poi essere disposti a rivolgerci ad un Aiuto Che non viene da noi, anche se si trova dentro di noi: un aiuto Che proviene dalla Luce Divina Stessa, e Che corregge il nostro modo malato di percepire. Il Corso Lo definisce “Spirito Santo”.
Il primo passo presume dunque l’umiltà di ammettere di avere sbagliato, riconoscendo che sono proprio stati i nostri giudizi errati ad averci fatto precipitare nell’oscurità.
Tutto ciò che hai insegnato a te stesso ti ha reso il tuo potere sempre più oscuro.
(T-14.XI.1:5)
Ed il secondo passo presume la disponibilità a voler ricevere aiuto:
Sii disposto a farti insegnare.
(L-pI.126.10:3)
In altri termini, è il nostro giudizio autonomo ciò che ci fa precipitare nell’oscurità, mentre il potere correttivo dello Spirito Santo, capace di disfare con la Sua sola Presenza l’oscurità in cui ci eravamo perduti, ci dona la visione che illumina il nostro cammino. E questa visione porta con sé forza, sicurezza, pace interiore e felicità.
Ti sei insegnato a giudicare: imparerai la visione da Colui Che disferà il tuo insegnamento.
(T-20.VII.8:4)
E con la sua solita ironia, ad un certo punto il Corso sintetizza il tutto con due frasi molto divertenti:
Dai le dimissioni ora da insegnante di te stesso.
(T-12.V.8:3)
Non ricordare nulla di ciò che ti sei insegnato, poiché ti è stato insegnato malamente.
(T-28.I.7:1)
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La prima sezione del capitolo 21 del Testo è giustamente famosa, perché contiene una delle più poetiche descrizioni di ciò che la visione può mostrare a chi è disponibile a vedere con occhi diversi.
La sezione inizia con la descrizione della cecità che fa parte della condizione umana. Abbiamo già letto il primo paragrafo negli spunti delle scorse settimane (per rileggerli cliccare qui). Procediamo ora con la lettura di alcuni dei paragrafi successivi.
I ciechi si abituano al loro mondo adattandosi ad esso. Pensano di sapere qual è la loro strada in esso. L’hanno imparato, non con lezioni gioiose, ma con la dura necessità di limiti che credevano di non poter superare. E siccome lo credono ancora, tengono a cuore queste lezioni, e si aggrappano ad esse perché non possono vedere. Non comprendono che le lezioni li mantengono ciechi. A questo non credono. E così mantengono nella loro immaginazione il mondo che hanno imparato a “vedere”, credendo che la loro scelta sia tra quello o niente. Odiano il mondo che hanno imparato attraverso il dolore. E tutto ciò che pensano si trovi in esso serve a ricordare loro che sono incompleti e amaramente deprivati. (T-21.I.4)
Sono parole che richiamano alla mente un altro celebre passaggio, il Mito della Caverna raccontato da Platone in una sua opera: il VII Libro della Repubblica. In esso il filosofo traccia un’allegoria della condizione umana, paragonandola a quella in cui si potrebbero trovare dei prigionieri incatenati fin dalla nascita in una grotta sotterranea, incapaci - a causa delle catene che impediscono loro qualsiasi movimento - di liberarsi ed emergere alla luce. Non potendo muovere la testa in nessuna direzione, questi prigionieri possono solo fissare davanti a sé il fondo della caverna, dove vedono muoversi le ombre proiettate dallo scorrimento di ogni sorta di oggetti dietro le proprie spalle. Abituati a ciò fin dalla nascita, e non avendo potuto sperimentare nulla di diverso, credono che le ombre siano degli oggetti e dei personaggi reali. Il buio in cui sono immersi, e la condizione di prigionia, impediscono loro di comprendere che la realtà non ha nulla a che fare con le ombre. Dovrebbero uscire dalla caverna per rendersi conto che la realtà è ben diversa da quella che hanno appreso fin dalla propria nascita.
Allo stesso modo, secondo il Corso noi non ci troviamo nella realtà ma in una dimensione d’ombra. Anche noi siamo “incatenati” fin dalla nascita in questa condizione, e anche noi non abbiamo idea alcuna del fatto che la realtà non abbia assolutamente nulla a che fare con quella che siamo abituati a definire “realtà”. Come i prigionieri descritti nel mito platonico, anche noi ci siamo adattati al nostro mondo di ombre, che abbiamo appreso con lezioni durissime. E continuiamo a rimanere aggrappati a questo mondo perché crediamo sia la realtà e non abbiamo idea di poter accedere ad un mondo diverso. Siamo ciechi che:
Definiscono così la loro vita e il luogo in cui vivono, adattandosi ad esso come pensano di dover fare, timorosi di perdere quel poco che hanno. (T-21.I.5:1)
Ma dopo questi sconfortanti paragrafi iniziali, la bellissima sezione del capitolo 21 ci propone un quadro completamente diverso, chiedendoci di vedere se affiora in noi un qualche ricordo di ciò che sta per raccontarci.
Ascolta, e cerca di pensare se ti ricordi di ciò di cui parleremo ora.
Oltre il corpo, oltre il sole e le stelle, oltre tutto ciò che vedi e ti è tuttavia in qualche modo familiare, c’è un arco di luce dorata che quando guardi si allunga diventando un grande cerchio splendente. E tutto il cerchio si riempie di luce davanti ai tuoi occhi. I confini del cerchio scompaiono e ciò che si trova in esso non è più contenuto. La luce si espande e ricopre ogni cosa, si estende all’infinito splendendo per sempre senza fratture o limiti in nessun luogo. In esso tutto è unito in perfetta continuità. E non si può immaginare che qualcosa possa esserne al di fuori, perché non c’è luogo in cui non ci sia questa luce. (T-21.I.5:5;8:1-6)
Anche questa è un’allegoria. Proprio come il mito raccontato da Platone descrive allegoricamente il buio in cui siamo immersi, così il cerchio di luce dorata illustrato dal Corso descrive allegoricamente la condizione dell’Uno, la Realtà da cui crediamo di essere inesorabilmente separati. Lo splendido cerchio di luce non può più essere visto nel buio della caverna, perché gli occhi dei ciechi non sono più capaci di vedere. Ma è un’esperienza che si può ricordare, se c’è la volontà di farlo. E il Corso ci insegna come si fa: attraverso quel procedimento interiore che definisce “perdono”. La premessa indispensabile è riconoscere di essere al buio, di non vedere, di essere incatenati fin dalla nascita in una condizione che ci impedisce di volgerci alla luce: questo è il primo passo del perdono. E poi è necessario avere la determinazione di vedere in un altro modo ricorrendo all’aiuto di una Presenza interiore incompatibile con il buio, e quindi in grado di farci uscire da esso: questo è il secondo passo.
E allora affiora alla nostra consapevolezza il ricordo di uno stato completamente diverso, uno stato che non è possibile vedere con gli occhi del corpo, che si sono abituati all’oscurità e la confondono con la luce, uno stato che si può ricordare solo con gli occhi interiori, gli occhi della mente. E questo stato - il ricordo della luce, la visione - è il terzo passo, ossia il dono di quella Presenza interiore incompatibile con il buio.
Aprire gli occhi ai ciechi è la missione dello Spirito Santo, perché Egli sa che non hanno perso la loro visione, ma semplicemente dormono. Egli li risveglierà dal sonno dell’oblio al ricordo di Dio. (T-12.VI.4:2-3)
Questo ricordo della Luce di Dio è dunque la visione di cui parla il Corso, a cui possono accedere quegli studenti che sono disposti – con i passi del perdono - a mettere in discussione le false immagini che il carceriere-ego mette continuamente di fronte ai loro occhi. E se saranno disposti a farlo, allora i prigionieri potranno fare esperienza del miracolo: ricorderanno la luce anche nel mondo dell’oscurità.
E adesso i ciechi possono vedere.... La cecità che hanno fatto non ostacolerà il ricordo di questo canto. E vedranno la visione del Figlio di Dio, ricordando di chi è che stanno cantando. Cos’è un miracolo se non questo ricordo? E chi c’è che non abbia questo ricordo dentro di sé? La luce in uno risveglia la luce in tutti. E quando la vedi in tuo fratello, stai ricordando per tutti. (T-21.I.10)
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La correzione è per tutti quelli che non sono in grado di vedere.
Aprire gli occhi ai ciechi è la missione dello Spirito Santo, perché Egli sa che non hanno perso la visione, ma semplicemente dormono. Egli li risveglierà dal sonno dell’oblio al ricordo di Dio.
Gli occhi di Cristo sono aperti ed Egli guarderà qualsiasi cosa tu vedi con amore se accetterai la Sua visione come tua. Lo Spirito Santo conserva la visione di Cristo per ogni Figlio di Dio che dorme. Ai Suoi occhi il Figlio di Dio è perfetto ed Egli desidera ardentemente condividere la Sua visione con te.
(T-12.VI.4:1-6)
Negli anni passati ho dedicato molti spunti alla funzione dello Spirito Santo. Per rileggerli, è possibile accedere all’indice di tutti gli spunti cliccando qui, e poi risalire alle voci relative e selezionarle (spunti 291-324).
Abbiamo visto che lo Spirito Santo – nell’accezione del Corso - svolge la basilare funzione di correggere il nostro sistema di pensiero sbagliato, basato sulla falsa credenza nella separazione da Dio, rappresentata e difesa a spada tratta dall’ego. La Sua correzione procede da una premessa diametralmente opposta: l’idea che la nostra separazione sia puramente illusoria. È un’idea che risale direttamente a Dio, di Cui Egli è la Voce parlante. Un’idea di cui Cristo (cioè il Figlio di Dio, Che secondo il Corso costituisce la nostra vera Identità) è perfettamente consapevole. Per questa ragione lo Spirito Santo viene definito in molti modi: il Correttore, l’Interprete, il Traduttore, la Voce Che parla per Dio, la Risposta (che ovviamente presume una domanda, termine con cui il Corso definisce l’ego), la Guida in un paese lontano (cioè nella dimensione mentale che noi definiamo “vita”), e così via.
Nella citazione odierna leggiamo una definizione della funzione o missione dello Spirito Santo che compare raramente nel Corso: Egli è Colui Che apre gli occhi ai ciechi. E chi sono i ciechi? Come abbiamo visto negli ultimi spunti, dedicati appunto alla cecità, siamo proprio noi. (Per rileggere questi spunti cliccare qui)
Dunque la missione dello Spirito Santo è di aprirci gli occhi, mostrandoci la luce che non abbiamo perso, ma che nel nostro stato di obnubilamento e sonnolenza non riusciamo più a vedere. Egli può ricondurci alla visione, uno stato percettivo con cui non siamo più in contatto, perché – seguendo le indicazioni ingannevoli dell’ego - lo abbiamo rimpiazzato con la vista fisica. Di conseguenza crediamo già di vedere, e non pensiamo affatto di aver bisogno di aiuto per uscire dalla nostra cecità e riacquistare quella visione che ci appartiene ma che abbiamo dimenticato. Ecco perché il Corso sottolinea in continuazione che è necessario il nostro intervento per accedere al dono che lo Spirito Santo tiene in serbo per noi. Questo intervento è rappresentato dalla nostra accettazione della visione. Ma ovviamente come possiamo accettare ciò di cui non pensiamo nemmeno di avere bisogno? Quindi tale accettazione deve essere preceduta dalla consapevolezza che ciò che vediamo con gli occhi del corpo non è la verità quanto piuttosto una percezione distorta, una trappola percettiva nella quale l’ego ci trascina in ogni singolo istante.
Questi due passaggi non sono nient’altro che i due passi del perdono insegnati in tutto il Corso: prendere coscienza dell’inganno in cui siamo precipitati, e desiderare con determinazione e disponibilità di uscirne chiedendo aiuto a Chi è in grado di fornirlo. Solo in questo modo possiamo effettivamente cominciare a sperimentare la visione.
La visione è il mezzo con cui lo Spirito Santo trasforma i tuoi incubi in sogni felici, le tue selvagge allucinazioni che ti mostrano tutti i paurosi risultati di peccati inventati, in immagini calme e rassicuranti con le quali Egli le sostituisce. Queste dolci immagini e questi suoni vengono guardati felicemente e uditi con gioia. Sono i Suoi sostituti per tutte le immagini terrificanti e i suoni urlanti che lo scopo dell’ego ha portato alla tua consapevolezza inorridita. Essi ti allontanano dal peccato, ricordandoti che ciò che ti spaventa non è la realtà e che gli errori che hai fatto possono essere corretti.
(T-20.VIII.10:4-7)
Dunque si tratta di guardare senza paraocchi tutte le immagini terrificanti e i suoni urlanti dell’ego. E questo significa che i due passi del perdono (guardare senza giudizio e chiedere aiuto) non vanno svolti in modo astratto, assumendosi vagamente la responsabilità di vedere le distorsioni dentro la nostra mente e scegliendo in modo altrettanto vago di vedere in un altro modo. ASSOLUTAMENTE NO! Come il Corso spiega accuratamente nell’introduzione al libro degli esercizi (L-pI.In.6), i passi del perdono vanno applicati in modo molto specifico all’interno delle relazioni, che - secondo il Corso - costituiscono il nostro programma di studio quotidiano. Proprio in quella vicenda specifica che stiamo vivendo con un nostro famigliare, in quello specifico appuntamento di lavoro, in quella specifica visita medica, in quella specifica difficoltà economica, noi dobbiamo imparare a renderci conto che il nostro modo di vedere è distorto, e dobbiamo imparare a sviluppare la volontà di aprirci ad una nuova percezione.
Siccome la vista è stata fatta per condurre lontano dalla verità, essa può essere ridiretta. I suoni diventano il richiamo di Dio, e a tutta la percezione può essere dato un nuovo scopo da Colui Che Dio ha nominato Salvatore del mondo. Segui la Sua Luce e vedi il mondo come Egli lo vede. Senti solo la Sua Voce in tutto ciò che ti parla. E lascia che Lui ti dia la pace e la certezza che tu hai gettato via, ma che il Cielo ha conservato per te in Lui,
(L-pII.3.4)
Solo con queste due premesse indispensabili potrà avvenire il miracolo della visione e ci sarà dato fare esperienza di quel terzo passo del perdono che rappresenta l’uscita dai limiti ristretti della nostra percezione, così da aprirci ad una vastità che prima non riuscivamo a sperare, e nemmeno ad immaginare.
Non c’è problema, evento, situazione o perplessità che la visione non risolva. Tutto è redento quando è contemplato con la visione. Perché questa non è la tua vista, e porta con sé le leggi beneamate di Colui del Quale è la vista.
(T-20.VIII.5:7-9)
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Nello spunto 409 (per rileggerlo cliccare qui) abbiamo visto che la visione dipende dalla nostra decisione di vedere. La visione è un dono dello Spirito Santo, ma per riceverlo dobbiamo compiere dei passi - definiti “perdono” nel Corso - che testimoniano la nostra intenzione profonda.
Abbiamo visto che questo argomento viene affrontato in 4 lezioni che ci chiedono non solo la determinazione a raggiungere la visione (lezioni 20 e 21), ma addirittura la determinazione a dare a questa intenzione la priorità su tutti gli altri desideri (lezioni 27 e 28). È chiaramente un impegno importante, e può essere utile ricordare a questo proposito che le lezioni del Corso vanno praticate in modo gentile, senza alcun senso di obbligo. Sono delle idee che ci vengono proposte, e che noi scegliamo di praticare con i nostri tempi. Questa informazione viene fornita addirittura all’inizio di tutto il corpus dei tre libri, nell’introduzione, e dovrebbe essere tenuta a mente man mano che si prosegue nel proprio processo interiore.
Libero arbitrio…. Significa solo che puoi scegliere cosa vuoi imparare in un determinato momento.
(In 1:4-5)
Come il Corso ci ripete in continuazione, siamo noi a scegliere quando imparare una determinata lezione, e qualsiasi auto imposizione rischia di rallentare, invece che accelerare, il nostro percorso.
Tuttavia, se sentiamo il bisogno di cambiare la nostra percezione errata (in altri termini di raggiungere la visione, perché è questo il significato che il Corso conferisce al termine “visione”), allora possiamo provare a praticare le lezioni 20 e 21, suggerite dal libro degli esercizi. E se non ne possiamo veramente più dei circoli viziosi che l’ego instaura dentro la nostra mente, e vogliamo veramente accedere ad uno stato interiore più salutare, allora daremo il benvenuto anche alle lezioni 27 e 28. Non sentiremo in esse alcun tipo di pressione. Anzi, le accoglieremo con sollievo e gratitudine, perché ci faranno lo stesso effetto di un sorso di acqua fresca in una giornata di afa soffocante.
Le lezioni successive, la 29 e la 30, ci offrono un assaggio di quello che la visione ci può mostrare: la presenza di Dio in tutto ciò che vediamo. E chiariscono bene che tale presenza non è inerente alle cose, ma dipende dall’aver cambiato la nostra mente. In altri termini, come precisa la lezione 30, Dio è in tutto ciò che vediamo perché Dio è dentro la nostra mente. O, per dirla ancora in un altro modo, Dio sarà percepibile in tutto perché gli faremo spazio nella nostra mente, scegliendo di vederLo nel nostro spazio interiore.
Ci sono due frasi interessanti in queste due lezioni. La prima si trova nella 29, e dice:
L’idea di oggi è tutto ciò su cui si fonda la visione.
(L-pI.29.1:5)
La seconda, che si trova nella 30, annuncia:
L’idea di oggi è il trampolino di lancio per la visione.
(L-pI.30.1:1)
Insomma: queste due idee costituiscono sia la base che il punto di partenza per raggiungere la visione, perché suggeriscono che la visione si conquista scegliendola. Non è indipendente dalla nostra volontà. Dipende da essa.
E come la si sceglie? Ci vuole un metodo, ovviamente. E le varie spiritualità del mondo ne propongono molti, che si adattano ai loro specifici modelli di pensiero, alle loro forme. Di conseguenza anche il Corso propone un suo metodo in linea con il modello di pensiero che espone nel Testo, basato sulla sua teoria metafisica. Lo definisce “perdono”, spiegando in più punti che il termine ha un significato diverso da quello usuale. E lo delinea con grande chiarezza e nei minimi dettagli.
In questi spunti non abbiamo parlato d’altro. Chi vuole documentarsi maggiormente, o rileggere qualcosa già letto in passato, può accedere all’indice degli spunti (cliccando qui) e selezionare l’argomento che preferisce approfondire.
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Dio è in tutto ciò che vedo.
(L-pI.29-titolo)
Due lezioni nel libro degli esercizi sono strettamente collegate alla visione. La prima si autodefinisce “la base della visione” (L-pI.29.1:5), mentre la seconda sostiene di esserne il “trampolino di lancio” (L-pI.30.1:1).
Sono due definizioni veramente curiose! Ma che cosa significano precisamente?
Partiamo dal primo paragrafo della lezione 29:
L’idea di oggi spiega perché puoi vedere uno scopo in ogni cosa. Spiega perché nulla è separato, in sé e per sé. E spiega perché nulla di ciò che vedi ha alcun significato. In effetti spiega tutte le idee che abbiamo usato finora, ed anche tutte le successive. L’idea di oggi è tutto ciò su cui si fonda la visione.
(L-pI.29.1)
Dunque, l’idea della lezione 29 è la base della visione, perché la visione si fonda sulla Presenza di Dio, Che noi avvertiamo ogniqualvolta non percepiamo un senso di separazione fra noi e gli altri. Questo è lo scopo che dobbiamo apprendere- poco alla volta- ad assegnare a tutto ciò che vediamo: lo scopo di vedere con gli occhi spirituali, invece che con gli occhi dell’ego basati sulla separazione. E questo conferirà senso e significato a tutta la percezione, mentre il vedere ordinario, basato sulla percezione di oggetti separati, è totalmente privo di significato perché completamente alieno alla realtà.
Il paragrafo 2 aggiunge che forse ci sarà difficile comprendere quest’idea perché- all’inizio del libro degli esercizi- non abbiamo ancora maturato quell’esperienza che mostra la veridicità di un’affermazione del genere. L’idea ci potrà apparire stupida, irriverente, insensata, divertente e persino biasimevole! (#2:2) E - precisa ulteriormente la frase successiva - Certamente Dio non è in un tavolo così come tu lo vedi” (#2:3). Questo significa che la Presenza di Dio, per il Corso, non è avvertibile se noi guardiamo le cose come siamo abituati a fare, ossia con gli occhi dell’ego, della separazione e dell’attacco.
Queste frasi sottintendono dunque che la visione si impara. È una conquista. È la scelta di vedere le cose in modo diverso da come ci appaiono a prima vista. È la scelta di ammettere l’eventualità di vedere tutto in modo distorto, ma anche di aprirsi alla possibilità di accedere ad un diverso e più sano modo di vedere. Con la nostra percezione ristretta e limitata vediamo le cose in modo estremamente parziale e fazioso. Ma aprendoci alla visione possiamo estendere la nostra visuale fino al punto di intravedere la Presenza di Dio in tutto, assolutamente tutto.
Questo è il dono che riceviamo provando a praticare i passi del perdono: inizialmente possiamo renderci conto di come i nostri costanti attacchi – spesso mascherati di buonismo- sono la reazione distorta ad un modo di vedere distorto. E poi possiamo avere la disponibilità interiore ad aprirci ad un modo di vedere diverso, un modo che da soli non potremmo mai raggiungere, ma che diviene facile con l’aiuto dello Spirito Santo.
Quindi oggi prova a cominciare ad imparare a guardare tutte le cose con amore, apprezzamento e apertura mentale. Tu non le vedi ora. Vuoi sapere cosa si cela in esse? Nulla è come ti appare. Il loro scopo santo è al di là della tua sfera limitata. Quando la visione ti avrà mostrato la santità che illumina il mondo, comprenderai perfettamente l’idea di oggi. E non ti spiegherai come abbia mai potuto trovarla difficile.
(L-pI.29.3)
Ecco perché – come abbiamo letto all’inizio - la meravigliosa frase della lezione 29 è la base per la visione!
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Dio è in tutto ciò che vedo perché Dio è nella mia mente.(L-30-titolo)
Nello spunto della scorsa settimana ci siamo concentrati su una lezione del libro degli esercizi, che sostiene di contenere l’idea su cui si fonda la visione. (per rileggerlo, cliccare qui) L’idea contiene l’invito a vedere Dio in tutto, sottolineando che questo significa percepire il senso di unione che ci lega gli uni agli altri, lo scopo comune. Essendo l’opposto del sistema di pensiero dell’ego basato sulla separazione, l’invito all’unione dà significato a tutta la percezione, perché le indirizza verso uno scopo costruttivo e guaritore. E - precisa ulteriormente la lezione - consiste nel vedere tutto con amore, apprezzamento e apertura mentale.
Se tutto questo può anche essere teoricamente comprensibile, sembra molto più difficile da applicare sul piano pratico. Come si può vedere con amore qualcuno che ha compiuto un abuso o un crimine? Come si fa ad apprezzare una persona che si è dimostrata stupida, incompetente o addirittura malvagia? Come si fa a mostrare apertura mentale nei confronti di un’azione inconcludente o nociva?
La lezione 30 risponde a tutte queste domande, perché pone la fonte della visione dentro la nostra mente. È lì che si trova la molla che ci permette di vedere le cose in modo diverso, e addirittura di vedere Dio (riflesso nella nostra unione con gli altri) in tutte le cose. In effetti la lezione 30 si autodefinisce addirittura “il trampolino di lancio per la visione” (#1:1). Cos’è un trampolino di lancio? È la postazione dalla quale uno si proietta verso un obiettivo che non riuscirebbe a raggiungere mantenendo il passo a cui è abituato. Dunque il Corso ci annuncia che se siamo disponibili ad applicare l’idea del giorno, ci troviamo nella posizione corretta per spiccare il volo verso la visione.
E qual è questo trampolino? Come abbiamo letto all’inizio, è il riconoscimento che per poter vedere Dio in tutto bisogna prima vederlo dentro la propria mente. Per avere la visione all’esterno, dobbiamo prima avere la visione all’interno. E il Corso ci dice anche come si fa: con il processo del perdono, che ci insegna in primo luogo ad assumerci la responsabilità del nostro modo malato di percepire, per poi invitarci a chiedere un aiuto spirituale in grado di traghettarci verso una modalità percettiva alla quale non riusciremmo ad accedere da soli.
Avevamo già trovato nel Testo alcune frasi che andavano nella stessa direzione:
…. devi guardare dentro prima di guardare fuori. Mentre guardi dentro scegli la guida per vedere. E poi guardi fuori e ne vedi le testimonianze. Questo è il motivo per cui trovi ciò che cerchi. Renderai manifesto ciò che vuoi dentro di te, e lo accetterai dal mondo, perché, volendolo, ve lo hai messo.
(T-12.VII.7:1-5)
Queste frasi sembrano ribaltare il problema: la questione non è tanto “come faccio a vedere il mondo in modo spirituale? Come faccio a vedere Dio in tutto ciò che vedo? Come faccio ad avere la visione? Alla luce delle frasi appena lette, la questione sembra essere “voglio veramente avere la visione?”
Il Corso, con le lezioni 29 e 30, ci offre la base e il trampolino di lancio per questa percezione mutata che può veramente illuminare la nostra vita, dandole uno scopo radioso e facendoci sperimentare una gioia e una pace che prima non riuscivamo nemmeno ad immaginare.
Ma noi vogliamo veramente lanciarci verso di essa?
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Negli ultimi spunti ci siamo soffermati su due lezioni del libro degli esercizi- la 29 e la 30- che annunciano cosa la visione può mostrare al volonteroso studente del Corso, se e quando sarà finalmente disposto a sceglierla ed accoglierla. L’argomento era già stato introdotto in alcune delle lezioni precedenti: la 8, la 10, la 15, la 20, la 23, la 27 e la 28. Come spesso succede nel Corso un argomento viene infatti accennato ripetutamente prima di essere affrontato in modo completo. A dire la verità nemmeno le lezioni 29 e 30 spiegano in modo esaustivo la natura della visione. Esse aggiungono semplicemente un ulteriore tassello a quel puzzle di informazioni e pratiche graduali che - nel loro complesso - si propongono di offrire allo studente un metodo completo da applicare nel quotidiano per il resto della sua vita. Questo andamento didattico è stato ripetutamente definito da Kenneth Wapnick “lo stile sinfonico del Corso”, perché - proprio come in una sinfonia - un tema viene proposto, abbandonato, ripreso, sviluppato, e infine lasciato cadere. E naturalmente i temi/ argomenti proposti sono molti, e questo fa sì si intersechino fra di loro formando un tessuto variegato e composito. Questo rende a volte la lettura del Corso un po’ frustrante, perché la nostra mente lineare preferirebbe arrivare alla conclusione di un argomento prima di iniziare quello successivo, cosa che nel Corso non avviene quasi mai. Ma la rende anche molto affascinante perché sposta l’attenzione del lettore su un piano diverso. Insomma il libro andrebbe letto e studiato con la visuale con cui si osserva un’opera d’arte, più che come si affronta un trattato scientifico.
Ma ritorniamo all’argomento che stiamo esplorando da molti spunti, per la precisione dallo spunto 407 (per rileggerli tutti cliccare qui): la visione. Eravamo arrivati alla lezione 30, che si autodefinisce “il trampolino della visione”, proponendoci una pratica che aprirà il nostro sguardo interiore in modo tale da permetterci di vedere ciò che in precedenza non avevamo mai visto. Giova ricordare che sempre di sguardo interiore si tratta, e non di forme esteriori, perché questa è la differenza fondamentale fra l’abituale modo di vedere e quanto il Corso definisce visione:
Tu guardi ancora con gli occhi del corpo ed essi non possono vedere che spine. Tuttavia hai chiesto e ricevuto un altro modo di vedere. Coloro che accettano come proprio lo scopo dello Spirito Santo condividono anche la Sua visione.
(T-20.II.5:1-3)
Il secondo paragrafo della lezione 30 sottolinea la differenza fra il modo di vedere proposto dall’ego e la visione spirituale, usando un argomento che lo studente a questo punto dovrebbe già conoscere bene: la proiezione. Leggiamo insieme le prime frasi questo paragrafo:
Oggi cerchiamo di usare un nuovo tipo di “proiezione”. Non tenteremo di disfarci di ciò che non ci piace vedendolo al di fuori di noi. Cercheremo invece di vedere nel mondo ciò che c’è nella nostra mente e che c’è ciò che vogliamo riconoscere.
(L-pI.30.2:1-3)
Abbiamo visto più e più volte che la proiezione è un’invenzione dell’ego, una difesa che l’ego propone alla mente ogniqualvolta essa vuole disfarsi del senso di colpa ontologico (quello derivante dalla cosiddetta minuscola folle idea, la presunta separazione da Dio:T-27.VIII.6:2).
Ebbene, come abbiamo letto la lezione ci propone un nuovo tipo di “proiezione”. La parola è tra virgolette, perché di fatto non si tratta di una proiezione vera e propria. E infatti nel Testo viene definita diversamente:
Ho detto in precedenza che dipende da te cosa proietti o estendi, ma devi fare l’uno o l’altro, perché questa è una legge della mente, e devi guardare dentro prima di guardare fuori. Mentre guardi dentro scegli la guida per vedere. E poi guardi fuori e ne vedi le testimonianze.
(T-12.VII.7:1-3)
La visione insomma sta al modo di vedere indotto dall’ego come l’estensione sta alla proiezione. Quando proiettiamo sugli altri il nostro senso di colpa, allora li vediamo colpevoli e meritevoli di biasimo e punizione. Quando usiamo il nuovo tipo di “proiezione” (cioè quando estendiamo la percezione corretta indotta dallo Spirito Santo), abbiamo la visione, ossia vediamo in modo amorevole proprio le stesse persone che prima ci sembravano oggettivamente nemiche.
Ma la scelta di vedere/avere la visione, cioè di proiettare/estendere, dipende dall’insegnante interiore che avremo preventivamente scelto. Ed è una scelta che si può compiere solo dopo aver visto l’uso autodistruttivo che facevamo della nostra mente. Questi due passaggi costituiscono quanto il Corso definisce perdono: consapevolizzare dapprima che il problema è nella nostra mente, e scegliere di conseguenza un modo diverso di percepire. È questo che ci porta ad affidarci ad una Guida interiore diversa.
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Continuiamo ad approfondire l’argomento della visione, che ho iniziato a trattare nello spunto 407 (per rileggere tutto quello che ho scritto a proposito, cliccare qui). E ripartiamo dalla lezione 30, su cui ci stiamo soffermando da alcune settimane. Abbiamo visto che la lezione dice di sé di essere il trampolino di lancio per la visione (#1:1) e aggiunge di proporci un nuovo tipo di “proiezione” (#2:1), intendendo con questo che cambiando la prospettiva interiore cambiano anche gli effetti esterni di tale prospettiva. Cambiare la prospettiva interiore è analogo a cambiare l’insegnante o la guida interiore, decidendo insomma di scegliere fra l’ego o lo Spirito Santo, la Voce Che parla per Dio.
Vuoi ospitare Dio o essere ostaggio dell’ego? Accetterai solo chi inviti. Sei libero di determinare chi sarà tuo ospite, e quanto a lungo resterà con te.
(T-11.II.7:1-3)
Se scegliamo di ospitare l’ego dentro la nostra mente, il nostro ospite diverrà immediatamente un padrone crudele e assillante che terrà in ostaggio la nostra mente, instillandovi colpa e paura. Allora la mente – cercando sollievo dalla morsa dell’ego- si sentirà spinta a proiettare all’esterno la propria sofferenza. E questo la porterà a vedere il mondo in termini angoscianti. Se invece ospiteremo lo Spirito Santo, il nostro Ospite gentile e paziente proporrà dolcemente alla nostra mente quella pace che deriva dal sentirsi privi di colpa, e dalla nostra mente la estenderà all’esterno, in un mondo che verrà percepito in termini altrettanto pacifici e amorevoli.
La nostra scelta sarà quella causa che determinerà un effetto ad essa coerente.
Oggi cerchiamo di usare un nuovo tipo di “proiezione”. Non tenteremo di disfarci di ciò che non ci piace vedendolo al di fuori di noi. Cercheremo invece di vedere nel mondo ciò che c’è nella nostra mente e che c’è ciò che vogliamo riconoscere. In tal modo cerchiamo di unirci con ciò che vediamo, invece di mantenerlo separato da noi.
(L-pI.30.2:1-4)
Come abbiamo appena letto, la lezione aggiunge ancora un altro concetto: l’effetto di tale scelta non determinerà solo una diversa e più felice prospettiva, ma ci porterà anche a sperimentare un senso di unione con il mondo esterno. Infatti la proiezione separa, mentre l’estensione unifica. La ragione è abbastanza facile da comprendere: se proiettiamo fuori di noi il disagio che proviamo al nostro interno, lo facciamo proprio per separarci da quanto non vogliamo, escludendo dalla nostra esperienza. Se invece permettiamo allo Spirito Santo di estendere il senso di pace interiore non sarà per disfarcene, ma per unirci a ciò che sta all’esterno di noi. Abbiamo già affrontato questo argomento in alcuni spunti passati, dal 391 in poi. Chi desidera rileggerli, può cliccare qui.
Il mondo apparirà allora sotto una luce completamente diversa rispetto al modo abituale che ci presentano gli occhi del corpo, fatti proprio per non vedere la luce. E - come conclude il paragrafo - questa differenza non è cosa da poco, perché ci porta a sperimentare unione invece di separazione. Questo risolverà praticamente l’unico problema che crediamo di avere - la minuscola folle idea di separazione da Dio: (T-27.VIII.6:2) - costantemente sperimentata nel mondo attraverso la separazione fra noi e gli altri.
Questa è la differenza principale tra la visione ed il modo nel quale tu vedi.
(L-pI.30.2:5)
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Da qualche spunto stiamo considerando alcune delle lezioni del libro degli esercizi che parlano della visione. Per rileggerli cliccare qui. Abbiamo visto che l’argomento è stato introdotto nella lezione 8 con una dichiarazione che preannuncia il primo passo del perdono, che verrà poi descritto solo a partire dalla lezione 23:
Il primo passo nell’aprire la strada alla visione consiste nel riconoscere che la tua mente era semplicemente vuota, anziché credere che fosse piena di idee concrete.
(L-pI.8.3:3)
In altri termini se non riconosciamo che i nostri pensieri sono privi di fondamento, e quindi – come dice la lezione stessa- di fatto sono dei non-pensieri, non saremo disposti ad aprire la nostra mente così che possa ricevere dei pensieri diversi.
Pochissimi si sono resi conto di cosa implichi veramente raffigurare il passato o prevedere il futuro. La mente è veramente vuota quando fa questo, perché in realtà non sta pensando a niente. Lo scopo degli esercizi di oggi è di iniziare ad allenare la tua mente a riconoscere quando in realtà non sta affatto pensando.
(L-pI.8.2:3-4/3:1).
Dunque la nostra mente è vuota quando si concentra su passato e futuro. In quei momenti non pensa a nulla, perché non fa altro che rivangare in forma diversa quella minuscola folle idea di separazione da Dio che non è mai avvenuta (T-27.VIII.6). Si concentra su qualcosa che non c’è e- per definizione- non può essere perché si opporrebbe alla Volontà di Dio. È interessante notare come il Corso metta sullo stesso piano passato e futuro. Entrambi sono tempi irreali, perché si oppongono all’istante santo, l’unico momento che riflette la Realtà. E di fatto concentrarsi su di essi è la stessa identica cosa, perché proprio l’atto di concentrarsi sul futuro non è altro se non il tentativo di rimettere in atto il passato in forma diversa.
L’ego ha una strana nozione del tempo e potresti benissimo cominciare a metterlo in dubbio partendo da questa nozione. L’ego investe pesantemente nel passato e alla fine crede che il passato sia il solo aspetto significativo del tempo. Ricorda che la sua enfasi sulla colpa lo mette in grado di assicurarsi la sua continuità rendendo il futuro come il passato, e così evitando il presente. Con la nozione di pagare nel futuro per il passato, il passato diventa ciò che determina il futuro, rendendoli continui senza l’intervento del presente. Poiché l’ego considera il presente soltanto come una breve transizione verso il futuro, nella quale porta il passato nel futuro interpretando il presente nei termini del passato.
(T-13.IV.4)
L’unica dimensione temporale che riflette la realtà, ci dice il Corso, è l’ora e qui: quell’istante santo di liberazione in cui si sceglie il perdono.
Ciò che non è perdonato è una voce che chiama da un passato definitivamente scomparso. E tutto ciò che lo indica come se fosse reale, non è che un desiderio che ciò che è finito possa essere reso di nuovo reale e visto come se fosse qui e ora, al posto di ciò che è veramente ora e qui.
(T-26.V.8:1-2)
Ho trattato l’argomento del tempo e del collegamento che l’ego fa tra passato e futuro negli spunti 177-206. Per rileggerli cliccare qui.
Cosa deduciamo da tutto ciò? Che la visione è impossibile se fissiamo la nostra mente sul passato, ossia se rimaniamo legati a ciò che è avvenuto, vuoi per nostalgia o rimpianto di ciò che crediamo perduto per sempre, vuoi per rancore o rimorso di ciò che non avremmo voluto avvenisse. Ma è anche impossibile se fissiamo la nostra mente sul futuro, timorosi che possa ripetersi quanto in passato ci è parso doloroso, e nel desiderio che le cose possano migliorare o modificarsi in base alle nostre aspettative e ai nostri interessi personali. È solo nel momento presente che possiamo lasciar andare le nostre ossessioni, scegliendo di vedere le cose in un altro modo. Allora sarà possibile la visione, quella percezione mutata accompagnata dalla pace interiore e da un reale senso di liberazione dalle costrizioni.
Come sostiene la prima frase citata in questo spunto, se non riconosciamo prima di tutto che la nostra mente, quando è ossessionata dal passato e dal futuro, è semplicemente vuota e non sta pensando a nulla (questo riconoscimento è il primo passo del perdono), non avremo il desiderio e la disponibilità per chiedere aiuto ad un diverso Insegnante interiore (questo è il secondo passo del perdono), e quindi ci sarà impossibile accedere a quel mutamento di prospettiva donatoci dallo Spirito Santo, che il Corso definisce visione (e che rappresenta il terzo passo del perdono).
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Nello spunto della scorsa settimana (per rileggerlo cliccare qui) abbiamo visto che:
Il primo passo nell’aprire la strada alla visione consiste nel riconoscere che la tua mente era semplicemente vuota, anziché credere che fosse piena di idee concrete.
(L-pI.8.3:3 )
In altri termini il primo passo che apre la strada alla visione coincide con il primo passo del perdono, ossia con la disponibilità interiore a riconoscere che non stiamo pensando in modo corretto, anzi forse non stiamo pensando affatto. La lezione- la seconda dedicata all’importante argomento del tempo- ci spiega infatti che quando si sofferma sul passato e sul futuro la nostra mente sta per definizione concentrandosi su qualcosa che non c’è, e quindi -pensando al niente– di fatto non sta pensando per niente.
Lo stesso concetto viene ripreso nella lezione 10:
Quest’aspetto del processo di correzione è iniziato con l’idea che i pensieri di cui sei consapevole non hanno significato, sono esterni piuttosto che interni, ed è stata sottolineata la loro appartenenza al passato piuttosto che alla condizione presente. Adesso stiamo mettendo in evidenza il fatto che la presenza di questi “pensieri” significa che tu non stai pensando. Questo è semplicemente un altro modo di ripetere l’affermazione precedente che in realtà la tua mente è vuota. Riconoscere ciò significa riconoscere il nulla quando credi di vederlo. In quanto tale è il prerequisito per la visione.
(L-pI.10.3)
Che questa presa di coscienza coincida con il primo passo del perdono è implicito proprio nell’uso dei termini. L’espressione “processo di correzione” – o “procedura di correzione” - è infatti proprio la stessa adottata all’inizio del testo (T-2.VI.7:3; T-2.VII.5:8) per definire quello che in seguito verrà chiamato “perdono”. Ed è un uso assolutamente allineato alla teoria del Corso, se ricordiamo che il perdono proposto dal Corso non è altro se non un metodo per correggere la mente di chi pensa, e non ha nulla a che fare con l’oggetto dei propri pensieri. In sostanza non perdoniamo una persona o una situazione, ma i pensieri che pensiamo (o - come abbiamo appena letto - non pensiamo) relativamente ad una persona o a una situazione.
Questo è quanto viene sinteticamente affermato in una delle più celebri definizioni che il Corso fornisce a proposito del perdono. Una frase che sostiene chiaramente che quanto a noi sembra essere accaduto (esserci arrabbiati, aver paura, sentirci traditi, abbandonati, offesi, feriti, umiliati: in sostanza aver perso la pace interiore) non è causato dagli eventi oggettivi che sembrano turbarci, ma dall’interpretazione che ne diamo:
Il perdono riconosce che ciò che pensavi tuo fratello ti avesse fatto non è accaduto. Non perdona i peccati rendendoli reali. Vede che non c’era alcun peccato.
(L-pII.1.1:1-3)
La lezione 10 ci dice in sostanza che la premessa per perdonare, o per attuare il processo di correzione dei nostri non-pensieri, è basata sul renderci conto che la nostra mente non sta affatto pensando in modo corretto, anzi non sta affatto pensando. Prima di tutto perché i pensieri che pensiamo abitualmente non hanno alcun significato (e questo era stato messo in evidenza nelle prime 4 lezioni del libro degli esercizi); poi perché i pensieri che pensiamo sono solitamente rivolti all’esterno invece che all’interno, all’effetto invece che alla causa, al mondo invece che alla nostra mente (e a questo erano dedicate le lezioni 4 e 5) e infine perché i pensieri che pensiamo sono usualmente associati al passato e al futuro e quindi si concentrano sul nulla (e a quest’ ultimo argomento erano dedicate le lezioni 7,8,9).
Senza questa iniziale presa di coscienza – il primo passo del perdono - sarà assolutamente impossibile cambiare la nostra mente, cioè perdonare. Perché non avremo mai la disponibilità di praticare il passo successivo, il secondo, e quindi di affidarci ad un diverso Insegnante interiore (Che il Corso definisce Spirito Santo) perché corregga il nostro modo errato di pensare. E di conseguenza sarà impossibile sperimentare l’effetto gioioso e liberatorio dei primi due passi: quel terzo passo attuato non da noi ma dallo Spirito Santo e rappresentato dalla visione.
Lascia che Egli sia anche Giudice di tutto ciò che sembra accaderti in questo mondo. Le Sue lezioni ti permetteranno di colmare la distanza tra le illusioni e la verità.
…. Egli giudicherà tutti gli avvenimenti e insegnerà l’unica lezione che contengono. Egli selezionerà in essi gli elementi che rappresentano la verità, e non terrà conto di quegli aspetti che riflettono solo sogni futili. E reinterpreterà tutto ciò che vedi, e tutti gli eventi, ogni circostanza, ogni avvenimento che sembra toccarti in qualsiasi modo a partire dal Suo punto di riferimento, completamente unificato e sicuro. E vedrai l’amore al di là dell’odio, la costanza nel cambiamento, ciò che è puro nel peccato, e solo la benedizione del Cielo sul mondo.
(L-pI.151.9:6-7; 10:3; 11)
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La vera visione è la percezione naturale della vista spirituale, ma è ancora una correzione piuttosto che un fatto. La vista spirituale è simbolica, e quindi non è uno strumento per conoscere. E’, comunque, un mezzo di percezione corretta, che la porta nel vero e proprio regno del miracolo.
(T-3.III.4:1-2)
Da una ventina di spunti stiamo studiando il significato che il Corso conferisce al termine “visione”. Per rileggere quanto studiato finora, cliccare qui. Oggi ci soffermiamo sulla componente percettiva - e di conseguenza simbolica - della visione. Se la visione proviene dalla vista interiore e non ha nulla a che fare con quello che gli occhi fisici percepiscono, allora corregge quanto proprio gli occhi ci portano a vedere e quindi a credere reale. Così, per esempio, con gli occhi possiamo vedere due persone che litigano e sentirci solidali con una delle due e ostili all’altra. In tal modo abbiamo separato percettivamente le due persone, ponendone una nel ruolo della vittima e l’altra nel ruolo del carnefice, seguendo fedelmente i dettami dell’ego che impongono il principio “o l’uno o l’altro”. La visione ci porterebbe a vedere che abbiamo l’opportunità di apprendere una lezione di perdono, vedendo non tanto il diverso ruolo che separa le due persone, ma la loro intrinseca affinità nel chiedere aiuto, anche se in modo sbagliato attraverso l’attacco. E naturalmente anche noi saremmo accomunati in questa richiesta d’aiuto. In sostanza la visione ci porterebbe a sperimentare che gli interessi di tutti coloro che sono coinvolti nella vicenda sono condivisi, invece che separati.
Non è facile arrivare a questo risultato percettivo. Ecco perché la citazione precedente dice che tale percezione corretta ci porta addirittura nel regno del miracolo. Infatti non si tratta soltanto di modificare meccanicamente un modo di vedere, in base a dei parametri teorici che il Corso elenca e discute per 31 capitoli. Si tratta di fare un processo profondo, che ci porta a mettere in discussione il nostro investimento nel voler dare credito a ciò che mostra la vista fisica, invece di dubitarne. In sostanza, perché- a fronte di un litigio- vogliamo vedere l’ostilità e quindi la separazione invece della comunanza di interessi? Qual è lo scopo? Forse le due persone che litigano non ci sono indifferenti? Forse ci identifichiamo con una delle due? Forse esse ci ricordano qualcosa del nostro passato, e parteggiare per una delle due ci permette di prendere una posizione che magari in passato non abbiamo preso? Forse il giudizio nei confronti di una delle due ci consente di vendicarci di un analogo “torto” percepito in passato? Queste domande sono forme diverse di quell’importante domanda che secondo il Corso dovremmo porci in ogni singolo istante della nostra vita, quando siamo stanchi delle nostre percezioni e vorremmo aprici al processo interiore della loro modifica: qual è lo scopo? Una domanda che ci aiuta a praticare il primo passo del perdono, che consiste nel comprendere e vedere che la causa della nostra sofferenza non sta nei fatti esterni, ma nel nostro investimento nel percepirli in modo distorto.
La verifica per tutto ciò che c’è sulla terra è semplicemente questo: “Qual è lo scopo?” La risposta lo rende ciò che è per te. Non ha significato in sé, tuttavia tu puoi dargli realtà, secondo lo scopo che servi.
(T-24.VII.6:1-3)
E quest’ultima citazione ci riporta nuovamente a un punto che abbiamo letto nella citazione iniziale: la vista spirituale è simbolica. Cosa significa? Che la vista spirituale interpreta simbolicamente gli eventi che ci capitano nella vita quotidiana, aiutandoci a vederli come mezzo per poter attuare il processo del perdono. In questo modo possiamo aprirci alla correzione delle nostre deduzioni preconcette, che erano basate sull’apparente realtà ed oggettività di quello che gli occhi fisici ci mostravano.
La visione rappresenta “un altro modo” di vedere. Un modo che riflette la conoscenza del Cielo, cioè lo stato della Mente Una. La visione non è la conoscenza, ma la riflette, la simboleggia. Porta qui, nella nostra percezione illusoria, un tocco di Cielo. Ci permette di sentire qualche nota di quel meraviglioso canto mai del tutto dimenticato, che ci farebbe piangere se ricordassimo quanto ci era caro…
Non è rimasto con te l’intero canto, ma solo un piccolo accenno di melodia, non legato a una persona o a un luogo o a niente di particolare. Ma ricordi, solo da questo piccolo frammento, quanto era amorevole il canto, com’era bello l’ambiente in cui l’hai udito, e come amavi coloro che erano lì e ascoltavano con te.
Le note non sono nulla. Ma tu le hai conservate in te, non per se stesse, ma come un tenero ricordo di ciò che ti farebbe piangere se ricordassi quanto ti era caro…Ascolta, e vedi se ricordi un antico canto che conoscevi molto tempo fa e che ti era più caro di qualsiasi melodia che ti sei insegnato ad apprezzare da allora.
Questa è la visione del Figlio di Dio, che tu conosci bene. Ecco la vista di colui che conosce suo Padre. Ecco il ricordo di ciò che sei: una parte di questo, che dentro di Sé lo contiene tutto, e altrettanto unito a tutto come tutto è unito a te. Accetta la visione che può mostrarti questo e non il corpo. Tu conosci l’antico canto, e lo conosci bene. Nulla ti sarà mai così caro come questo antico inno d’amore che il Figlio di Dio continua a cantare a suo Padre.
(T-21.I.6:2-3; 7:1-2,5; 9)
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La vera visione è la percezione naturale della vista spirituale, ma è ancora una correzione piuttosto che un fatto. La vista spirituale è simbolica, e quindi non è uno strumento per conoscere. E’, comunque, un mezzo di percezione corretta, che la porta nel vero e proprio regno del miracolo.
(T-3.III.4:1-3)
Cosa ci porta ad ottenere la visione? Il perdono. È questo il processo interiore che il Corso ci propone, insegnandoci ad assumerci la responsabilità delle nostre percezioni distorte, in modo da rivolgerci a quel Pensiero di Correzione che definisce Spirito Santo. I due passi che il Corso ci insegna - l’assunzione di responsabilità per il nostro modo malato di vedere, e il chiedere aiuto a tale Pensiero di Correzione per vedere in un altro modo - portano dunque alla visione. E cosa è la visione? È il dono che ci fa lo Spirito Santo sostituendo le immagini interiori di colpa, paura e ansia, che noi avevamo scelto di sperimentare in base alla logica egoica della separazione, con le immagini interiori di pace, gioia e felicità che riflettono o simboleggiano la Realtà della conoscenza.
Siamo noi a fare i primi due passi, ed è lo Spirito Santo a donarci il terzo, la visione.
Leggiamo insieme un brano che descrive il Suo intervento guaritore:
Egli eliminerà ogni fede che hai riposto nel dolore, nel disastro, nella sofferenza e nella perdita. Ti darà la visione che può guardare al di là di queste torve apparenze, e che può vedere il dolce volto di Cristo in tutte loro. Non dubiterai più che solo del bene possa venire a te che sei amato da Dio, perché Egli giudicherà tutti gli avvenimenti e insegnerà l’unica lezione che contengono.
Egli selezionerà in essi gli elementi che rappresentano la verità, e non terrà conto di quegli aspetti che riflettono solo sogni futili. E reinterpreterà tutto ciò che vedi, e tutti gli eventi, ogni circostanza, ogni avvenimento che sembra toccarti in qualsiasi modo a partire dal Suo punto di riferimento, completamente unificato e sicuro. E vedrai l’amore al di là dell’odio, la costanza nel cambiamento, ciò che è puro nel peccato, e solo la benedizione del Cielo sul mondo.
Questa è la tua resurrezione…
(L-pI.151.10-12:1)
La citazione termina con un’affermazione piuttosto impegnativa: la visione è la nostra resurrezione. Che cosa significa? Per capirlo dobbiamo comprendere il significato che il Corso attribuisce alla parola “resurrezione”, andando a consultare- come abbiamo già fatto numerose altre volte- il Glossario dei termini del Corso stilato da Kenneth Wapnick. (per consultare il Glossario cliccare qui)
Resurrezione
risveglio dal sogno di morte; il totale cambiamento di mente che trascende l’ego e le sue percezioni del mondo, del corpo e della morte, consentendoci di identificarci completamente con il nostro vero Sé; usato anche per indicare la resurrezione di Gesù.
Ecco, nel Corso la parola “resurrezione” non definisce il ritorno in vita del corpo fisico dopo la morte, ma il ritorno della mente alla pienezza della vita interiore dopo il suo doloroso vagare nei meandri mortali del sistema di pensiero dell’ego. È uno stato mentale di totale gioia e felicità che non può più essere scosso dalle interferenze venefiche dell’ego, capaci di portare la mente a sperimentare una vera e propria morte interiore. E analogamente la crocifissione non sarà altro che lo stato mentale di angoscia e paura, colpa e peccato, rabbia e vittimismo, vendetta e sacrificio, che sperimentiamo ogni qualvolta scegliamo di indulgere nella morte interiore costituita dal voler credere di essere separati dalla Vita stessa, cioè da Dio.
Nel Corso ci sono molti riferimenti alla Resurrezione, ricevuti da Helen Schucman in occasione delle ricorrenze pasquali. E negli anni passati ho dedicato alcuni spunti a tale argomento. Chi vuole rileggerli può accedere all’indice degli spunti (cliccando qui), dove può trovare i riferimenti relativi alla Pasqua.
La resurrezione avviene al termine del nostro percorso, al raggiungimento di quello stato mentale che il Corso definisce “Mondo reale”, nel quale la mente totalmente guarita sperimenta la completa e definitiva scomparsa dell’ego, cioè della credenza nella minuscola folle idea di separazione da Dio. (T-27.VIII.6:2). Ma in ogni singolo perdono noi possiamo annusarne il profumo, pregustando quell’istante finale di liberazione in cui il nostro viaggio interiore sarà completato e non rimarrà traccia della presenza soffocante dell’ego dentro la nostra mente.
Ecco dunque perché la nostra citazione odierna parla di resurrezione. Perché lo Spirito Santo - il Correttore della percezione - può condurci a questo stato di resurrezione se noi gli permettiamo di interpretare tutte le nostre percezioni distorte, tutto ciò che vediamo, tutti gli eventi, ogni circostanza, ogni avvenimento che sembra toccarci in qualsiasi modo.
Forse ci sembra un obiettivo molto lontano. Tuttavia la settimana santa che stiamo celebrando in questi giorni può aiutarci a riflettere sullo scopo del nostro viaggio interiore, in modo da non indugiare ulteriormente nel mondo della crocifissione mentale a cui l’ego ci ha condannati, ma volgendo fiduciosi lo sguardo verso quella resurrezione che il Corso promette e che Gesù ha sperimentato, indicandoci con il suo esempio straordinario di perdono la strada da seguire.
Non trascorriamo questa settimana santa rimuginando sulla crocifissione del Figlio di Dio, ma in gioiosa celebrazione della sua liberazione. Perché la Pasqua è il segno della pace, non del dolore.
(T-20.I.1:2-3)
Questo è il traguardo finale cui ci porterà la visione, quando e se saremo disponibili a farci condurre dallo Spirito Santo attraverso tutti i sogni di morte, verso i cancelli del Cielo che aprono alla vera Vita.
Questa è la tua resurrezione, perché la tua vita non è parte di niente di ciò che vedi. Essa si trova al di là del corpo e del mondo, oltre ogni testimone della mancanza di santità, entro Ciò Che è Santo, santo come Se Stesso. In ognuno e in ogni cosa la Sua Voce non ti parlerà di altro che non sia il tuo Sé ed il tuo Creatore. Che è Uno con Lui. Così vedrai il santo volto di Cristo in ogni cosa, ed in ogni cosa non sentirai alcun suono tranne l’eco della Voce di Dio.
(L-pI.151.12)
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La vera visione è la percezione naturale della vista spirituale, ma è ancora una correzione piuttosto che un fatto. La vista spirituale è simbolica, e quindi non è uno strumento per conoscere. E’, comunque, un mezzo di percezione corretta, che la porta nel vero e proprio regno del miracolo.
(T-3.III.4:1-3)
Come abbiamo visto negli ultimi spunti (per rileggerli cliccare qui), nel Corso la parola “visione” definisce la percezione corretta. Nulla a che vedere, dunque, con il significato di “apparizione, immagine o scena straordinaria, che si vede, o si crede di aver visto, in stato di estasi o di allucinazione” (Treccani). Ennesima riprova del peculiare uso che il Corso fa del linguaggio.
E non solo la visione non si riferisce alla percezione non ordinaria, ma - come chiarisce la lezione 28 - si può ottenere da qualsiasi oggetto, addirittura da un banalissimo tavolo.
Potresti in effetti ottenere la visione soltanto tramite quel tavolo, se tu ritraessi tutte le tue idee da esso e lo vedessi con una mente completamente aperta. Ha qualcosa da mostrarti, qualcosa di bello, di pulito e d’infinito valore, pieno di felicità e di speranza. Nascosto sotto tutte le tue idee su di esso c’è il suo vero scopo, lo scopo che ha in comune con tutto l’universo.
(L-pI.28.5)
Perché si può ottenere la visione da un semplice tavolo? Perché non c’è gerarchia di illusioni. Le illusioni non sono altro che forme mutevoli, sulle quali l’ego investe pesantemente proprio per sottolinearne l’apparente diversità, volta a nascondere la sottostante uniformità di contenuto. Dunque un tavolo - pur essendo completamente diverso, nella forma, da un fiore, un essere umano o un episodio della nostra vita quotidiana - condivide con essi un medesimo contenuto: lo scopo di disfare l’ego per poter ritornare a quella dimensione di totale pace interiore che il Corso definisce “mondo reale”. È il contenuto o scopo che lo Spirito Santo, cioè il principio di correzione presente nella mente di ognuno di noi, conferisce a tutti gli aspetti dell’illusione, indistintamente. È lo “scopo dell’universo”, lo scopo che sottende universalmente ogni aspetto dell’illusione.
Nell’usare il tavolo come soggetto per applicare l’idea di oggi, tu stai quindi chiedendo veramente di vedere lo scopo dell’universo”
L-pI.28.6:1
La lezione 28 ci propone di praticare la frase “Più di ogni altra cosa io voglio vedere le cose in modo diverso”, chiarendo che nel formulare questa frase ci assumiamo l’impegno di vedere. Possiamo anche dire che è la richiesta che rivolgiamo allo Spirito Santo per ottenere la visione. E questo significa che siamo finalmente disponibili ad aprirci a quella diversa interpretazione delle molteplici forme mutevoli, che le accomuna tutte dando ad esse il medesimo significato.
Quando dici “più di ogni altra cosa io voglio vedere questo tavolo diversamente” stai assumendoti l’impegno di mettere da parte le tue idee preconcette su quel tavolo ed aprire la tua mente a quello che è e a quello che serve. Non lo stai definendo in termini passati. Stai chiedendo che cos’è, piuttosto che dirgli cos’è.
(L-pI.28.3:1-3)
Con il primo passo del perdono mettiamo in pratica la fase preliminare del metodo, perché guardiamo le idee preconcette, e legate al passato, che abbiamo associato ad un certo oggetto o evento o persona. Con il secondo passo ci apriamo ad una percezione alternativa, chiedendo di vedere in modo diverso proprio quell’oggetto o evento o persona. Ci assumiamo l’impegno. La pratica dei primi due passi ci porta al terzo, l’esperienza della visione donataci dallo Spirito Santo. Le nostre allucinazioni soggettive, date allo Spirito Santo, vengono da Lui trasformate in visione.
E tutto questo può essere applicato a qualsiasi oggetto, o evento, o persona.
Una cosa è certa: le allucinazioni servono a uno scopo, e quando questo scopo non è più perseguito, esse scompaiono. Quindi la domanda non è mai se tu le desideri, ma sempre se vuoi lo scopo che esse servono. Questo mondo sembra avere molti scopi, ognuno differente e con valori differenti. Tuttavia essi sono tutti uguali. Ripeto: non c’è un ordine, solo un’apparente gerarchia di valori.
(T-20.VIII.8:6-10)
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Nulla di ciò che vedo ha alcun significato.
La ragione per cui è così, è che ciò che vedo è il nulla, e il nulla non ha alcun significato. È necessario che lo riconosca, per poter imparare a vedere. Ciò che penso di vedere ora sta prendendo il posto della visione. Devo lasciarlo andare rendendomi conto che non ha alcun significato, cosicché la visione possa prenderne il posto.
(L-pI.51.1)
La lezione 51 fa parte del primo ripasso, che viene portato avanti per 10 lezioni dalla 51 alla 60, riproponendo sistematicamente una dopo l’altra le prime 50 lezioni. Quindi nella lezione 51 si ripassano le lezioni 1-5, nella 52 le lezioni 6-10, e così via. Ognuna delle lezioni di ripasso riprende in considerazione 5 frasi già studiate e messe in pratica in precedenza, ma in un modo molto più profondo. Non si tratta in sostanza di un vero e proprio ripasso, quanto piuttosto di una nuova pratica, in cui le idee già studiate vengono riprese da un’angolazione diversa, che ingloba anche concetti più avanzati.
Nella lezione 51 per esempio le prime 5 lezioni non vengono presentate nel modo elementare in cui le abbiamo viste la prima volta, ma sono integrate ad idee che comparivano molto più avanti. In particolare nel ripasso della prima lezione appare sia il concetto di visione, che non c’era affatto nella formulazione iniziale della lezione, sia la pratica del perdono, che nella formulazione iniziale compariva solo nella lezione 23.
Come leggiamo nella citazione iniziale di questo spunto, il Corso ci chiede di riflettere nuovamente su quello che i nostri occhi fisici vedono abitualmente, e su come diamo ad esso un valore ed un significato che non ha assolutamente. In sostanza prendiamo per vere ed oggettive le nostre interpretazioni arbitrarie che- essendo basate sul modo di vedere dell’ego- non sono nulla, perché l’ego non è che la credenza incredibile in un pensiero di separazione mai avvenuto, e quindi non c’è. Così per esempio l’ego ci invita a vedere l’attacco in una persona che alza la voce, o la persecuzione in un disastro naturale che rade al suolo una casa, o la guerra in una discussione di lavoro, e a questo punto noi crederemo veramente di essere stati attaccati, o perseguitati o in guerra. E avremo paura, o ci sentiremo vittime, o ci arrabbieremo. Avremo confuso l’interpretazione con il fatto, e le avremo dato un valore ed un significato oggettivo.
La citazione prosegue con un invito pressante: è necessario che ci rendiamo conto di questa dinamica per poter imparare a vedere. In altri termini è necessario applicare il primo passo del perdono alle nostre presunte certezze. A fronte di ogni convinzione dovremmo sviluppare una nuova abitudine, imparando a domandarci “ciò che vedo è realmente la verità? Oppure è solo una mia interpretazione alla quale ho dato lo status di verità?
Tu non fai altro che confondere l’interpretazione con la verità. E ti sbagli.
(M-18.3:7-8)
Solo prendendo coscienza delle nostre percezioni errate- come ci insegna il primo passo del perdono- sarà possibile accedere alla visione, la percezione corretta proposta dallo Spirito Santo dentro la nostra mente.
Una correzione di natura durevole - e soltanto questa è una correzione vera - non può essere fatta fino a che l’insegnante di Dio non avrà cessato di confondere l’interpretazione con il fatto, o l’illusione con la verità.
(M-18.1:1)
Una volta che avremo preso coscienza dell’errore percettivo, ci troveremo di fronte al secondo passo del perdono, quella decisione interiore che costituisce l’essenza del nostro libero arbitrio: vogliamo continuare a dare credito al nostro vecchio punto di vista, o siamo disposti ad aprirci ad una visione alternativa? Vogliamo forse provare a ricorrere ad un aiuto spirituale per vedere in modo diverso? Vogliamo finalmente dare allo Spirito Santo le nostre percezioni errate, perché Lui le corregga? Questo è il secondo passo del perdono, la nostra seconda responsabilità che consiste -come abbiamo letto nella citazione iniziale- nel lasciar andare le nostre interpretazioni arbitrarie basate sul nulla, e che quindi non hanno alcun significato.
Se pratichiamo i primi due passi potremmo accedere al terzo, l’esperienza della visione, che prenderà il posto di ciò che non ha alcun significato. E allora avverrà il miracolo della percezione mutata dentro la nostra mente: vedremo chiaramente che la persona che alzava la voce non ci stava attaccando, ma manifestava una paura che non era in grado di gestire; vedremo che il disastro naturale non è una persecuzione che rende vittima la persona che abitava in quella casa, ma un’importante opportunità per apprendere una qualche lezione spirituale; e vedremo che l’accesa discussione di lavoro non evidenzia una guerra in corso fra colleghi, ma il tentativo spesso non riconosciuto di trovare un accordo e superare un problema.
Le immagini saranno state sostituite (L-pI.23.5:5), e la pace interiore subentrerà a paura, rabbia e vittimismo.
Quando sarai disposto ad accettare l’esclusiva responsabilità dell’esistenza dell’ego avrai messo da parte tutta la rabbia ed ogni attacco, poiché essi provengono da un tentativo di proiettare la responsabilità dei tuoi errori. Ma dopo aver accettato gli errori come tuoi, non tenerli. Dalli velocemente allo Spirito Santo perché siano disfatti completamente, cosicché tutti i loro effetti svaniscano dalla tua mente e dalla Figliolanza intera.
Lo Spirito Santo ti insegnerà a percepire oltre la tua credenza, poiché la verità è oltre la credenza e la Sua percezione è vera. L’ego può essere completamente dimenticato in qualsiasi momento, poiché è una credenza del tutto incredibile e nessuno può continuare a credere in qualcosa che ha giudicato essere incredibile. Più impari sull’ego, più ti rendi conto che non gli si può credere. L’incredibile non può essere compreso, poiché è incredibile. La mancanza di significato della percezione basata sull’incredibile è evidente, ma è possibile non riconoscere che essa sia al di là della credenza, poiché è fatta dalla credenza.
L’intero scopo di questo corso è insegnarti che l’ego non è credibile e non lo sarà mai.
(T-7.VIII.5:4-7:1)
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Nello spunto della settimana scorsa (per rileggerlo cliccare qui) abbiamo visto che il primo ripasso del libro degli esercizi propone una revisione delle lezioni già studiate, approfondendo le idee già affrontate una prima volta ma inquadrandole in una prospettiva più elevata e globale, che tiene conto di tutti gli argomenti già presi in considerazione nella totalità delle 50 lezioni precedenti.
Uno degli argomenti riproposto in continuazione è la visione, che nel Corso definisce la percezione corretta, ossia il momento finale di una modifica percettiva attuata mediante quel processo interiore che il Corso definisce “perdono”, discostandosi nettamente dalla definizione tradizionale di esso. Quindi uno studente che vuole veramente imparare il Corso dovrebbe considerare attentamente sia la parola “perdono” che la parola “visione”, perché una lettura affrettata di tali termini potrebbe portarlo erroneamente a credere che per il Corso vogliano dire esattamente quello che vogliono dire di solito.
Riassumo ancora una volta queste differenze mettendole a confronto:
Nella versione tradizionale il perdono viene applicato ad un torto effettivamente subito, ad una colpa sicuramente commessa da qualcuno, ad un affronto realmente avvenuto, riconoscendo la realtà dell’attacco ricevuto dall’esterno e poi cercando di perdonarlo. Il perdono proposto dal Corso, invece, postula l’inesistenza dell’attacco fin dall’inizio, ipotizzando che si tratti di una percezione d’attacco, non di una realtà d’attacco. In base a tale premessa, il Corso propone un metodo sperimentale – che definisce appunto “perdono” - il cui obiettivo finale dovrebbe essere quello di portare il praticante a fare esperienza reale dell’inesistenza effettiva dell’attacco inizialmente postulata. La versione usuale del perdono, quella che parte da un attacco considerato oggettivo, viene a questo punto definita dal Corso come falsa o egoica, perché invece di disfare l’idea iniziale dell’attacco la rafforza ulteriormente, spesso sotto la forma mistificatoria di bontà o misericordia. Mentre l’altro tipo di perdono - quello che prima postula e poi fa esperienza pratica dell’inesistenza dell’attacco- viene definito corretto o spirituale.
Il piano dell’ego è di farti prima vedere chiaramente l’errore, per poi guardare oltre. Tuttavia, come puoi guardare oltre ciò che hai reso reale? Vedendolo chiaramente lo hai reso reale e non puoi guardarvi oltre.
(T-9.IV.4:4-6)
In queste frasi il “vedere chiaramente l’errore” non va confuso con il “guardare senza giudizio né colpa”, che nel Corso definisce il processo di assunzione di responsabilità delle proprie percezioni.
“Vedere chiaramente l’errore” vuol dire considerare reali ed oggettive le proprie percezioni, e non aprirsi ad una possibile messa in discussione di esse. Ma vediamo la versione spirituale o corretta del perdono:
Il perdono attraverso lo Spirito Santo consiste semplicemente nel non vedere l’errore fin dall’inizio, e così mantenerlo irreale per te.
(T-9.IV.5:3)
Ecco la differenza: non vedere l’errore fin dall’inizio, cioè ipotizzare fin dall’inizio che l’errore- il presunto attacco- sia solo un punto di vista e non una realtà oggettiva. Ma cosa vuol dire “fin dall’inizio”? È un riferimento a quel primo passo del perdono che consiste nel riconoscere che la causa dei nostri turbamenti non è il mondo esterno, ma la nostra percezione malata.
Questo “inizio” è tuttavia troppo fragile per essere mantenuto e divenire esperienza concreta: è solo un’ipotesi, che necessita ancora di una conferma. E allora abbiamo bisogno di un aiuto spirituale, che dimostri appunto tale premessa. Abbiamo bisogno di “vedere” che l’attacco non è reale. La richiesta di questo aiuto spirituale è il secondo passo del perdono. E il terzo passo, cioè l’esperienza pratica e inequivocabile della possibilità di vedere le cose in un modo diametralmente opposto a come le avevamo inizialmente viste, è il dono che lo Spirito Santo ci offre a conclusione di tutto il processo interiore.
In questo modo la prospettiva che la mente aveva inizialmente dell’evento viene radicalmente mutata. E questa prospettiva mutata viene definita “visione”. Dunque la visione nel Corso non è rappresentata dal percepire diversamente gli oggetti e le forme che ci circondano, come per esempio vedere un’aura luminosa intorno agli oggetti, o vedere luci e colori di maggiore intensità, o vedere delle forme eteree o delle apparizioni. La visione è l’esperienza interiore di pace e fratellanza, di unione e armonia, di solidarietà e comunanza di interessi profondi, di non separazione e non giudizio, di libertà e felicità, che appare tanto reale alla nostra vista interiore quanto apparivano reali- in prima battuta- la discordia, l’attacco, il vittimismo e la prevaricazione degli uni sugli altri. La visione è un processo interiore, non esteriore. Non si attua con gli occhi del corpo ma con la scelta di perdonare correttamente.
È possibile che tale esperienza miracolosa possa essere accompagnata da effetti esteriori, come le aure luminose, una luce maggiore negli oggetti, le apparizioni? Ma certo! In fin dei conti nulla di ciò che vediamo è reale, quindi la nostra mente può proiettare di tutto! Ma non dobbiamo confondere l’effetto con la causa, le forme con il contenuto, le immagini esteriori con il processo interiore. Anche in questo caso lo studente deve usare discernimento ed accortezza, perché l’ego è molto ingannevole, tortuoso e fuorviante.
Questi occhi, fatti per non vedere, non vedranno mai. Perché l’idea che rappresentano non ha lasciato chi l’ha fatta, ed è chi l’ha fatta che vede attraverso di essi. Qual è l’obiettivo di chi l’ha fatta, se non quello di non vedere? Perché gli occhi del corpo sono mezzi perfetti per questo, ma non per vedere. Guarda come gli occhi del corpo si posano su ciò che è esterno e non possono andare oltre. Osserva come si fermano sul nulla, incapaci di andare al significato che sta oltre la forma. Nulla è così accecante come la percezione della forma. Perché vedere la forma significa che la comprensione è stata oscurata.
(T-22.III.6)
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Ho giudicato tutto ciò che vedo, ed è questo- e solo questo- che vedo. Questa non è visione. È soltanto un’illusione di realtà, perché i miei giudizi sono stati fatti senza tener conto della realtà. Sono disposto a riconoscere la mancanza di validità dei miei giudizi, perché voglio vedere. I miei giudizi mi hanno ferito e non voglio vedere in base ad essi.
(L-pI.51.2)
La citazione che propongo questa settimana affronta nuovamente il tema del vedere e della visione, che sto trattando da molti mesi (per rileggere gli spunti relativi cliccare qui). Anche in questo paragrafo il vedere è contrapposto alla visione, ma qui viene messo l’accento su un’altra importante componente della percezione: il giudizio.
Il giudizio si basa sulla percezione delle differenze, perché non è possibile giudicare una cosa se non mettendola a confronto con un’altra cosa percepita come diversa da essa. Dunque per poter compiere delle valutazioni non è possibile non percepire delle differenze. Gli occhi del corpo sono stati fatti proprio per questa ragione!
Questi occhi, fatti per non vedere, non vedranno mai
(T-22.III.6:1)
In base a tale premessa non c’è dunque alcuna via d’uscita da questa dimensione illusoria ed irreale? Per poter compiere delle valutazioni che ci permettano di funzionare in questo mondo, siamo obbligati a giudicare? Non c’è scampo al giudizio?
Ovviamente una via d’uscita c’è. Ma non consiste nella modifica delle cose in sé (che sono in ogni caso e comunque soggette alla legge delle differenze e quindi del giudizio), ma nel cambiare lo scopo del giudizio. Il giudizio, che è stato fatto dall’ego per inchiodarci in una dimensione irreale senza apparente via d’uscita, può essere reinterpretato dallo Spirito Santo proprio per uscire da questa dimensione irreale. Cambiandone lo scopo, il giudizio si trasforma. E quindi il Corso parla di due possibili giudizi: quello dell’ego, che – attaccando la realtà- punta al fare delle differenze e dell’attacco uno stato di realtà; e il giudizio dello Spirito Santo, che corregge o reinterpreta o disfa il giudizio dell’ego dandogli uno scopo diverso. In questo modo lo Spirito Santo ci insegna a vedere le differenze senza giudicarle, senza dare loro un’importanza speciale, senza dare loro un significato che separa. Il giudizio dell’ego è basato sull’attacco, mentre il giudizio dello Spirito Santo è basato sull’amore, e porta a disfare l’attacco.
C’è soltanto un’interpretazione delle motivazioni che abbia senso. E dal momento che è il giudizio dello Spirito Santo, non richiede assolutamente alcuno sforzo da parte tua. Ogni pensiero d’amore è vero. Tutto il resto è una richiesta di guarigione e di aiuto, indipendentemente dalla forma che assume.
(T-12.I.3:1-4)
Ritornando ora alla citazione iniziale, dovrebbe essere chiaro come essa si riferisca ai giudizi dell’ego, che noi abbiamo adottato identificandoci ad esso. Questi giudizi non sono stati fatti tenendo conto della realtà di Dio- di cui lo Spirito Santo è il portavoce. E non solo non ne tengono conto, ma sono stati fatti proprio per separarsi da essa. In questo modo ci hanno separato dall’amore, portandoci a percepire le cose in modo distorto e attaccando tutto e tutti. Ma ora - memori della lezione 26 che afferma che quando attacchiamo qualcosa o qualcuno di fatto stiamo attaccando noi stessi- non vogliamo più farlo. Adesso siamo disposti a mettere in discussione i nostri giudizi. Così facendo prendiamo le distanze dall’ego, e adottiamo un altro modo di giudicare, quello dello Spirito Santo, che ci permette di vedere le cose senza attacco, percependo l’amore o la richiesta di guarigione o di aiuto in tutto quello che vediamo.
Il passaggio dal giudizio dell’ego a quello dello Spirito Santo è il passaggio dal vedere alla visione. E si attua attraverso la scelta di perdonare, che il paragrafo ci porta a praticare guidandoci passo dopo passo.
Le prime tre frasi non sono altro se non la fondamentale assunzione di responsabilità dei propri processi percettivi, che la lezione 23 identifica come primo passo del perdono.
(L-pI.23.5:2).
Ho giudicato tutto ciò che vedo, ed è questo - e solo questo - che vedo. Questa non è visione. È soltanto un’illusione di realtà, perché i miei giudizi sono stati fatti senza tener conto della realtà.
(L-pI.51.2:1-3)
Le due frasi successive alludono al secondo passo del perdono (L-pI.23.5:2-3), ossia a quell’impegno a lasciar andare il giudizio dell’ego che ci assumiamo quando ci rivolgiamo ad un diverso Insegnante, già presente nella nostra mente, Che ci permette di trasformare radicalmente il nostro modo di vedere.
Sono disposto a riconoscere la mancanza di validità dei miei giudizi, perché voglio vedere. I miei giudizi mi hanno ferito e non voglio vedere in base ad essi.
(L-pI.51.2:5-6)
Grazie a questi due passi accediamo alla trasformazione delle immagini promessa dal terzo passo del perdono (L-pI.23.5), in base alla quale ciò che sembrava odioso e ostile diviene una toccante manifestazione d’amore; ciò che era stato fatto per separare diviene un’esperienza di condivisione ed unione. Il nostro giudizio sarà radicalmente mutato e il vedere dell’ego sarà stato trasformato in visione.
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Ho giudicato tutto ciò che vedo, ed è questo - e solo questo - che vedo. Questa non è visione. È soltanto un’illusione di realtà, perché i miei giudizi sono stati fatti senza tener conto della realtà. Sono disposto a riconoscere la mancanza di validità dei miei giudizi, perché voglio vedere. I miei giudizi mi hanno ferito e non voglio vedere in base ad essi.
(L-pI.51.2)
Nello spunto della scorsa settimana ho introdotto il tema del giudizio collegandolo alla visione, e precisando che qualsiasi giudizio si basa sulla percezione delle differenze. Infatti non potremmo giudicare una forma rispetto ad un’altra forma se non vedessimo delle differenze fra di esse. Così un oggetto sarà più o meno grande di un altro oggetto, un suono più o meno acuto di un altro suono, un’idea più o meno affascinante di un’altra idea. Nel nostro stato percettivo è impossibile non percepire delle differenze e quindi non giudicare. Il semplice atto quotidiano di salire i gradini di una scala comporta tutta una serie di valutazioni di cui non ci rendiamo necessariamente conto mentre le stiamo compiendo: per esempio la distanza precisa del piede dal gradino, o la quantità di sforzo muscolare necessario per sollevare il piede del necessario numero di centimetri. Non uno di più e non uno di meno. Altrimenti rischiamo di inciampare e cadere. In sostanza non potremmo funzionare nel mondo del molteplice se non compissimo costanti valutazioni basate sulle differenze e sui giudizi. Questa è una caratteristica basilare del mondo della forma. Qualunque oggetto percepito, in qualsiasi modo venga percepito, implica l’uso del giudizio. La prima legge del caos, cioè la prima legge del sistema di pensiero dell’ego, afferma proprio questo (T-23.II.2). e il testo lo chiarisce fin dai primi capitoli:
…la percezione… è intrinsecamente giudicante…
(T-3.V.1:1)
La valutazione è una parte essenziale della percezione, perché per selezionare sono necessari i giudizi.
(T-3.V.7:8)
Il giudizio è dunque connaturato al mondo dell’illusione come la totale assenza di giudizio è connaturato alla realtà dell’Uno. Eppure la citazione che introduce lo spunto di questa settimana sembra invitarci a lasciare andare i giudizi. Come possiamo farlo, se - come visto prima - è impossibile non giudicare? Per uscire da questa impasse dobbiamo ricordare che il Corso è scritto a due diversi livelli e la parola “giudizio” avrà un diverso significato a secondo del livello di scrittura adottato nella frase in cui essa compare: il primo livello, astratto, parla della differenza fra la realtà e l’illusione, ed il secondo, operativo, tiene conto della sola illusione insegnandoci ad usarla per uscire dall’illusione stessa. (Per approfondire l’argomento dei due livelli di scrittura del Corso, affrontato varie volte in questi spunti, consultarne l’indice cliccando qui)
Se in base al primo livello il mondo dell’illusione non può essere privo di giudizio, in base al secondo livello - che tiene solamente conto del nostro attuale livello di esperienza - il giudizio viene suddiviso nelle due dimensioni percettive dell’illusione sbagliata, che rafforza l’illusione stessa, e di quella corretta, che disfa l’illusione permettendo l’accesso alla Realtà. In base a queste premesse, dunque, al secondo livello il Corso parla di due giudizi, quello che fa parte della mente sbagliata, ovviamente imposto dall’ego, e quello che viene invece proposto dallo Spirito Santo, e di cui possiamo fare esperienza quando siamo nella mente corretta. Il giudizio dell’ego – proprio perché insegnato dall’ego - non può che essere un giudizio d’attacco, mentre il giudizio dello Spirito Santo - proprio perché insegnato dallo Spirito Santo - non può che disfare l’ego e quindi l’attacco insegnandoci a vedere la pace all’interno del conflitto, la luce nell’oscurità, l’amore nella guerra, l’unione nella separazione. Dunque il giudizio dello Spirito Santo permette di sperimentare l’amore e l’unione anche in una dimensione volutamente fatta dall’ego per rendere reali l’attacco, la separazione, e l’idea stessa dell’inevitabilità del giudizio.
Ritornando ora alla citazione iniziale, che ci invita a smettere di giudicare, è evidente che non può essere scritta al primo livello ma al secondo, e quindi la parola “giudizio” significherà “attacco”. Pertanto quando sosteniamo di non voler vedere in base ai giudizi ci stiamo impegnando a mettere in discussione il nostro modo di percepire basato sull’attacco e ad aprirci ad una diversa percezione che tenga conto della realtà del Cielo. Questa diversa percezione è basata sul giudizio amorevole e privo di attacco dello Spirito Santo, e porta alla visione.
Visione o giudizio sono la tua scelta, ma non entrambe.
(T-20.V.4:7)
Il nostro lavoro di studenti non dovrebbe consistere nel negare il giudizio, ma nello sceglierne la versione spirituale, attraverso la guida dello Spirito Santo. In questo modo il giudizio verrà trasformato dentro la nostra mente, e ciò che gli occhi vedono diverrà visione. E ovviamente, il perdono sarà il metodo proposto dal Corso per sperimentare tale miracolosa trasformazione.
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Ti sei insegnato a giudicare: imparerai la visione da Colui Che disferà il tuo insegnamento.
(T-20.VII.8:4)
In altre parole: il giudizio ce lo siamo insegnati da soli, la visione è appresa dallo Spirito Santo.
Negli ultimi spunti, (per rileggerli cliccare qui) ho commentato la visione in relazione al giudizio. Questa settimana vediamo nuovamente che il Corso contrappone alla visione la nostra propensione ad attaccare, ma integra questo concetto con le idee di insegnare ed imparare.
Perché il Corso dice che ci siamo insegnati da soli il giudizio? Perché il giudizio è un’invenzione dell’ego, e l’ego è un’invenzione della mente separata, che ha scelto di credere vera la separazione da Dio. Accettando come vera la credenza egoica nella separazione la mente separata ne ha anche scelto tutte le caratteristiche, apprendendo ad usarle per continuare a mantenere in atto la separazione. E purtroppo noi - cioè delle menti che si credono separate e vogliono continuare ad esserlo - siamo proprio coloro che hanno fatto tutto questo. Tuttavia il Corso propone una possibile soluzione a chi è finalmente disposto a smettere di scegliere la separazione: il perdono, un processo nel quale ci assumiamo la responsabilità delle nostre percezioni e - vedendo l’alto prezzo che paghiamo per mantenerle - scegliamo liberamente di appellarci ad una Presenza spirituale in grado di aiutarci. Perché abbiamo bisogno di aiuto: come il Corso ripete innumerevoli volte da soli non possiamo uscire dal pasticcio nel quale ci siamo messi, ma con un Aiuto spirituale possiamo farcela. La disponibilità a chiedere ed accettare questo Aiuto è costituita proprio dal secondo passo del perdono. Ma il secondo non può essere attuato senza il primo. E il primo è rappresentato dalla disponibilità a guardare nella nostra mente come il problema della separazione sia una nostra decisione, una scelta costante che attuiamo in miriadi di forme ingannevoli e fuorvianti.
C’è una bella citazione che parla della stessa cosa usando altri simboli.
Sii disposto, per un istante, a lasciare liberi i tuoi altari da ciò che hai posto su di essi, e non potrai non vedere cosa c’è veramente su di essi. L’istante santo non è un istante di creazione, ma di riconoscimento. Perché il riconoscimento viene dalla visione e dalla sospensione del giudizio. Solo allora sarà possibile guardare dentro e vedere ciò che ci deve essere chiaramente in vista e completamente indipendente da illazione e giudizio. Disfare non è compito tuo, ma dipende da te dargli il benvenuto o no.
(T-21.II.8:1-5)
Per comprendere i simboli usati dal Corso ci può essere d’aiuto il Glossario compilato da Kenneth Wapnick (per consultarlo cliccare qui). Leggiamo per esempio la sua definizione della parola altare:
altare
Parte della mente che sceglie Dio o l’ego; non una struttura esterna, ma l’atteggiamento o devozione.
mente sbagliata: usato raramente come simbolo della presenza dell’ego: gocce di sangue mente corretta: simbolo della Presenza di Dio in noi; il luogo dove Dio e Suo Figlio si incontrano: cosparso dei gigli del perdono.
Dunque la parola altare definisce l’aspetto devozionale di quella parte della nostra mente che sceglie se mantenere la separazione o metterla in discussione. Corrisponde al DM (il Decision Maker, la parte della mente che prende la decisione) di cui viene appunta messa in evidenza la componente devozionale. In sostanza questa parola ci ricorda che siamo devoti all’ego o allo Spirito Santo, e questo fa della nostra mente un altare di sangue o di pace.
Tornando ora alla citazione, e applicando la spiegazione fornita dal glossario, comprendiamo che rappresenta un invito ad entrare in un istante santo, che è il momento in cui si compie la scelta di perdonare. In quell’istante di liberazione affranchiamo la nostra mente dalla sua devozione all’ego indirizzandola verso lo Spirito Santo, cosa che ci permetterà sicuramente di vedere l’amore che si trova in essa sotto tutti gli strati di attacco e paura, colpa e vittimismo, angoscia e devastazione. In quell’istante riconosceremo una pace che va al di là di qualsiasi comprensione, un amore che non ha nulla a che fare con quello che normalmente chiamiamo amore, e una gioia che non può essere scossa da nessuna vicenda terrena. Sospendendo il giudizio- l’invenzione dell’ego che ci porta ad attaccare tutto e tutti per liberarci dalla nostra angoscia non riconosciuta- raggiungeremo la visione, il dono dello Spirito Santo.
Disfare l’ego trasformando le sue illusioni in visione è il compito dello Spirito Santo, ma se vogliamo sperimentarla siamo noi a doverla invitarla dandole il benvenuto. E i primi due passi del perdono hanno proprio questo scopo.
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Da mesi dedico questi spunti al terzo passo del perdono, in particolare alla visione e alle sue componenti, e l’ultimo aspetto della visione che ho preso in considerazione è la sua incompatibilità con il giudizio. Per rileggere gli spunti relativi, cliccare qui.
Abbiamo visto che non solo visione e giudizio sono incompatibili, ma che addirittura si escludono a vicenda:
Visione o giudizio sono la tua scelta, ma non entrambe.
(T-20.V.4:7)
E abbiamo visto che il giudizio è una abilità che abbiamo insegnato a noi stessi, mentre la visione viene dallo Spirito Santo:
Ti sei insegnato a giudicare: imparerai la visione da Colui Che disferà il tuo insegnamento.
(T-20.VII.8:4)
Ma il Corso ci dice molto, molto di più sul giudizio, dedicando ad esso un’intera sezione nel Manuale degli insegnanti.
Leggiamone insieme il primo paragrafo:
Il giudizio, come altri meccanismi per mezzo dei quali viene mantenuto il mondo delle illusioni, è totalmente frainteso dal mondo. È in effetti confuso con la saggezza, e si sostituisce alla verità. Secondo il modo in cui il mondo usa il termine, un individuo è capace di giudizio “buono” e “cattivo”, e la sua educazione mira a rafforzare il primo e minimizzare il secondo. C’è, però, una considerevole confusione in merito al significato di queste categorie. Ciò che è un giudizio “buono” per uno, è un giudizio “cattivo” per un altro. Inoltre, persino la stessa persona classifica la stessa azione come una dimostrazione di giudizio “buono” in un momento e “cattivo” in un altro momento. Né può essere veramente insegnato alcun criterio coerente per determinare cosa siano queste categorie. In qualsiasi momento lo studente può essere in disaccordo con quello che il suo supposto insegnante dice di esse e l’insegnante può ben essere incoerente in ciò in cui crede. “Giudizio buono” in questi termini, non significa nulla. E nemmeno “giudizio cattivo”.
(M-10.1)
Sono affermazione decisamente categoriche, e smentiscono una delle attività preferite dal genere umano. Un’attività, come dicono le prime due frasi, praticamente confusa con la saggezza. Insomma, esprimiamo dei giudizi nella convinzione di fornire a noi stessi ed agli altri delle indicazioni di valore, delle valutazioni oggettive e coerenti, delle analisi che ci permettano di proseguire in modo sicuro e vantaggioso lungo le vie del mondo. Eppure il paragrafo citato smonta queste certezze, facendoci osservare come i nostri giudizi siano estremamente variabili, perché differiscono da persona a persona (e dove andrebbe a finire, in tal caso, l’idea di una percezione “buona” condivisa?) e addirittura- in una stessa persona- possono differire da momento a momento anche quando vengono applicati allo stesso oggetto .
Infine il paragrafo smonta l’idea stessa che il mondo possa insegnare un criterio attendibile per differenziare le due categorie del giudizio buono e del giudizio cattivo.
Il paragrafo successivo inizia con una serie di affermazioni lapidarie, che in effetti concludono le premesse appena esposte:
È necessario che l’insegnante di Dio si renda conto non del fatto che non dovrebbe giudicare, ma che non può. Nel rinunciare a giudicare sta semplicemente rinunciando a ciò che non ha mai avuto. Rinuncia a un’illusione o, meglio, ha l’illusione di rinunciare. È in effetti diventato semplicemente più onesto.
(M-10.2:1-4)
Sono frasi sulle quali vale la pena di riflettere. Siamo costantemente chiamati ad esprimere dei giudizi, per poter compiere delle decisioni e portare avanti al meglio la nostra vita. In particolare nel difficile momento che stiamo attraversando siamo bombardati da miriadi di notizie diverse, in netto contrasto l’una con l’altra, e dobbiamo giudicarle in continuazione, per poter prendere decisioni precise nell’interesse nostro e altrui. Eppure –come abbiamo letto- da soli non abbiamo elementi per poter valutare in modo oggettivo.
E come se ne esce? Il Corso ha una soluzione che faccia al caso nostro?
Sì, il Corso ha una soluzione: la visione, che – come abbiamo letto prima- è l’alternativa al giudizio dell’ego. È il dono dello Spirito Santo, il Suo giudizio certo e condiviso che trascende i nostri giudizi incerti e differenziati. Lo Spirito Santo possiede lo sguardo globale che a noi manca e la Sua visione è un giudizio basato sull’innocenza, che disfa i giudizi contradditori dell’ego, basati sulla colpa. E noi possiamo accedere all’esperienza della visione praticando i primi due passi del perdono, che ci permettono di riconoscere l’assoluta relatività e mancanza di certezza dei nostri giudizi (questo è il primo passo), portandoci al sincero desiderio di ricevere aiuto (questo è il secondo passo). In questo modo lo studente del Corso esce dai conflitti generati dal suo ego e:
…si mette in una posizione in cui può aver luogo il giudizio attraverso di lui piuttosto che da lui. E questo giudizio non è né “buono” né cattivo”. È il solo giudizio che c’è, ed è solo uno: “Il Figlio di Dio è senza colpa e il peccato non esiste”.
(M-10.2:7-10)
Abbandonando la presunzione di poter giudicare da soli, accettiamo nella nostra mente un giudizio totalmente privo di colpa e attacco. E troviamo finalmente la pace.
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Visione o giudizio sono la tua scelta, ma non entrambe.
(T-20.V.4:7)
Nelle ultime settimane la nostra indagine sulla visione ci ha portato a prendere in considerazione un altro concetto che nel Corso viene ampiamente trattato: il giudizio. Negli spunti più recenti (per rileggerli cliccare qui) abbiamo visto che la parola giudizio si riferisce sia al modo di percepire dell’ego, sia a quello dello Spirito Santo. Nel primo caso coincide con l’attacco, mentre nel secondo caso coincide con la visione. La citazione precedente, già presa in considerazione più volte, riflette proprio questa dicotomia e ovviamente la parola giudizio in essa contenuta si riferisce all’uso che l’ego fa del giudizio, basato sulla condanna e sull’attacco.
Per chiarire ulteriormente l’uso che il Corso fa di questo termine, potrà essere utile leggere la definizione della parola giudizio contenuta nel glossario compilato da Kenneth Wapnick:
giudizio
conoscenza: parlando in senso stretto Dio non giudica, poiché ciò che Lui ha creato è perfetto ed uno con Lui; il riferimento del Corso al Giudizio di Dio riflette il Suo riconoscimento di Suo Figlio come Suo Figlio, per sempre amato e uno con Lui.
percezione:
mente sbagliata: condanna, a causa della quale le persone sono separate in persone da odiare e persone da “amare”, giudizio sempre basato sul passato.
mente corretta: visione, grazie alla quale le persone vengono viste sia come persone che esprimono amore o che lo richiedono, giudizio ispirato dallo Spirito Santo e sempre basato sul presente.
Nello spunto della scorsa settimana abbiamo iniziato a esaminare la sezione 10 del Manuale degli insegnanti, completamente dedicata a tale argomento. In essa ci viene detto che non abbiamo affatto le idee chiare in merito al giudizio, perché lo confondiamo con la saggezza, usandolo per sostituire la verità. In base alla logica del mondo- cioè della percezione sbagliata- giudichiamo in continuazione, separando gli oggetti dei nostri giudizi in “buoni” e “cattivi”, con dei criteri arbitrari e incoerenti perché soggetti alle molte variabili del capriccio e della quotidianità. Di conseguenza non è che noi non “dobbiamo” giudicare, quanto piuttosto che non “possiamo”. Rinunciando al giudizio non rinunciamo ad un nostro diritto, ma soltanto all’illusione di poter effettivamente giudicare. Leggiamo oggi ulteriori motivazioni che il Corso fornisce per sostenere la sua tesi:
L’obiettivo del nostro programma di studi, diversamente dalla meta dell’apprendimento del mondo, è il riconoscimento che il giudicare nel senso comune del termine, è impossibile. Questa non è un’opinione, ma un fatto. Per giudicare giustamente qualsiasi cosa, si dovrebbe essere pienamente consapevoli di una gamma inconcepibilmente ampia di cose passate, presenti e a venire. Si dovrebbero riconoscere in anticipo tutti gli effetti dei propri giudizi su tutti e su tutto ciò che ne è coinvolto a qualsiasi livello. E si dovrebbe essere certi che non ci sia alcuna distorsione nella propria percezione, cosicché il giudizio possa essere completamente giusto nei confronti di chiunque verso cui è diretto ora e in futuro. Chi è in grado di far ciò? Chi, se non in grandiose fantasie, affermerebbe ciò di se stesso?
(M-10.3)
Naturalmente tutto ciò è disarmante, perché come possiamo funzionare in questo mondo di corpi se non impariamo a formulare dei giudizi? Qualunque decisione è basata su un qualche giudizio, e ovviamente dobbiamo prendere continue decisioni per organizzare la nostra vita e portarla avanti.
La soluzione non sta nell’abbandono completo del giudizio, ma nell’abbandono del giudizio dell’ego, basato sull’attacco e sulla condanna, e nell’adozione del giudizio correttivo dello Spirito Santo, basato sulla Sua visione, che trascende la suddivisione del mondo in “bontà” e “cattiveria” e propone una diversa categoria di valutazione. Secondo il giudizio dello Spirito Santo tutto è amorevole o bisognoso di amore. In qualsiasi atto o persona, Egli vede soltanto l’amore o la richiesta di guarigione.
C’è solo un’interpretazione delle motivazioni che abbia senso. E dal momento che è il giudizio dello Spirito Santo, non richiede assolutamente alcuno sforzo da parte tua. Ogni pensiero d’amore è vero. Tutto il resto è una richiesta di guarigione e di aiuto, indipendentemente dalla forma che assume.
(T-12.I.3:1-4)
Il punto sembra dunque essere: quale giudizio scegliamo di adottare? Il giudizio dell’ego basato sull’attacco, o quello dello Spirito Santo basato sull’amore? In un crimine, vediamo la cattiveria del criminale o la sua disperata (anche se espressa erroneamente) richiesta di amore, guarigione ed aiuto? Vedremo con gli occhi dell’ego o accetteremo la visione dello Spirito Santo? La scelta che compiamo farà la differenza, perché porterà con sé un diverso atteggiamento, una diversa decisione e quindi una diversa risposta a quanto sembra essere avvenuto.
Il giudizio dello Spirito Santo non richiede alcuno sforzo da parte nostra, dice l’ultima citazione. Perché? Perché non siamo noi a formularlo. Noi siamo soltanto coloro che si devono impegnare a sceglierlo. E la scelta richiede che noi si sia disposti a praticare il perdono, che corregge le nostre percezioni errate aprendoci a quelle correttive.
Nessuno sforzo, ma abbondante disponibilità, impegno e pazienza nel guardare che abbiamo già giudicato con l’ego (primo passo del perdono) e – vedendo il costo del nostro giudizio - siamo disponibili a accettare l’aiuto dello Spirito Santo dentro la nostra mente (II passo del perdono). E questo ci permetterà di accedere al Suo giudizio: la visione (III passo del perdono).
C’è un modo in cui è possibile sfuggire [alla situazione senza speranza indotta dall’ego dentro la nostra mente]. Può essere imparato ed insegnato, ma richiede pazienza e molta disponibilità.
(M-17.8:3-4)
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anche questa settimana ci concentriamo sulla relazione fra il giudizio e la visione, argomento al quale ho dedicato gli ultimi spunti (per rileggerli cliccare qui). E anche questa settimana continuiamo a esaminare la sezione 10 del manuale per gli insegnanti, integralmente dedicata a questo argomento.
Ricorda quante volte hai pensato di sapere tutti i “fatti” di cui avevi bisogno per giudicare, e quanto ti sbagliavi! C’è qualcuno che non abbia avuto questa esperienza?
(M-10.4:1-2)
Verissimo! Quante volte, riandando con il pensiero a vicende accadute in precedenza, magari molti anni prima, ci siamo sentiti a disagio ricordando come le nostre valutazioni precedenti fossero state errate! Eppure all’epoca ci credevamo e magari ci siamo anche battuti con forza per sostenere il nostro punto di vista.
Vuoi sapere quante volte hai semplicemente pensato di aver ragione, senza neppure renderti conto che ti sbagliavi? Perché vuoi scegliere una tale base arbitraria per prendere decisioni?
(M-10.4:3-4)
Bella domanda! Perché? Perché a noi sembra indispensabile prendere delle decisioni autonome per poter funzionare nel miglior modo possibile in questo mondo. Senza valutare le cose dal nostro punto di vista non abbiamo criteri di scelta, e rischiamo di prenderci delle grosse cantonate. Per non parlare, ovviamente, del rischio di essere abbindolati da chi cerca di manovrarci per il proprio tornaconto personale. Quindi è assolutamente fondamentale decidere autonomamente in base a tutti gli elementi a nostra disposizione. È puramente e semplicemente saggio e sensato il farlo.
La saggezza non è giudizio: è l’abbandono del giudizio.
(M-10.4:5)
A quanto pare il Corso ha sempre una battuta pronta, con cui ribattere puntualmente al nostro modo di pensare. Qui sostiene che la saggezza non consiste nel formulare dei giudizi autonomi, ma nello scegliere di abbandonarli. Questo contrasta con il nostro modo abituale di affrontare le situazioni. E ci lascia smarriti di fronte alla necessità quotidiana di decidere autonomamente per poter agire nel miglior modo possibile. Cosa fare a questo punto? Su cosa basarci per agire nel modo appropriato? Continuiamo a leggere la sua proposta:
Esprimi quindi solo un altro giudizio. È questo: c’è Qualcuno con te il Cui giudizio è perfetto. Egli conosce tutti i fatti: passato, presente e da venire. Egli conosce tutti gli effetti del Suo giudizio su tutti e tutto ciò che ne è coinvolto in qualsiasi modo. Ed è completamente giusto verso ognuno perché non c’è distorsione nella Sua percezione.
(M-10.4:6-10)
Interessante. A quanto pare il Corso non ci propone il completo abbandono del giudizio, ma una sua diversa destinazione. Da quanto leggiamo ci chiede di smettere di giudicare i fatti, ma di continuare a giudicare decidendo chi o Chi sia in grado di giudicarli. È proprio curioso che non ci chieda di lasciar andare una prerogativa che a noi sembra così importante, direi quasi fondamentale, per agire al meglio nel mondo, ma ci chieda di modificarne lo scopo. In sostanza non ci propone di lasciar andare totalmente il giudizio, ma di indirizzarlo diversamente. In base alla sua proposta continueremo a giudicare, ma non giudicheremo più i fatti quanto piuttosto l’Insegnante al Quale rivolgerci per ottenere una giusta valutazione dei fatti, realmente a vantaggio nostro e di tutti.
In effetti questo ricorda un altro argomento che il Corso sottolinea in continuazione: lo Spirito Santo non ci porta via le nostre relazioni, ma le trasforma cambiandone lo scopo. E ora ci sta fornendo un’applicazione di questo principio: non ci porta via la relazione che abbiamo con il giudizio, ma lo scopo che le diamo. Ci chiede, in sostanza, di smettere di giudicare le cose in sé - riconoscendone la totale mancanza di significato e la nostra inadeguatezza nel compiere delle valutazioni - e di giudicare la percezione da adottare in relazione alle cose in sé, mediante il giudizio (cioè la scelta) della Guida che ci dice come giudicare le cose in sé.
Ho detto ripetutamente che lo Spirito Santo non ti priverà delle tue relazioni speciali, ma le trasformerà.
(T-17.IV.2:3).
Dunque, a ben comprendere il paragrafo 4 della sezione 10 del manuale degli insegnanti sembra che i giudizi siano diventati tre: il giudizio dell’ego, sempre orientato all’attacco e alla condanna; il giudizio dello Spirito Santo, sempre orientato all’amore o alla richiesta di guarigione e di aiuto; e il giudizio che dobbiamo imparare ad esprimere noi, sempre orientato alla scelta di quale dei due giudizi sia per noi più vantaggioso.
Dei primi due giudizi ho parlato negli spunti delle scorse settimane, che – come visto prima - possono essere letti cliccando qui. E il nostro giudizio? Come lo attuiamo? Con il secondo passo del perdono, che ci insegna a chiedere l’aiuto della Guida interiore con Cui pensare. Ma non dobbiamo dimenticarci che il secondo passo segue il primo, che consiste nell’osservazione accurata della nostra mente, allo scopo di vedere come già abbiamo adottato il giudizio dell’ego basato sulla condanna e sull’attacco. Sarà proprio da tale osservazione spassionata – di cui ho offerto un possibile esempio nel dialogo interiore proposto all’inizio di questo spunto - che deriverà sia il desiderio di imparare a giudicare in modo diverso, che la scelta di rivolgerci ad un Insegnante già presente dentro la nostra mente, capace di giudicare in modo corretto. E dai primi due passi deriverà il terzo, ossia l’esperienza della visione, che rappresenta proprio il giudizio dello Spirito Santo.
Tu guardi ancora con gli occhi del corpo ed essi non possono vedere che spine. Tuttavia hai chiesto e ricevuto un altro modo di vedere. Coloro che accettano come proprio lo scopo dello Spirito Santo condividono anche la Sua visione.
(T-20.II.5:1-3)
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Ricorda quante volte hai pensato di sapere tutti i “fatti” di cui avevi bisogno per giudicare, e quanto ti sbagliavi! C’è qualcuno che non abbia avuto questa esperienza? Vuoi sapere quante volte hai semplicemente pensato di aver ragione, senza neppure renderti conto che ti sbagliavi? Perché vuoi scegliere una tale base arbitraria per prendere decisioni?
La saggezza non è giudizio: è l’abbandono del giudizio. Esprimi quindi un altro giudizio. È questo: c’è Qualcuno con te il Cui giudizio è perfetto. Egli conosce tutti i fatti: passato, presente e da venire. Egli conosce tutti gli effetti del Suo giudizio su tutti e tutto ciò che ne è coinvolto in qualsiasi modo. Ed è completamente giusto verso ognuno perché non c’è distorsione nella Sua percezione.
(M-10.4)
La scorsa settimana abbiamo considerato questo paragrafo della sezione 10 del Manuale degli insegnanti, completamente dedicata all’argomento del giudizio (per rileggere lo spunto relativo, cliccare qui). E abbiamo visto che il Corso sembra proporre un terzo tipo di giudizio, diverso dal giudizio dell’ego e da quello dello Spirito Santo, rispettivamente basati sulla condanna e sull’amore. Questo terzo tipo di giudizio è di nostra competenza ed è rappresentato dal giudicare quale dei due giudizi ci sembri più appropriato e quindi degno di essere adottato. In altri termini la nostra funzione è semplicemente rappresentata dal decidere da quale parte intendiamo stare, quale insegnante o Insegnante scegliere, quale guida o Guida adottare. Questo è in linea con la teoria espressa a più riprese nel libro:
In questo mondo l’unica libertà che rimane è la libertà di scelta: e la scelta è sempre tra due alternative o due voci.
(C-1.7:1)
Questo è il motivo per cui devi scegliere di sentire una delle due voci dentro di te. Una l’hai fatta tu, e quella non è di Dio. Ma l’altra ti è data da Dio, Che ti chiede solo di ascoltarla.
(T-5.II.3:4-6)
Dunque, se è rappresentato dal decidere quale voce intendiamo seguire il nostro giudizio coincide con il secondo passo del perdono, ossia con la richiesta di aiuto allo Spirito Santo. E quindi è conseguente al primo passo, nel quale impariamo a guardare dentro la nostra mente in che stato mentale di incertezza ed angoscia l’ego ci trascini continuamente. Come abbiamo visto la scorsa settimana questo terzo giudizio sposta la nostra attenzione dalla cosa in sé alla percezione della cosa in sé, e quindi ci insegna a non dare significato ed importanza alle cose, ma al modo di percepirle. E non è la stessa cosa che dire che dobbiamo portare l’attenzione al contenuto, e non alla forma? Il giudizio sulle cose è infatti un invito a giudicare le forme, dando inevitabilmente loro un’importanza che non hanno, mentre il giudizio sul contenuto (ossia sull’insegnante o Insegnante di percezione) è un invito a spostare la nostra attenzione sullo scopo che diamo alla percezione, l’unico aspetto che abbia un qualche significato in questo mondo di illusione.
Lo scopo è il significato.
(L-pI.25.1:1)
Può essere utile leggere qualche frase che il Corso dedica all’argomento dello scopo, e a come esso sia legato alla percezione:
Solo due scopi sono possibili. Uno è il peccato, l’altro è la santità. Non c’è niente nel mezzo, e quello che scegli determina quello che vedi. Perché ciò che vedi è semplicemente come scegli di raggiungere il tuo obiettivo. Le allucinazioni servono a soddisfare l’obiettivo della pazzia. Sono i mezzi coi quali il mondo esterno, proiettato dall’interno, si adatta al peccato e sembra testimoniarne la realtà. È ancor vero che fuori non c’è nulla. Ma sul nulla sono fatte tutte le proiezioni. Perché è la proiezione che dà al “nulla” tutto il significato che sembra avere.
(T-20.VIII.9)
È impressionante quanti insegnamenti possano essere condensati in un solo paragrafo del Corso!
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Negli ultimi spunti (per rileggerli cliccare qui) abbiamo visto che il Corso usa la parola giudizio in un suo modo originale. Mentre in alcuni brani sembra bocciare il giudizio senza appello, in altri ne propone una versione corretta, adottata addirittura dallo Spirito Santo. Leggiamo per esempio:
Ho giudicato tutto ciò che vedo, ed è questo – e solo questo- che vedo. Questa non è visione. È soltanto un’illusione di realtà, perché i miei giudizi sono stati fatti senza tener conto della realtà. Sono disposto a riconoscere la mancanza di validità dei miei giudizi, perché voglio vedere. I miei giudizi mi hanno ferito e non voglio vedere in base ad essi.
(L-pI.51.2)
C’è soltanto un’interpretazione delle motivazioni che abbia senso. E dal momento che è il giudizio dello Spirito Santo, non richiede assolutamente alcuno sforzo da parte tua. Ogni pensiero d’amore è vero. Tutto il resto è una richiesta di guarigione e di aiuto, indipendentemente dalla forma che assume.
(T-12.I.3:1-4)
Da queste due citazioni possiamo dedurre che il significato della parola giudizio sia almeno duplice: quando si riferisce all’ego – come nel primo brano citato - è sinonimo di condanna e quindi di attacco. Quando invece si riferisce allo Spirito Santo - come nel secondo brano - è sinonimo di comprensione, amorevolezza e gentilezza. Ma abbiamo anche visto che nel brano 10 del Manuale degli insegnanti il Corso sembra proporre un terzo tipo di giudizio. Ci dice infatti:
Esprimi quindi solo un altro giudizio. È questo: c’è Qualcuno con te il Cui giudizio è perfetto. Egli conosce tutti i fatti: passato, presente e da venire. Egli conosce tutti gli effetti del Suo giudizio su tutti e tutto ciò che ne è coinvolto in qualsiasi modo. Ed è completamente giusto verso ognuno poiché non c’è distorsione nella Sua percezione.
(M-10.4:6-10)
Nel Corso dunque sembra esserci un terzo giudizio, che è di nostra competenza. E il paragrafo precedente ci invita proprio ad esprimerlo. Non è un giudizio sulle cose o le persone, ma su chi o Chi dobbiamo scegliere come guida di giudizio. Siamo noi a dover decidere se il giudizio dell’ego è più o meno pertinente, più o meno significativo, più o meno sensato dell’opposto giudizio, proprio dello Spirito Santo. Ma come fare ad esercitare un giudizio del genere? Come discernere senza farci trarre in inganno dall’ego, che imperversa abitualmente nella nostra mente e - per definizione - è un grande manipolatore?
Troviamo un valido aiuto nel quarto capitolo. Leggiamo:
Vigila attentamente sulla tua mente contro tutte le credenze che ne impediscano il compimento [cioè che impediscano di far svanire l’ego], e allontanati da esse. Giudica da come ti senti se lo hai fatto bene, perché questo è l’unico uso corretto del giudizio.
(T-4.IV.8:5-6)
Il nostro modo corretto di giudicare dovrebbe dunque consistere nell’osservazione vigile ed accurata di come ci sentiamo. Da ciò possiamo dedurre se abbiamo ospitato l’ego o lo Spirito Santo dentro la nostra mente. Siamo arrabbiati? Abbiamo paura? Ci sentiamo in colpa o stiamo colpevolizzando qualcuno o qualcosa? Siamo ansiosi e preoccupati per il futuro? La nostra mente è popolata da pensieri di morte e depressione? Se questo è il caso, allora abbiamo ospitato l’ego e - guidati dall’ego - abbiamo formulato un qualche giudizio d’attacco. Se invece ci sentiamo in pace, se siamo gioiosi, se ci sentiamo uniti, solidali, gentili e comprensivi nei confronti degli altri e di noi stessi vedendo che condividiamo tutti un unico scopo e gli stessi interessi, allora abbiamo ospitato lo Spirito Santo e ci siamo fatti guidare dal Suo giudizio di amore.
Questo uso corretto del giudizio è basato sull’osservazione spassionata della nostra mente e quindi è subordinato alla pratica del primo passo del perdono, ossia alla presa di coscienza che i nostri turbamenti non sono generati dal mondo esterno, ma sono una scelta che abbiamo compiuto proprio noi. E da tale osservazione senza veli deriva la domanda che sta alla base di quello che - come abbiamo visto - il Corso definisce l’unico uso corretto del giudizio: “Mi piace come mi sento? E se non mi piace, non sto forse pagando un prezzo troppo elevato (nei termini di mancanza di pace) per ottenere il discutibile vantaggio di mantenere l’ego nella mia mente? Non mi costa troppo continuare ad usare il giudizio dell’ego, condannando, attaccando, giudicando negativamente tutto e tutti?”
Solo noi possiamo rispondere onestamente a questa domanda e decidere se continuare a condannare, adottando quindi il giudizio d’attacco dell’ego, o chiedere aiuto allo Spirito Santo perché giudichi Lui per noi. Dal nostro unico uso coretto del giudizio scaturisce il secondo passo del perdono - la richiesta d’aiuto per vedere in un altro modo - che ci permette di approdare all’esperienza felice della visione.
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Negli ultimi spunti (per rileggerli cliccare qui) abbiamo visto che oltre al giudizio dell’ego - basato sulla condanna e sull’esclusione - e al giudizio dello Spirito Santo - amorevolmente disposto alla comprensione e all’inclusione - il Corso sembra prospettare un terzo tipo di giudizio, di nostra assoluta pertinenza. In effetti il Corso sottolinea in continuazione che noi non siamo né l’ego né lo Spirito Santo, ma coloro che scelgono, attraverso l’esercizio del proprio libero arbitrio, quale delle due voci ospitare e accettare nella propria mente.
In base a questo giudizio noi valutiamo le due voci, decidendo quale sia la migliore e la più sensata delle due. Ed il metro di questo giudizio è rappresentato dal domandarci come ci sentiamo.
Vigila attentamente sulla tua mente contro tutte le credenze che ne impediscano il compimento [cioè che impediscano di far svanire l’ego], e allontanati da esse. Giudica da come ti senti se lo hai fatto bene, perché questo è l’unico uso corretto del giudizio.
(T-4.IV.8:5-6)
Prendere coscienza del nostro stato interiore ci permette di valutare la bontà della scelta compiuta. Se siamo in pace, abbiamo accettato il giudizio dello Spirito Santo che ci permette di vedere tutto e tutti in una luce di amore e comprensione. Se invece siamo in quello stato che la lezione 5 definisce turbamento (e che include una vasta gamma di sensazioni, dalla paura alla collera, dall’ansia alla colpa, dal rancore all’autodenigrazione, per fare solo qualche esempio) abbiamo accettato il giudizio dell’ego e stiamo condannando qualcosa o qualcuno. E ciò significa che stiamo pagando un prezzo altissimo per mantenere nella nostra mente il discutibilissimo “piacere” di condannare e attaccare tutto e tutti allo scopo di liberarci del nostro senso di colpa ontologica per la presunta separazione da Dio. Perché questa - ci dice il Corso - è la sola e unica ragione per cui attacchiamo: per tentare di liberarci dal pesantissimo fardello della colpa che deriva dalla credenza nella separazione.
La citazione precedente, tratta dal capitolo 4 del Testo, trova un interessante parallelo all’interno dell’importante sezione intitolata Le regole per la decisione che si trova nel capitolo 30 del Testo. È un brano che riassume tutta la teoria del Corso e insieme propone una serie di esercizi – le regole appunto- che anticipano e sintetizzano tutte le 365 lezioni del libro degli esercizi. La regola numero 4 serve a disfare l’ostinazione che a volte ci accieca inducendoci a voler avere ragione a tutti i costi, insistendo nell’esercitare quella volontà che non sente ragione e che ci spinge a decidere autonomamente di cambiare un mondo che è percepito come ostile e nemico non perché sia effettivamente tale, ma solo perché su di esso abbiamo proiettato i nostri giudizi di condanna. Quando ci troviamo in questo stato di ostinazione e cecità non è possibile fare altro – per uscirne- se non rendersi conto di come si sta male. E questa è proprio la proposta contenuta nella regola numero 4:
Almeno posso decidere che non mi piace come mi sento ora”
(T-30.I.8:2)
Il constatare il proprio malessere interiore è quando ci permette di mettere in discussione la fissità della nostra percezione basata sull’attacco. È una responsabilità che risponde pienamente all’invito che abbiamo letto nella quarta sezione del capitolo 4: Giudica da come ti senti se lo hai fatto bene, perché questo è l’unico uso corretto del giudizio. Dunque il Corso non ci chiede di rinunciare completamente alle nostre valutazioni. Ci chiede semplicemente di finalizzarle alla consapevolizzazione del nostro stato interiore. E questo presume che -prima di compiere tale valutazione o giudizio corretto- abbiamo osservato questo nostro stato interiore. Questo è il compito del primo passo del perdono: l’osservazione accurata, spassionata e priva di investimento – come ci insegnano le lezioni 10 e 31- dei pensieri che vi transitano. Da tale osservazione, e dalla presa di coscienza di come ci sentiamo al passaggio di tali pensieri, emergerà quel giudizio corretto che ci porterà a scegliere di udire solo una Voce di pace, foriera di pace e capace di estendere pace a tutto ciò che il nostro sguardo interiore abbraccerà. E da questo giudizio di pace emergerà la visione che ci permetterà di vedere un mondo perdonato, quelle immagini che sono già state sostituite (L-pI.23.5:5) e che rappresentano il terzo passo del perdono.
Puoi immaginare come ti sembreranno belli coloro che perdoni? In nessuna fantasia hai mai visto qualcuno così bello. Niente di ciò che vedi qui, dormiente o sveglio, si avvicina a tanta bellezza. E non ci sarà nulla a cui darai un simile valore, né che ti sarà così caro. Niente che ricordi abbia fatto cantare di gioia il tuo cuore ti ha portato anche una piccola parte della felicità che questa vista ti porterà. Perché vedrai il Figlio di Dio. Vedrai la bellezza che lo Spirito Santo ama guardare per te, finché non avrai imparato a vederlo da te.
(T-17.II.1:1-8)
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Come abbiamo visto negli ultimi spunti (per rileggerli cliccare qui) il solo giudizio che dovremmo imparare ad esercitare è giudicare come ci sentiamo. È questo l’unico uso corretto del giudizio. (T-4.IV.8:6), che noi possiamo imparare gradualmente, e che ci permette di transitare dal giudizio di condanna proposto dall’ego (sempre finalizzato al vedere colpe e nemici al di fuori di noi) al giudizio amorevole dello Spirito Santo, in base al quale ogni pensiero d’amore è vero. Tutto il resto è una richiesta di guarigione e di aiuto. (T-12.I.3:3-4)
Questo uso corretto del giudizio viene esercitato nell’istante santo, quel frammento di tempo che scegliamo consapevolmente di dedicare alle finalità amorevoli dello Spirito Santo invece che a quelle proiettive e accusatorie dell’ego.
In un paragrafo del capitolo 21 viene chiaramente descritto il rapporto fra l’istante santo, il giudizio e la visione. Leggiamolo:
L’istante santo non è un istante di creazione, ma di riconoscimento. Perché il riconoscimento viene dalla visione e dalla sospensione del giudizio. Solo allora sarà possibile guardare dentro e vedere ciò che ci deve essere chiaramente in vista e completamente indipendente da illazione e giudizio. Disfare non è compito tuo, ma dipende da te dargli il benvenuto o no.
(T-21.II.8:2-5)
Dunque nell’istante santo abbiamo la possibilità di riconoscere - accettandola - l’Espiazione, cioè la correzione dell’errata credenza nella separazione da Dio che avvelena la nostra mente inducendola al meccanismo distruttivo e autodistruttivo della proiezione. E come ci si arriva? Attraverso la sospensione del giudizio.
Con questa espressione il Corso vuole indicare il processo con il quale osserviamo il giudizio di condanna dell’ego e per un attimo lo mettiamo in stand by, perché vediamo quanto ci faccia star male e ci precluda la pace interiore.
Come ho cercato di illustrare chiaramente negli ultimi spunti, solo dall’osservazione spassionata del prezzo che paghiamo ogni volta che ospitiamo l’ego può derivare la determinazione a lasciarlo andare. Solo domandandoci “mi piace come mi sento?” (T-4.IV.8:6) possiamo vedere il costo dei giudizi d’attacco. Solo decidendo che almeno non mi piace come mi sento ora (T-30.I.8:2) possiamo decidere che ci deve essere un altro modo di vedere le cose. Solo scegliendo consapevolmente di sospendere il giudizio dell’ego possiamo accedere ad un giudizio diverso, basato sull’amore invece che sull’attacco, sulla comprensione invece che sulla condanna, sulla fratellanza invece che sull’inimicizia e sull’opposizione.
In un magnifico brano contenuto nella seconda parte del libro degli esercizi troviamo una analoga definizione. È uno dei principali brani sul perdono, nel quale sono raffrontati i pensieri di non perdono (cioè di attacco) dell’ego e quelli di autentico perdono dello Spirito Santo. In uno dei paragrafi dedicati al vero perdono troviamo queste parole:
Il perdono, d’altro canto, è quieto e tranquillamente non fa nulla. Non offende alcun aspetto della realtà, né cerca di distorcerla per farla apparire in modo che gli piaccia. Semplicemente osserva, aspetta e non giudica.
(L-pII.1.4:1-3)
Il perdono semplicemente osserva, aspetta e non giudica. Che magnifica definizione dei primi due passi del perdono, di nostra pertinenza! L’osservazione corrisponde al primo passo: è il guardare la nostra mente, alla ricerca di quei pensieri che sono all’origine del nostro malessere, e che ci permettono di identificare nel nostro mondo interiore- e non in quello esterno- la causa del nostro dolore. Il secondo passo è quel non giudicare, quella sospensione di giudizio che deriva dall’aver visto (o giudicato) come sia alto il prezzo che paghiamo quando ospitiamo l’ego dentro la nostra mente.
Vedendone il costo scegliamo di sospendere il giudizio dell’ego e ci poniamo in una condizione di attesa che ci permette di ricevere la visione, cioè la correzione delle immagini compiuta dallo Spirito Santo.
È questo stato di attesa quanto ci permette di ricevere. Perché non siamo noi a cambiare le immagini. Non siamo noi a disfare. Noi siamo soltanto coloro che scelgono quale Voce ascoltare dentro la propria mente.
Disfare non è compito tuo, ma dipende da te dargli il benvenuto o no.
(T-21.II.8:5)
C’è soltanto un’interpretazione delle motivazioni che abbia senso. E dal momento che è il giudizio dello Spirito Santo, non richiede assolutamente alcuno sforzo da parte tua.
(T-12.I.3:1-2)
La nostra attesa è quella disposizione interiore che ci mette sulla strada luminosa della vera umiltà.
L’umiltà è forza solo in questo senso: che riconoscere e accettare il fatto che non sai è riconoscere e accettare il fatto che Egli veramente sa.
(T-16.I.4:4)
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Nel capitolo 19 del Testo, all’interno della sezione Gli ostacoli alla pace, c’è una bellissima preghiera che ci insegna come invitare lo Spirito Santo perché giudichi per noi. Leggiamola:
Prendi questo da me e guardalo, giudicandolo per me. Non lasciare che io lo veda come segno di peccato e di morte, né che lo usi per distruggere. Insegnami come non farne un ostacolo per la pace, ma usalo Tu per me, per facilitare la sua venuta.
(T-19.X.11:8-10)
Come l’inizio dello stesso paragrafo esemplifica, ci troviamo in una situazione di paura. Sul nostro corpo sentiamo scorrere gocce di sudore freddo e brividi di terrore. Forse qualcuno ci sta minacciando. Forse un pericolo incombente sta per precipitarci addosso schiacciando inesorabilmente noi e i nostri cari. Forse ci troviamo a due passi dalla morte. Chi non si è trovato almeno una volta in una situazione del genere? Sembra tutto vero ed oggettivo. Sembra che non ci sia via di scampo. E soprattutto sembra che il pericolo sia esterno a noi, e provenga da una qualche fonte esterna di fronte alla quale siamo totalmente inermi. È molto difficile in tali frangenti ricordare il titolo della lezione 48 “Non c’è nulla di cui avere paura.” Per non parlare dalla rabbia che possono suscitare in noi certe frasi contenute nel primo paragrafo della medesima lezione: “In verità non c’è nulla di cui avere paura. È molto facile riconoscerlo. Ma è molto difficile riconoscerlo per coloro che vogliono che le illusioni siano vere” (L-48.1.1:3-5).
Eppure nell’ultima frase che abbiamo letto è contenuta la soluzione. La paura è una nostra scelta, indipendente dalle condizioni esterne, e dipendente da un solo fattore: il nostro desiderio che le illusioni, cioè le percezioni sbagliate ed in particolare i nostri giudizi d’attacco, siano veri. La preghiera degli ostacoli alla pace serve proprio ad aiutarci in tali frangenti, ma diventa efficace solo se siamo disposti a mettere in discussione le nostre illusioni, se non vogliamo che esse siano vere. Perché se invece vogliamo che lo siano, allora è molto, molto difficile lasciar andare la paura.
Mettere in discussione le nostre illusioni presume la loro osservazione, perché non possiamo mettere in discussione consapevolmente ciò che non sappiamo di pensare. A questo serve il primo passo del perdono, che ci invita a guardare senza veli e senza scuse che cosa pensiamo veramente. Abbiamo così la possibilità di vedere che sono le nostre percezioni malate a mantenerci in uno stato di paura, e non le situazioni esterne. Sono i nostri giudizi di condanna. Sono i nostri attacchi che ci fanno percepire sia il mondo esterno che i nostri fratelli come dei nemici. Solo da questo deriva la nostra paura.
Se ci assumiamo la responsabilità dei nostri pensieri possiamo almeno renderci conto che la paura viene dai nostri giudizi d’attacco e dall’aver scelto l’ego come insegnante di percezione nell’illusoria credenza che ci aiuti a liberarci della nostra colpa ontologica. E a questo punto possiamo anche renderci conto di come non stiamo affatto bene. Possiamo vedere che stiamo danneggiando, invece che aiutando, noi stessi. Possiamo vedere che stiamo pagando un prezzo troppo alto che imprigiona la nostra mente in una morsa autodistruttiva. È questo il momento in cui possiamo, in piena onestà e convinzione, pensare alle parole suggerite dalla lezione 51:
Ho giudicato tutto ciò che vedo, ed è questo – e solo questo - che vedo. Questa non è visione. È soltanto un’illusione di realtà, perché i miei giudizi sono stati fatti senza tener conto della realtà. Sono disposto a riconoscere la mancanza di validità dei miei giudizi, perché voglio vedere. I miei giudizi mi hanno ferito e non voglio vedere in base ad essi.
(L-pI.51.2)
“I miei giudizi mi hanno ferito”. Come abbiamo visto negli ultimi spunti (per rileggerli cliccare qui), è questol’unico uso corretto del giudizio. (T-4.IV.8:5-6) : giudicare come ci sentiamo (T-30.I.8:2).
Questa è la consapevolezza che ci permette di sospendere il giudizio dell’ego, perché il riconoscimento viene dalla visione e dalla sospensione del giudizio. (T-21.II.8:3). Sospendere il giudizio vuol dire aver visto – o giudicato - il costo delle nostre scelte percettive, ed esserci resi conto che tali scelte ci fanno del male. E di conseguenza significa che siamo disponibili a metterci in una condizione di attesa, di stand by, di ricezione, in cui è possibile ricevere un diverso giudizio. Questo è il momento in cui la nostra mente semplicemente osserva, aspetta e non giudica. (L-pII.1.4:3)
È in questo istante santo – e solo in questo- che siamo finalmente disponibili a fare il secondo passo del perdono, che consiste nel chiedere aiuto allo Spirito Santo affinché il Suo giudizio sostituisca il giudizio d’attacco dell’ego. E saremo quindi pronti a formulare la bellissima preghiera degli ostacoli alla pace, con la fiducia che Egli giudichi per noi, sostituendo le nostre proiezioni di morte con le Sue estensioni di amore. E allora le immagini di morte e di terrore verranno sostituite da immagini di pace, di amorevolezza, di richiesta di guarigione e di aiuto.
Non cambieranno le cose, ma la percezione che ne avremo. E la paura cederà il passo all’amore.
Fa’ posto all’amore, che non hai creato tu, ma che puoi estendere. Sulla terra questo significa perdona tuo fratello, così che l’oscurità possa essere sollevata dalla sua mente.
(T-29.III.4:1-2)
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Da qualche settimana stiamo studiando un aspetto del terzo passo del perdono: il giudizio dello Spirito Santo. Per rileggere gli spunti relativi cliccare qui. Abbiamo visto che il giudizio dello Spirito Santo è strettamene legato alla Sua visione, perché come la visione ci permette di vedere immagini di amore proprio là dove prima vedevamo immagini di paura e di morte, così il giudizio amorevole dello Spirito Santo sostituisce le valutazioni basate su condanna, attacco ed esclusione - cioè il giudizio dell’ego - con valutazioni basate sulla comprensione, sulla fratellanza e sull’amorevole inclusione. E abbiamo visto che non è possibile accedere alla visione e al giudizio dello Spirito Santo senza aver compiuto i due precedenti passi, consistenti in primo luogo nell’assumerci la responsabilità dei pensieri, delle proiezioni e dei giudizi che l’ego - da noi invitato - instilla nella nostra mente e poi nell’essere fermamente decisi a chiedere aiuto allo Spirito Santo perché i Suoi giudizi e la Sua visione subentrino nella nostra mente.
Ritorniamo ora alla lezione 10, integralmente dedicata al giudizio. Ne abbiamo letto in precedenza alcuni paragrafi. Oggi vorrei sottolineare la cura e l’amorevolezza con cui il Corso ci aiuta a spostare la nostra attenzione dal giudizio dell’ego a quello dello Spirito Santo. Il Corso sembra rendersi perfettamente conto del fatto che lasciare andare i nostri giudizi ci sembra una rinuncia enorme, addirittura un sacrificio, perché le nostre certezze sono basate proprio sulla presunzione di credere di sapere. Affrontando dunque questo argomento ci offre una magnifica alternativa di pensiero. Leggiamo con quanta gentilezza ed amore espone le sue argomentazioni nel paragrafo 2:
È necessario che l’insegnante di Dio si renda conto non del fatto che non dovrebbe giudicare, ma che non può. Nel rinunciare a giudicare sta semplicemente rinunciando a ciò che non ha mai avuto. Rinuncia a un’illusione o, meglio, ha l’illusione di rinunciare. E‘ in effetti diventato semplicemente più onesto. Riconoscendo che gli è stato sempre impossibile giudicare, non ci prova più. Questo non è un sacrificio.
(M-10.2.1-6)
Questa è un’impasse che sicuramente avrebbe potuto bloccarci, magari per anni e anni. Chi di noi non percepisce l’abbandono del giudizio come un sacrificio dei propri interessi, la rinuncia ad una prerogativa indispensabile in nome di una presunta bontà e generosità verso chi – potremmo pensare- magari ci ha fatto del male? Il nostro giudizio – potremmo ancora pensare- ci tutela da ulteriori danni. E allora perché lasciarlo andare non dovrebbe essere un sacrificio? Leggiamo ancora:
Questo non è un sacrificio. Al contrario, [l’insegnante di Dio] si mette in una posizione in cui può aver luogo il giudizio attraverso di lui piuttosto che da lui. E questo giudizio non è né buono né cattivo. È il solo giudizio che c’è, ed è solo uno: “Il Figlio di Dio è senza colpa e il peccato non esiste”.
(M-10.2.6-9)
In stretta coerenza con tutta la sua teoria il Corso ritorna qui al principio dell’Espiazione, che dovrebbe condurre tutte le nostre scelte e essere alla base del nostro intero sistema di pensiero. E - coerentemente con questo assunto - il giudizio dello Spirito Santo viene definito “il solo giudizio che c’è”, perché quello dell’ego è, per sua stessa natura, del tutto inesistente come l’ego stesso.
Per fronteggiare la nostra costante tendenza a percepire che i nostri interessi vengono sacrificati quando scegliamo di perdonare, la lezione 27 ci offre qualche suggerimento:
Mentre dici che più di ogni altra cosa desideri vedere, potrai essere tentato di credere che ti si stia chiedendo un qualche tipo di sacrificio. Se usare questa affermazione senza riserve ti crea del disagio, aggiungi:
La visione non costa niente a nessuno.
Se la paura della perdita persiste, aggiungi ancora:
Può solo essere una benedizione.
(L-pI.27.2)
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anche questa settimana rimaniamo sulla sezione 10 del Manuale degli insegnanti, dedicata integralmente al giudizio e al modo in cui lo si abbandona. Negli spunti degli ultimi mesi (per rileggerli cliccare qui) abbiamo visto più e più volte che la parola giudizio viene usata dal Corso con accezioni diverse. Così può significare condanna e attacco (quando il giudizio è espresso dall’ego), può significare visione amorevole o partecipe delle richieste di aiuto e di guarigione (quando è espresso dallo Spirito Santo) e infine può significare valutazione del modo in cui ci si sente e del prezzo che si sta pagando ogniqualvolta si mantengono nella propria mente i pensieri dell’ego (e questo è il giudizio che noi- in quanto DM- dobbiamo imparare a formulare).
Da questo unico uso corretto del giudizio (T-4.IV.8:6) deriva la sospensione di giudizio (T-21.II.8:3) che ci permette quell’osservare, aspettare e non giudicare di cui parla un mirabile brano della seconda parte del libro degli esercizi. (L-pII.1.4:1-3). Quindi la sezione 10 del Manuale degli insegnanti mette a fuoco e sintetizza gli insegnamenti sul giudizio contenuti nei due libri precedenti del Corso, dandone per scontata sia la teoria che l’applicazione pratica, ossia che il giudizio si abbandona guardando le urla rauche e le immagini malate dell’ego (L-pI.49.4:3), che noi abbiamo accettato nella nostra mente, e scegliendo consapevolmente di metterle in discussione. Il giudizio in sostanza si abbandona facendo i primi due passi del perdono che ci permettono di accedere al terzo, quella visione spirituale in cui le immagini che prima ci torturavano sono già state cambiate. (L-pI.23.5:5)
Ma la sezione 10 del Manuale va oltre, in quanto si sofferma soprattutto su un altro aspetto che era già stato trattato nei libri precedenti, anche se in modo meno specifico e focalizzato: ci dice che l’abbandono del giudizio non è affatto quel sacrificio che a noi sembra, perché di fatto non possiamo giudicare. Per farlo dovremmo conoscere perfettamente i fatti e anche le premesse (il passato) e le conseguenze (il tempo a venire) dei fatti. E dovremmo anche conoscere gli effetti che i nostri giudizi provocano su tutti coloro che in un modo o nell’altro ne sono coinvolti. E tutto questo è veramente impossibile, data la gamma estremamente ristretta di visuale che la presenza dell’ego nella nostra mente ci consente di avere.
Tutto questo fa dire al Corso che se rinunciamo al giudizio non rinunciamo a qualcosa di reale, ma all’illusione di poter giudicare o di credere di poter giudicare. Dunque questo abbandono non è affatto un sacrificio. Al contrario è la liberazione da un pesante fardello che ci eravamo stoltamente caricati sulle spalle. Ora possiamo deporre il fardello perché ne vediamo finalmente il costo: il dolore, la solitudine, il senso di perdita, la crescente mancanza di speranza.
Ecco la conclusione della bellissima sezione:
Perciò deponi il giudizio, non con rincrescimento, ma con un sospiro di gratitudine. Adesso sei libero da un fardello tanto grande che sotto di esso potresti solamente barcollare e cadere. Ed era tutta illusione. Niente di più. Ora l’insegnante di Dio può alzarsi senza fardelli e andare avanti con leggerezza. Ma non è soltanto questo il suo beneficio. La sua sensazione di preoccupazione è finita, poiché non ne ha nessuna. L’ha abbandonata insieme al giudizio. Si è dato a Colui nel Cui giudizio ha ora scelto di aver fiducia, invece del proprio. Ora non fa errori. La sua Guida è sicura. E dove era venuto a giudicare, viene a benedire. Dove adesso ride, era solito venire a piangere. Non è difficile abbandonare il giudizio. Ma è davvero difficile cercare di mantenerlo. L’insegnante di Dio lo depone felicemente nell’istante in cui ne riconosce il costo. Tutta la bruttezza che vede attorno a sé ne è la conseguenza. Tutto il dolore che vede è il suo risultato. Tutta la solitudine e il senso di perdita, il passare del tempo e la crescente mancanza di speranza., la disperazione rivoltante e la paura della morte, tutte queste cose sono venute da esso. E ora sa che queste cose non sono necessarie. Non una è vera. Poiché ha rinunciato alla loro causa ed esse, che non sono mai state altro che gli effetti della sua scelta sbagliata, sono scomparse da lui. Insegnante di Dio, questo passo ti porterà la pace. Può forse essere difficile non voler altro che questo?
(M-10.5-6)
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