Secondo gli insegnamenti di Kenneth Wapnick

D 1051 Come può la separazione aver preceduto la coscienza?

 

D #1051: Suppongo di non aver compreso che la coscienza sia venuta in essere dopo la separazione. La coscienza non è nata prima della separazione? Perché se ci fosse una fusione di Causa ed Effetto o di Creatore e creazioni non ci sarebbe stata una consapevolezza di distinzione che potesse causare una separazione. Il Figlio cosciente fu tentato dall’idea maniacale dell’ego che avrebbe potuto risentirsi del fatto di essere una semplice creazione e non essere grato verso il Creatore.  L’ego ha detto al Figlio che sarebbe sempre stato al secondo posto. Così è nata la separazione. Ora abbiamo il mondo reale di Dio e il Suo unico Figlio. Abbiamo anche un mondo irreale, il solo mondo che conosciamo e il fatto che sia chiamato irreale non sembra fare alcuna differenza. Come ho detto, immagino di non aver compreso.

 

R: La coscienza non poteva essere parte della perfetta Unità perché coscienza implica dualità: soggetto ed oggetto. In un certo senso stai ponendo una versione della domanda più comunemente posta – come è potuto accadere ciò? – e in realtà non c’è una risposta pienamente soddisfacente. Il problema è che la tua stessa domanda nasce da una mente che crede che la separazione sia avvenuta, altrimenti non ci sarebbe alcuna domanda. Gesù così afferma in Un corso in miracoli: “L'ego esigerà molte risposte che questo corso non fornisce. Il corso non riconosce come domande quelle che hanno solo la forma di domanda a cui è impossibile rispondere. L'ego potrebbe chiedere: ‘Come è accaduto l'impossibile?’, ‘A cosa è accaduto l'impossibile?’, e potrebbe chiederlo in molte forme. Ma non c'è risposta a questo: solo un'esperienza. Cerca solo questa e non permettere alla teologia di farti ritardare” (C.in.5; vedi anche T.4.II.1:1).

Nello stesso punto Gesù spiega che il suo corso “rimane all’interno della struttura dell'ego, dove è necessario. Non si preoccupa di ciò che è al di là dell'errore, perché è pianificato solamente per stabilire la direzione verso ciò che si trova al di là dell'errore. Pertanto usa le parole, che sono simboliche e che non possono esprimere ciò che si trova al di là dei simboli” (C.in.3:1,2,3). Gesù usa un linguaggio che possiamo comprendere, altrimenti non ci sarebbe affatto comunicazione, e il linguaggio che comprendiamo è il linguaggio della dualità: distinzioni reali, esseri separati, coscienza delle cose, ecc., come pure il linguaggio e i concetti della tradizione Giudeo-Cristiana. Ma egli dice, qui come in altri posti (vedi in particolare T.25.I), che considera le parole come simboli che puntualizzano per noi qualcosa che non può essere espresso con parole o altro genere di simbolo. Egli pertanto ci chiede umiltà e di non fare affidamento sulla nostra comprensione di ciò che dice come misura per la verità (T.18.IV.7:4,5,6). Non possiamo fare affidamento sul nostro modo di pensare a causa del nostro impegno nascosto di sostenere il sistema di pensiero dell’ego anziché la verità mantenuta per noi dallo Spirito Santo nella nostra mente corretta. La nostra comprensione si presta alla distorsione a causa di ciò che abbiamo nascosto dalla luce della verità. Ecco perché Gesù afferma: “Non permettere alla teologia di farti ritardare”: per secoli abbiamo argomentato e combattuto su quali sistemi teologici siano validi e quali non lo siano. Così egli ci suggerisce di cercare solo l’esperienza che è il risultato della nostra pratica di perdono: che Dio ama ogni persona senza eccezione e che non abbiamo mai perso l’innocenza in cui Egli ci ha creato. Allora tutte le domande ed i dubbi semplicemente svaniranno.