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Nell’istante santo la condizione dell’amore è soddisfatta, perché le menti sono unite senza l’interferenza del corpo, e dove c’è comunicazione c’è pace.
(T-15.XI.7:1)
Il senso di solitudine non è determinato dalle condizioni della nostra vita, ma da uno stato interiore di disagio che noi proiettiamo sulle condizioni esterne. Da dove deriva questo stato interiore? Dal folle credere di essere separati da Dio, nostra Fonte e nostro Tutto (T-27.VIII.6:2). Questa separazione genera in noi sentimenti devastanti di angoscia, depressione, colpa e paura, da cui cerchiamo di liberarci proiettandoli sulle circostanze esterne, che a questo punto sembreranno essere la causa del problema, invece che l’effetto.
Questa teoria del Corso può essere messa alla prova molto praticamente, andando con la memoria a certi momenti della nostra vita in cui ci è capitato di non sentirci affatto soli pur trovandoci fisicamente da soli, o a certi altri momenti in cui ci siamo sentiti soli pur essendo in mezzo ad altre persone, a volte addirittura in mezzo ad una vera e propria folla.
Ecco perché il Corso dice che i corpi, di per sé, non possono unirsi, ma le menti sì. Perché la solitudine è uno stato mentale e non fisico. Eppure tutti tendiamo a risolvere il problema della solitudine cercando la compagnia degli altri, come se il problema fosse generato dalla loro assenza. E non ci accorgiamo che non solo non lo risolviamo, ma spesso rischiamo di complicarlo ulteriormente. Infatti, le difese fanno ciò da cui vogliono difendere (T-17.IV.7:1) ossia determinano un peggioramento ulteriore del problema: il tentativo di difendersi da un problema inesistente genera il problema stesso.
Così una persona che si sente sola- sensazione generata dalla separazione da Dio- potrebbe per esempio proiettare questo disagio sugli altri giungendo a percepirli come causa del suo disagio e arrivando quindi a diffidare di loro e addirittura a rifiutarli. La sua esperienza sarebbe di essere rifiutata da loro, ma in realtà sarebbe stata lei, con il suo atteggiamento difensivo, ad aver proiettato e quindi percepito un loro rifiuto. E non ha alcuna importanza se la sua percezione di rifiuto da parte degli altri è confermata da qualche loro comportamento di esclusione. Se questa persona non si sentisse sola non percepirebbe l’atteggiamento altrui come un rifiuto ma come una richiesta di guarigione o di aiuto e non solo non ne soffrirebbe, ma sentirebbe un sincero desiderio di essere d’aiuto.
Oppure il nostro senso di mancanza di natura ontologica - perché determinato ancora una volta dalla separazione da Dio - potrebbe alimentare in noi un bisogno predatorio di compagnia, capace di mettere in stato d’allarme chi ci sta vicino e di portarci nuovamente a interpretare tale reazione come una forma di rifiuto.
In questi e altri casi, il nostro difenderci da un problema interiore non riconosciuto genererebbe un problema esteriore di cui ci sentiremmo vittima.
Evidentemente la soluzione a un problema interno non può essere esterna. Per il Corso questa soluzione è l’Espiazione, ossia la correzione del senso di solitudine interiore offerta dallo Spirito Santo, il nostro Amico per eccellenza.
Non condurre la tua piccola vita in solitudine, con un’illusione come tua sola amica. Questa non è un’amicizia degna del Figlio di Dio, né una della quale egli si possa accontentare. Tuttavia Dio gli ha dato un Amico migliore, nel Quale si trova tutto il potere in terra e in Cielo.
(T-26.VI.2:1-3)
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Da parecchie settimane stiamo focalizzandoci sul problema della solitudine, generata nella nostra mente dalla credenza incredibile – perché mai avvenuta e impossibile per definizione - di essere separati da Dio. (T-27.VIII.6:2 e T-7.VIII).
Abbiamo visto nello spunto della scorsa settimana che il modo in cui cerchiamo abitualmente di risolvere il problema è attraverso la compagnia degli altri, ossia quanto il Corso definisce “unione dei corpi”. Servono proprio a questo le relazioni speciali, ossia le relazioni basate sulla specialezza, il marchio distintivo dell’ego.
Il Corso ci spiega che esistono due tipologie di relazioni speciali; quelle speciali d’odio e quelle speciali d’amore.
Nel primo caso il dolore interno, la colpa generata dalla separazione, viene proiettato all’esterno: sul mondo in genere, su qualcuno in particolare o sul proprio corpo. Questo palcoscenico esterno quindi viene percepito come un nemico odiato o odiabile. Di qui la definizione “ relazione speciale d’odio”. Nel secondo caso è il senso di carenza – ancora una volta generato dalla separazione da Dio, il Tutto - a portarci ad esercitare un vero e proprio atteggiamento predatorio nei confronti del mondo esterno, allo scopo di appropriarcene in qualche modo per colmare il nostro vuoto e completarci. In tal caso gli altri vengono percepiti come dei veri e propri “idoli” in grado di salvarci dalla nostra solitudine, gli idoli salvatori di cui ci innamoriamo. Di qui la definizione “relazione speciale d’amore”.
Il lettore che desidera approfondire questo argomento potrebbe trovare utile la lettura del capitolo 8 e 9 del mio libro "Un Corso in miracoli parla di sé" , in particolare da pagina 140 a pagina 145. (Cliccare qui per info) Mentre le relazioni speciali d’odio servono egregiamente allo scopo di proiettare sul mondo il nostro senso di vuoto - dando al mondo esterno la colpa per quello che è invece solo un nostro problema personale - le relazioni speciali d’amore sembrano temporaneamente risolvere il problema, perché ci danno l’illusione del completamento. Ma le difese fanno ciò da cui vogliono difendere, e quindi ben presto proprio il nostro tentativo di difenderci dalla presunta solitudine interiore genererà solitudine. Le barriere che avevamo eretto per difenderci dal vuoto crollano e irrompono proprio quella colpa, quella paura e quell’odio che avevamo cercato di nascondere dietro l’illusione del completamento.
La relazione speciale d’amore è un tentativo di limitare gli effetti distruttivi dell’odio trovando un rifugio nella tempesta della colpa. Non fa alcun tentativo di elevarsi al di sopra della tempesta, dove c’è la luce del sole. Al contrario, evidenzia il fatto che la colpa è fuori dal rifugio e tenta di costruire barricate contro di essa e di ripararvisi dietro. … Se l’illusione svanisce, la relazione si rompe o diventa insoddisfacente a causa della disillusione... Quando le barricate contro di essa cadono, la paura irrompe e l’odio trionfa
(T-16.IV.3:1-3,7;4:10)
Fortunatamente il Corso ha una soluzione migliore da prospettarci: l’accettazione dell’Espiazione, ossia la correzione del basilare problema della separazione da Dio. A dispetto di tutti i tentativi dell’ego, è questa la sola via che ci permette di sperimentare il miracolo della pace interiore.
L’unica responsabilità di colui che opera il miracolo è
accettare l’Espiazione per se stesso.
(T-2.V.5:1)
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Nell’ultimo spunto abbiamo visto che l’ego propone di risolvere il problema della solitudine attraverso la relazione speciale d’amore, un meccanismo proiettivo grazie al quale percepiamo gli altri come degli idoli salvatori in grado di completarci e farci sperimentare in terra il paradiso dell’amore.
Il “miglior” sé che l’ego cerca è sempre un sé più speciale. E chiunque sembri possedere un sé speciale è “amato” per ciò che gli può essere preso. Dove entrambi i partner vedono questo sé speciale l’uno nell’altro, l’ego vede “un’unione benedetta dal Cielo”. Perché nessuno dei due si renderà conto di aver chiesto l’inferno, e così non interferirà con l’illusione del Cielo dell’ego, che gli è stata offerta dall’ego per interferire con il Cielo.
(T-16.V.8:1-4)
Come abbiamo letto, purtroppo questa soluzione non funziona perché si tratta di un’inutile difesa da un problema interno non riconosciuto. Infatti, in ben poco tempo l’illusione di felicità lascia emergere l’inganno sottostante, che ci era stato offerto dall’ego proprio per non risolvere il problema e per impedirci di tornare alla pace interiore.
Il Corso ci spiega chiaramente qual è l’intento distruttivo del nostro ego:
La relazione speciale d’amore è un tentativo di limitare gli effetti distruttivi dell’odio trovando un rifugio nella tempesta della colpa. Non fa alcun tentativo di elevarsi al di sopra della tempesta dove c’è la luce del sole. Al contrario, evidenzia il fatto che la colpa è fuori dal rifugio e tenta di costruire barricate contro di essa e di ripararvisi dietro. La relazione speciale d’amore non è percepita come un valore in sé, ma come un luogo dove ci si sente al sicuro dal quale l’odio è tagliato fuori e tenuto separato. Il compagno d’amore speciale è accettabile solo finché serve a questo scopo. L’odio può entrare, e di fatto è benvenuto in alcuni aspetti della relazione, ma questa è tenuta insieme ancora dall’illusione dell’amore. Se l’illusione svanisce, la relazione si rompe o diventa insoddisfacente a causa della disillusione.
(T-16.IV.3)
Se ci ricordiamo che quando parla di colpa – così come di odio o di solitudine - il Corso si riferisce agli effetti del problema ontologico della separazione da Dio, allora comprendiamo come questo paragrafo descriva dettagliatamente il tentativo di risolvere il drammatico problema della separazione mediante le relazioni speciali. E di come noi usiamo tali relazioni al solo scopo di negare il nostro dolore interno - la colpa, la paura, l’odio e la solitudine - costruendo delle barricate contro di esso e riparandovici dietro. Tuttavia il paragrafo ci spiega anche come queste difese - la negazione e la proiezione - non servono, perché quando l’illusione costruita dal nostro ego decade, allora la relazione sembra precipitare e noi ci sentiamo delusi e ancor più soli di prima.
Questo significa forse che dobbiamo smettere di frequentare gli altri? Certamente no! Non dimentichiamo che quando parla di relazioni il Corso non allude alle interazioni fra le persone, ma alle nostre percezioni di queste interazioni. Quindi tutto questo significa soltanto che è fondamentale imparare a guardarle, comprendendo gli scopi nascosti che cerchiamo di mettere in atto e che ci trascinano a volte in abissi di disperazione.
Non aver paura di guardare la relazione speciale di odio, perché la libertà sta nel guardarla. Sarebbe impossibile non conoscere il significato dell’amore se non fosse per questo. Perché la relazione speciale d’amore, nella quale il significato dell’amore è nascosto, viene intrapresa solo per contrapporsi all’odio, ma non per lasciarlo andare. La tua salvezza apparirà chiaramente davanti ai tuoi occhi aperti quando guarderai ciò. Non puoi limitare l’odio. La relazione speciale d’amore non vi si può contrapporre, ma può occultarlo alla vista e renderlo invisibile. E’ essenziale renderlo visibile e non fare alcun tentativo di nasconderlo…. E finché non te ne renderai conto la separazione rimarrà non riconosciuta e quindi non guarita.
(T-16.IV.1:1-7, 10)
Solo guardando le dinamiche interne delle relazioni speciali possiamo renderci conto di cosa l’ego combina dentro la nostra mente, e possiamo decidere di scegliere una Guida diversa, l’Insegnante dell’Espiazione (=correzione), pronto a mutare le nostre distruttive relazioni speciali in amorevoli relazioni sante!
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…… la relazione speciale d’amore, nella quale il significato dell’amore è nascosto, viene intrapresa solo per contrapporsi all’odio, ma non per lasciarlo andare. La tua salvezza apparirà chiaramente davanti ai tuoi occhi aperti quando guarderai ciò. Non puoi limitare l’odio. La relazione speciale d’amore non vi si può contrapporre, ma può occultarlo alla vista e renderlo invisibile. E’ essenziale renderlo visibile e non fare alcun tentativo di nasconderlo…. E finché non te ne renderai conto la separazione rimarrà non riconosciuta e quindi non guarita.
(T-16.IV.1:3-7,10)
In questo paragrafo il Corso ci raccomanda di imparare a osservare attentamente dentro la nostra mente i meccanismi di negazione e proiezione (quanto il Corso definisce “difese”) che mettiamo in atto nelle nostre relazioni speciali d’amore, nel vano tentativo di proteggerci dal sistema di pensiero dell’ego basato su separazione, solitudine, odio, colpa, paura e attacco.
La relazione speciale ha proprio questo scopo: nascondere il sistema di pensiero dell’ego e renderlo invisibile, così da generare dentro la nostra mente l’illusione di averlo superato e risolto.
E’ essenziale, ci dice il Corso, non cadere in questa trappola e renderlo visibile, perché il nostro unico e basilare problema- la separazione da Dio (L-pI.79) – non può essere guarita se non viene riconosciuta. E se la separazione non viene guarita allora tutto il sistema di pensiero dell’ego che ne è la conseguenza - sistema basato su paura, colpa, solitudine, odio e attacco - non potrà essere guarito e continuerà ad essere inconsciamente proiettato sulla relazione stessa, che sembrerà peggiorare gradualmente fino a diventare un vero e proprio inferno. Il risultato non potrà che essere una profonda delusione, perché noi crederemo di aver fatto tutto il possibile per trovare amore e compagnia e non ci renderemo affatto conto di avere invece fatto tutto il possibile per proteggere il sistema di pensiero dell’ego contro l’amore e la vera unione.
A tutto questo ci portano quelle difese che fanno ciò da cui sembrano difendere (T-17.IV.7.1). A questo ci porta il tentativo di difenderci dall’odio cercando l’amore, o dalla solitudine cercando l’unione. Ecco perché il Corso ci spiega che il nostro compito non consiste nel cercare l’amore, ma nell’imparare a guardare - come il primo passo del perdono ci insegna a fare - tutte le barriere che avevamo eretto contro di esso.
Il tuo compito non è di ricercare l’amore, ma di cercare e trovare tutte le barriere dentro di te che hai costruito contro di esso. Non è necessario ricercare ciò che è vero, ma è necessario cercare ciò che è falso…. Se cerchi l’amore al di fuori di te puoi essere certo che dentro di te percepisci l’odio e ne hai paura. Tuttavia la pace non verrà mai dall’illusione dell’amore, ma solo dalla sua realtà.
(T-16.IV.6:1-2,5-6)
E’ questo un invito che il Corso ci rivolge in continuazione, e che troviamo addirittura nella sua introduzione, come vera e propria dichiarazione programmatica del percorso che propone:
Il corso non si prefigge di insegnare il significato dell’amore, poiché esso trascende ciò che può essere insegnato. Si prefigge tuttavia di eliminare i blocchi alla consapevolezza della presenza dell’amore, che è la tua eredità naturale.
(T-In.1:6-7)
In conclusione, questo non è affatto un Corso sull’amore - come a volte i suoi studenti credono erroneamente - quanto piuttosto un Corso sull’osservazione ed il disfacimento delle barriere che erigiamo in continuazione dentro la nostra mente, proprio per opporci all’amore.
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Al problema della solitudine e al nostro tentativo di risolverla mediante il completamento con qualcuno o qualcosa di esterno (dinamica che viene definita “relazione speciale d’amore”), il Corso dedica molto spazio. Un’intera sezione affronta quest’argomento: La scelta in favore del completamento, (T-16.V). La sezione inizia con la descrizione della natura della relazione speciale e del grande dolore contenuto in essa.
Nell’osservare la relazione speciale, è necessario dapprima rendersi conto che implica una grande quantità di dolore. Ansia, disperazione, colpa e attacco ne fanno tutti parte, intervallati da periodi in cui sembrano essere spariti. Tutti questi devono essere compresi per quello che sono… In parole povere, il tentativo di fare sentire in colpa è sempre diretto contro Dio… La relazione speciale d’amore è l’arma principale dell’ego per tenerti fuori dal Cielo. Non sembra essere un’arma, ma se consideri come la valuti e perché, ti renderai conto di quello che deve essere.
(T-16.V.1:1.3; 2:1,3-4)
E’ chiaro: il problema della relazione speciale consiste nel suo essere un tentativo di attaccare Dio e non accettare l’Espiazione per noi stessi, l’unica soluzione possibile per tornare al Cielo, lo stato di Mente Una. In sostanza, sembra che il nostro dolore sia determinato dalla relazione in sé. Non sembra per nulla che essa sia un’arma che brandiamo per attaccare Dio, ossia per non prendere coscienza del fatto che vogliamo mantenere l’errore della separazione da Dio e dal Cielo dentro la nostra mente. Ecco perché la citazione prosegue con una frase molto incisiva:
La relazione speciale d’amore è il dono di cui più si vanta l’ego, ed è quello che è più attraente per coloro che non sono disposti a lasciar andare la colpa [ovviamente conseguente alla separazione].
(T-16.V.3:1)
Nel capitolo successivo, il 17, compare una frase che riassume meravigliosamente questo piano che l’ego ha attuato e continua a urlare nella nostra mente per impedirci di scegliere la correzione della separazione, definita nel Corso “Espiazione”.
In un certo senso, la relazione speciale è stata la risposta dell’ego alla creazione dello Spirito Santo, Che è stato la Risposta di Dio alla separazione. Perché nonostante l’ego non capisse che cosa era stato creato, era consapevole della minaccia. L’intero sistema di difesa che l’ego ha sviluppato per proteggere la separazione dallo Spirito Santo, è stato in risposta al dono con cui Dio l’ha benedetto e, attraverso la Sua benedizione, lo ha messo in grado di essere guarito.
(T-17.IV.4:1-3)
Riassumendo: Lo Spirito Santo ripete incessantemente nella nostra mente la Risposta alla presunta separazione da Dio, ossia il principio dell’Espiazione che l’ha corretta definitivamente e che noi siamo invitati ad accettare. L’ego, a sua volta, propone una risposta alla Risposta dello Spirito Santo, che consiste nell’elaborazione delle dinamiche difensive della negazione e della separazione, che sono alla base delle relazioni speciali. Sta a noi scegliere quale delle due risposte vogliamo scegliere: l’Espiazione, ossia la Risposta dello Spirito Santo alla separazione, o la relazione speciale, ossia la risposta dell’ego all’Espiazione? Questa è la funzione del nostro libero arbitrio, e possiamo esercitarla in ogni momento.
Ma non potremo farlo se non avremo imparato – come il primo passo del perdono ci insegna - a guardare dentro la nostra mente le dinamiche che l’ego ci propone in continuazione e che noi continuiamo scioccamente a dare per scontate!
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Abbiamo visto la scorsa settimana (per rileggere lo spunto relativo cliccare qui) che il Corso dedica un’intera sezione al modo in cui l’ego cerca di risolvere il problema della solitudine: proponendo l’apparente completamento della relazione speciale d’amore.
Abbiamo visto che per sua natura tale relazione comporta una grande quantità di dolore perché è un’invenzione dell’ego per impedirci di accettare l’Espiazione, ossia la correzione della separazione da Dio. Come abbiamo letto, è addirittura una ben precisa strategia che l’ego ha escogitato per impedirci di accettare questa felice soluzione, che ci permetterebbe di risolvere alla radice il nostro problema, annullandone la causa. Come sempre, l’ego si occupa degli effetti mentre lo Spirito Santo risolve la causa.
Questo è un Corso sulla causa e non sull’effetto
(T-21.VII.7:8)
La sezione (T-16.V) prosegue poi elencando alcune “dinamiche” della relazione speciale d’amore, e fra le altre ne emerge chiaramente una: nella relazione speciale l’amore non è percepito come unione, ma come esclusione. Il perché viene spiegato dettagliatamente: perché l’unione è cercata con un sé speciale, che viene isolato dalla Figliolanza -e quindi separato- escludendo tutti gli altri. Questa è la dinamica che abbiamo visto negli spunti dei mesi scorsi. Consiste nel percepire una persona non come mente (percezione che la renderebbe uguale a tutte le altre menti) ma come corpo (cioè come identità separata). Ciò è indispensabile, perché chi intrattiene nella sua mente una relazione speciale inevitabilmente è catturato dall’ego, e quindi percepisce se stesso come corpo. Se dunque vuole completarsi con qualcun altro all’esterno è obbligato a percepirlo come corpo, perché solo i corpi possono avere l’illusione di unirsi ad altri corpi. (per rileggere gli spunti relativi, dal 346 in poi, cliccare qui). In sostanza la relazione speciale d’amore non è altro se non un’unione di corpi. Abbiamo già letto più volte la citazione:
Le menti sono unite, i corpi no. Solo assegnando alla mente le proprietà del corpo sembra possibile la separazione.
(T-18.VI.3:1-2)
Dovrebbe essere chiaro, dunque, perché nella relazione speciale l’amore viene percepito come separazione ed esclusione (T-16.V.3:8). E anche perché la relazione speciale implica una grande quantità di dolore (T-16.V.1:1). Perché il fondamento stesso della relazione speciale è di impedire l’Espiazione. E siccome l’Espiazione è la nostra unica possibilità di sperimentare l’unione, e di conseguenza di raggiungere la pace interiore, quale pace sarà mai possibile per noi?
Fortunatamente il Corso ci propone la soluzione: guardare dentro la nostra mente le dinamiche che mettiamo in atto nella relazione speciale e riconoscere che essa rappresenta semplicemente un tentativo di anteporre all’Espiazione (cioè al riconoscimento che non siamo separati da Dio) altri dei o idoli (cioè tutte le nostre relazioni speciali d’amore). Una volta riconosciuto questo folle tentativo potremo lasciarlo andare lietamente, scegliendo un diverso completamento: non più il completamento con le illusioni, ma la lieta accettazione del completamento con Dio.
Vedi nella relazione speciale niente di più che un insignificante tentativo di anteporre a Lui altri dei e di oscurare, adorandoli, la loro piccolezza e la Sua grandezza. Nel nome del tuo completamento, non vuoi ciò. Perché ogni idolo che innalzi davanti a Lui sta davanti a te al posto di ciò che sei.
(T-16.V.13)
Riassumendo: Lo Spirito Santo ripete incessantemente nella nostra mente la Risposta alla presunta separazione da Dio, ossia il principio dell’Espiazione che l’ha corretta definitivamente e che noi siamo invitati ad accettare. L’ego, a sua volta, propone una risposta alla Risposta dello Spirito Santo, che consiste nell’elaborazione delle dinamiche difensive della negazione e della separazione, che sono alla base delle relazioni speciali. Sta a noi scegliere quale delle due risposte vogliamo scegliere: l’Espiazione, ossia la Risposta dello Spirito Santo alla separazione, o la relazione speciale, ossia la risposta dell’ego all’Espiazione? Questa è la funzione del nostro libero arbitrio, e possiamo esercitarla in ogni momento.
Ma non potremo farlo se non avremo imparato – come il primo passo del perdono ci insegna - a guardare dentro la nostra mente le dinamiche che l’ego ci propone in continuazione e che noi continuiamo scioccamente a dare per scontate!
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La salvezza sta nel semplice fatto che le illusioni non fanno paura perché non sono vere. Esse sembrano solo far paura nella misura in cui non riesci a riconoscerle per quello che sono: e fallirai in ciò nella misura in cui vuoi che siano vere. E nella stessa misura stai negando la verità, e così non riesci a fare la semplice scelta tra la verità e l’illusione: Dio e la fantasia. Ricorda questo, e non avrai difficoltà nel percepire la decisione per ciò che è, e niente più.
(T-16.V.14)
Da qualche spunto stiamo studiando alcune delle dinamiche della specialezza amorosa, che permettono all’ego dentro la nostra mente di contrastare la nostra scelta corretta di accettare l’Espiazione per noi stessi, ossia la correzione dell’errata credenza nella separazione da Dio. In altri termini, abbiamo visto che il Corso contrappone la relazione speciale d’amore all’accettazione dell’Espiazione per noi stessi.
Questo significa forse che secondo il Corso non dovremmo più avere delle relazioni – in particolare d’amore- con gli altri? Ovviamente no.
Per capire meglio questo concetto dobbiamo ricordare che con l’espressione relazione speciale il Corso non intende un’interazione fra due persone, ma l’interpretazione di questa interazione nella mente di ognuna delle due. La specialezza, in sostanza, è il modo in cui l’ego percepisce la relazione allo scopo di mantenere dentro alla mente l’illusione della separazione. Una frase rassicurante ci aiuta a comprendere meglio il concetto:
Ho detto ripetutamente che lo Spirito Santo non ti priverà delle tue relazioni speciali, ma le trasformerà
(T-17.IV.2:3)
Dunque il Corso, nel proporci di seguire la Guida e l’Insegnamento dello Spirito Santo, non sottintende che noi dobbiamo fare a meno delle relazioni. L’alternativa che propone è il processo di trasformazione, che viene ampiamente descritto nella V sezione del capitolo 17: La relazione guarita. Questa trasformazione consiste nel dare alla relazione uno scopo diverso da quello che le aveva dato l’ego. Mentre l’ego- come abbiamo visto negli spunti delle scorse settimane (per rileggerli cliccare qui)- ha lo scopo di usare la relazione per non udire la Risposta dello Spirito Santo, cioè l’Espiazione (T-17.IV.4:1-3), lo Spirito Santo ha lo scopo di usare la relazione per disfare l’ego, ossia la credenza nella separazione da Dio, e quindi per scegliere di accettare l’Espiazione per se stessi.
Lo Spirito Santo non ci porta dunque via le nostre relazioni, ma le trasforma. E questo significa che sotto la Sua Guida esse divengono il mezzo per imparare ad accettare l’Espiazione per noi stessi.
Credere che il Corso ci inviti a non avere più relazioni è dunque un grossolano errore di comprensione, basato sul confondere il livello della mente con quello del corpo, credendo così che il lavoro proposto dal Corso riguardi il comportamento (avere o non avere delle relazioni) invece che la mente (cambiare il modo in cui interpretiamo le nostre relazioni, cambiandone lo scopo).
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La salvezza sta nel semplice fatto che le illusioni non fanno paura perché non sono vere. Esse sembrano solo far paura nella misura in cui non riesci a riconoscerle per quello che sono: e fallirai in ciò nella misura in cui vuoi che siano vere. E nella stessa misura stai negando la verità, e così non riesci a fare la semplice scelta tra la verità e l’illusione: Dio e la fantasia. Ricorda questo, e non avrai difficoltà nel percepire la decisione per ciò che è, e niente più.
(T-16.V.14)
Abbiamo visto che le relazioni speciali d’amore, volte ad impedirci di accettare dentro la nostra mente l’Espiazione -ossia la correzione dell’errata credenza nella nostra separazione da Dio- implicano dolore e sofferenza. E abbiamo anche visto che pretendono di risolvere il problema della solitudine senza riuscirci minimamente, anzi peggiorandolo ulteriormente.
Ma la citazione odierna ci lascia intravedere uno spiraglio di salvezza. Quale? La soluzione prospettata dal Corso a questo problema consiste nel risolvere la causa del problema, e non l’effetto. Consiste nel perdonare la situazione.
Cosa significa il termine “perdonare” nel Corso?
Significa:
1- riconoscere prima di tutto che il problema si trova dentro la nostra mente e non fuori di essa. Questo è il primo passo del perdono.
2- avere in secondo luogo la determinazione di volerlo risolvere, chiedendo aiuto al principio di correzione già presente nella nostra mente; e questo nel Corso significa chiedere aiuto allo Spirito Santo, Che corregge il problema alla radice. Chiedere aiuto allo Spirito Santo significa dunque- nel Corso- appellarsi al principio di correzione, già presente dentro la nostra mente perché lì posto da Dio Stesso. In questo modo possiamo ricordarci che tale separazione non è mai avvenuta né può avvenire, e che quindi noi- a dispetto delle apparenze- non siamo affatto soli e disperati. La determinazione a voler accettare questa risposta fornita dallo Spirito Santo sarà direttamente proporzionale al nostro assumerci la responsabilità che il problema è generato da noi, e non dal mondo esterno.
Questi due passi non sono delle semplici considerazioni teoriche, ma delle esperienze profonde che ci porteranno a sperimentare uno stato di lievità e leggerezza, armonia e pienezza, gioia e libertà dalle restrizioni. Questo stato viene definito nel Corso istante santo, ossia istante privo di colpa.
Nel mondo della scarsità, l’amore non ha alcun significato e la pace è impossibile. Perché profitto e perdita sono entrambi accettati e nessuno è consapevole che l’amore totale è in lui. Nell’istante santo riconosci l’idea dell’amore in te, e unisci questa idea con la mente che l’ha pensata, e che non può abbandonarla. Siccome ce l’ha dentro di sé, non c’è perdita. L’istante santo diventa così una lezione su come tenere in mente tutti i tuoi fratelli, senza provare perdita bensì completamento.
(T-15.VI.5:1-5)
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Per tutti il Cielo è completamento. Non ci può essere disaccordo su ciò, perché sia l’ego che lo Spirito Santo lo accettano. Essi sono tuttavia in totale disaccordo su cosa sia il completamento e come venga raggiunto. Lo Spirito Santo sa che il completamento risiede prima nell’unione e poi nell’estensione dell’unione. Per l’ego il completamento sta nel trionfo, e nell’estensione della “vittoria” fino al trionfo finale su Dio. In questo vede la libertà definitiva del sé, perché niente rimarrebbe a interferire con l’ego. Questa è la sua idea del Cielo. E quindi l’unione, che è la condizione nella quale l’ego non può interferire, deve essere l’inferno.
(T-16.V.5)
Questo paragrafo riassume molti degli argomenti che abbiamo visto nei nostri ultimi spunti.
E riassume anche i due modi in cui l’ego e lo Spirito Santo intendono il completamento.
E’ un argomento molto importante, perché la separazione da Dio – a detta del Corso il nostro solo e unico problema (L-pI.79.1:4-5)- provoca in noi un senso di solitudine, isolamento e esclusione che ci porta a desiderare di completarci per sperimentare nuovamente quell’unione cui aneliamo e che ci sembra irraggiungibile. Il disaccordo fra l’ego e lo Spirito Santo su come raggiungere questo completamento è totale. Vediamo in che cosa consiste questa sostanziale divergenza.
Secondo lo Spirito Santo il completamento è basato su una premessa basilare: l’unione. Sembra una contraddizione. Come possiamo sperimentare preliminarmente l’unione se essa rappresenta proprio quell’obiettivo che non riusciamo a raggiungere? La spiegazione sta nel significato della parola unione. Leggiamo nel Glossario (per accedervi cliccare qui) il significato del termine unirsi:
Nonostante il sogno di separazione, il Figlio di Dio resta unito con gli altri in quanto Cristo, ed unito a Dio in unione perfetta; tuttavia dal momento che condividiamo l’illusione di essere separati, dobbiamo prima di tutto condividere l’illusione di unirci gli uni agli altri, che riflette il processo di perdono che avviene nella nostra mente; solo allora possiamo risvegliarci e ricordare che siamo già uniti; unirsi con Gesù o con lo Spirito Santo è il prerequisito per unirci con i nostri fratelli. (Nota - da non confondersi con l’unirsi esteriormente).
Dunque la parola unione indica l’unione nella nostra mente con lo Spirito Santo, o con Gesù, che ne è la manifestazione (C-6.1:1). Solo unendoci a loro possiamo infatti fare esperienza dell’unione già presente dentro la nostra mente, in quanto la separazione da Dio non è mai avvenuta. In altri termini l’unione con lo Spirito Santo non è altro se non l’accettazione dell’Espiazione, ossia della correzione della presunta separazione da Dio. Ritornando ora alla nostra citazione iniziale, questo è il prerequisito del completamento così come viene proposto dal Corso: accettare dentro la nostra mente l’Espiazione. A questo punto l’unione viene automaticamente estesa dallo Spirito Santo a qualsiasi relazione noi stiamo sperimentando in quel momento.
L’ego la vede diversamente. Per lui l’unione consiste nel trionfo, ossia nel sostenere arrogantemente la nostra presunta separazione, partendo dalla relazione nella quale siamo coinvolti fino ad estenderla a ritroso su Dio stesso. In altri termini l’ego usa la relazione in cui ci troviamo e nella quale cerchiamo quel completamento che crediamo di avere perduto, per affermare l’obiettivo che gli sta veramente a cuore: ribadire che effettivamente noi siamo separati da Dio. Questa è per l’ego la libertà definitiva perché gli permette la sopravvivenza, mentre l’unione della nostra mente con lo Spirito Santo è per lui un vero e proprio inferno, perché lo condanna a scomparire nel nulla da cui proviene.
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Non condurre la tua piccola vita in solitudine, con un’illusione come tua sola amica. Questa non è un’amicizia degna del Figlio di Dio, né una della quale egli si possa accontentare. Tuttavia Dio gli ha dato un Amico migliore, nel Quale si trova tutto il potere in terra e in Cielo. L’unica illusione che tu pensi sia amica oscura la Sua grazia e la Sua maestà, e tiene lontana la Sua amicizia e il Suo perdono dal tuo abbraccio accogliente. Senza di Lui sei senza amici. Non cercare un altro amico che prenda il Suo posto. Non c’è un altro amico. Ciò che Dio ha designato non ha sostituti, perché quale illusione può rimpiazzare la verità?
(T-26.VI.2)
Abbiamo già commentato questa citazione nello spunto 345, all’inizio della nostra indagine sul problema della solitudine (cliccare qui per rileggere lo spunto relativo). Abbiamo visto che la solitudine è la conseguenza della nostra presunta separazione da Dio, e che si risolve riconoscendo che questa separazione è puramente illusoria, perché non si è mai verificata né mai potrebbe verificarsi. Il Corso definisce questo riconoscimento Espiazione, e sottolinea ripetutamente che la nostra unica responsabilità consiste nell’accettarla (T-2.V.5:1). Ma questa accettazione rappresenta il peggior incubo per il nostro ego, ossia per la credenza che la separazione sia effettivamente avvenuta. Ed è più che comprensibile: se noi accettiamo l’Espiazione l’ego semplicemente scompare nel nulla. Ecco perché adotta molte strategie per impedirci tale accettazione.
In questi mesi ne abbiamo viste due. La prima consiste nello spingerci all’identificazione con il corpo, cioè con la nostra identità separata, perché questo ci porta a fuggire dalla mente e quindi dalla possibilità di accettare l’Espiazione, visto che tale accettazione può solo avvenire dentro la mente. La seconda consiste nel proporci costantemente delle relazioni d’amore in cui cercare assiduamente quel completamento cui aneliamo, a causa del profondo senso di solitudine e isolamento in cui la credenza nella separazione ci ha fatto precipitare. Tali relazioni spostano costantemente il problema dalla causa (la mente) all’effetto (il mondo dei corpi), facendoci credere che la soluzione del nostro problema sia all’esterno invece che all’interno.
La citazione odierna ci invita dunque a liberarci -dentro la nostra mente- da quella solitudine che abbiamo invitato nel momento in cui abbiamo scioccamente accolto l’ego. Perché in caso contrario la nostra unica amica sarà la minuscola folle idea di separazione da Dio (T-27.VIII.6:2). Per farlo dobbiamo accogliere al suo posto lo Spirito Santo, un Amico migliore, perché portavoce dell’Espiazione. Liberandoci dalla solitudine nella nostra mente ci libereremo anche della solitudine nel mondo. Non perché magicamente verremo improvvisamente circondati da nugoli di persone, ma perché l’idea dell’unione verrà estesa dallo Spirito Santo dentro la nostra mente a tutte le nostre relazioni, e indipendentemente da cosa possa avvenire nel mondo, ci sentiremo circondati da amici.
Chi dimora con le ombre è davvero solo, e la solitudine non è la Volontà di Dio. Permetteresti forse a un’ombra di usurpare il trono che Dio ha designato per il tuo Amico, se soltanto ti rendessi conto che la sua vacuità ha lasciato il tuo vuoto e non occupato? Non fare amicizia con alcuna illusione, perché se lo fai essa non può che prendere il posto di Colui Che Dio ha chiamato tuo Amico. Ed è Lui Che in verità è il tuo unico Amico. Egli ti porta doni che non sono di questo mondo e solo Lui, al Quale sono stati dati, può assicurare che tu li riceva. Li metterà sul tuo trono quando Gli farai spazio sul Suo.
(T-26.VI.3)
-361-
Chi dimora con le ombre è davvero solo, e la solitudine non è la Volontà di Dio. Permetteresti forse a un’ombra di usurpare il trono che Dio ha designato per il tuo Amico, se soltanto ti rendessi conto che la sua vacuità ha lasciato il tuo vuoto e non occupato? Non fare amicizia con alcuna illusione, perché se lo fai essa non può che prendere il posto di Colui Che Dio ha chiamato tuo Amico. Ed è Lui Che in verità è il tuo unico Amico. Egli ti porta doni che non sono di questo mondo e solo Lui, al Quale sono stati dati, può assicurare che tu li riceva. Li metterà sul tuo trono quando Gli farai spazio sul Suo.
(T-26.VI.3)
Secondo il Corso il nostro unico Amico è lo Spirito Santo. Questo non significa che non dobbiamo avere amicizie nel mondo, ma che possiamo sperimentarle come tali solo se avremo almeno temporaneamente accettato l’Espiazione per noi stessi, accogliendo nella nostra mente l’amicizia della Voce Che parla per Dio, Che ce la propone incessantemente. Se non Gli diamo questa priorità avremo al Suo posto dato priorità all’ego, ossia alla credenza nella separazione da Dio, e questa credenza filtrerà tutte le nostre esperienze del mondo. Proprio come nel “mito della caverna” raccontato da Platone nel VII libro de La Repubblica, il mondo diverrà nella nostra esperienza interiore un agglomerato di ombre con cui non potremo trovare completamento se non nell’illusione, e la solitudine rimarrà l’esperienza alla quale ci saremo auto condannati. L’ego- un’ombra- proietterà se stesso dalla nostra mente sul mondo e noi ci sentiremo circondati da ombre e patiremo i morsi della solitudine. Ma se avremo accolto lo Spirito Santo la nostra percezione muterà radicalmente, e ci vedremo circondati da amici. E questo avverrà indipendentemente dalle condizioni oggettive della nostra vita. Potremo anche essere fisicamente soli, ma la pienezza nel nostro cuore avrà risolto il dramma della nostra solitudine.
Lo Spirito Santo sa che il completamento risiede prima nell’unione e poi nell’estensione dell’unione.
(T-16.V.5:4)
E’ molto importante comprendere che per poter sperimentare il completamento il Corso sostiene non solo la priorità dell’unione interiore (che avviene attraverso l’unione con lo Spirito Santo), ma anche l’idea dell’estensione. Approfondirò più avanti il concetto di estensione. Per il momento ci basti ricordare che non siamo noi a estendere, ma lo Spirito Santo dentro la nostra mente.
L’estensione del perdono è la funzione dello Spirito Santo. Lasciala a Lui.
(T-22.VI.9:2-3)
Grazie allo Spirito Santo, accolto nella nostra mente, l’unione verrà da Lui estesa- sempre nella nostra mente- alle relazioni in cui ci sentiamo coinvolti in quel momento, e faremo esperienza di essere in compagnia di amici, effettivi o potenziali, qualunque sia il loro comportamento. La presenza dello Spirito Santo nella nostra mente ci permetterà di vedere al di là del loro corpo, verso quella mente che condividiamo con loro e con cui ci completiamo.
-362-
Non condurre la tua piccola vita in solitudine, con un’illusione come tua sola amica. Questa non è un’amicizia degna del Figlio di Dio, né una della quale egli si possa accontentare. Tuttavia Dio gli ha dato un Amico migliore, nel Quale si trova tutto il potere in terra e in Cielo. L’unica illusione che tu pensi sia amica oscura la Sua grazia e la Sua maestà, e tiene lontana la Sua amicizia e il Suo perdono dal tuo abbraccio accogliente. Senza di Lui sei senza amici. Non cercare un altro amico che prenda il Suo posto. Non c’è un altro amico. Ciò che Dio ha designato non ha sostituti, perché quale illusione può rimpiazzare la verità?
(T-26.VI.2)
Rileggiamo ancora una volta questa importante citazione, già vista più volte, perché contiene al suo interno la chiave per risolvere il drammatico problema della solitudine, dell’isolamento e dell’alienazione, a cui ci ha condannato l’ego insinuando proditoriamente nella nostra mente l’illusione della nostra separazione da Dio. La soluzione, e anche questo lo abbiamo già visto più volte, consiste nell’accettare l’Espiazione per noi stessi, ossia nell’accogliere dentro la nostra mente la correzione, proposta dallo Spirito Santo, della credenza nella separazione. Questa settimana vorrei mettere in luce una tentazione dell’ego, un suo tipico modo di attaccarci quando noi decidiamo di scegliere la correzione dello Spirito Santo e di accettare l’Espiazione. Vedendo la nostra iniziale determinazione a scegliere “un altro modo”, l’ego potrebbe apparentemente non opporsi a essa, trasformandola gradualmente in un’ulteriore difesa della solitudine e della separazione, allo scopo di vanificare le nostre migliori intenzioni.
Come funziona questa difesa dell’ego? Di fronte alla nostra ferma determinazione di risolvere una volta per tutte il problema della solitudine attraverso la vera unione, l’ego- che ha eletto il corpo come sua casa- sposta di nuovo dentro la nostra mente il palcoscenico dell’unione dalla mente al mondo. E lo fa spesso inavvertitamente, insinuando che c’è un tipo di unione nel mondo che fa eccezione: l’unirsi con altri studenti del Corso allo scopo di trovare con loro quel completamento che sembrava irraggiungibile in tutte le altre relazioni. L’unione in questo caso potrebbe essere rappresentata da una relazione di coppia con un altro studente del Corso, o dal riunirsi in gruppi di studio o di lavoro in nome del Corso. Ma ancora una volta non è questa l’unione che il Corso sostiene perché, come abbiamo visto dettagliatamente in questi mesi, il Corso stesso ci mette in guardia dal desiderio di risolvere all’esterno quello che è solamente un problema interno (per non parlare della specialezza egoica – il senso di esclusione- spesso insita in un desiderio del genere). Com’è sua abitudine, l’ego non ha fatto altro che cambiare la forma mantenendo immutato il contenuto d’attacco. E a questo punto tali unioni esterne- motivate come le precedenti dal bisogno di specialezza dell’ego- diverranno l’opportunità per proiettare tutte le peggiori dinamiche egoiche di colpa, giudizio, attacco e separazione che abbiamo ripetutamente visto, traducendosi in difese che rafforzano l’ego nella nostra mente, invece di disfarlo.
In sostanza il Corso ci chiede: se non mettiamo in discussione l’errato presupposto della separazione da Dio, a che cosa serve- se non allo scopo dell’ego- un’unione nel mondo, anche quando viene intrattenuta con altri studenti?
Due importanti concetti sostenuti dal Corso stesso potranno venirci in aiuto:
Le menti sono unite, i corpi no.
(T-18.VI.3:1)
E, all’origine di qualsiasi desiderio:
La verifica per tutto ciò che c’è sulla terra è semplicemente questo: “Qual è lo scopo?” La risposta lo rende ciò che è per te.
(T-24.VII.6:1-2)
Sarà l’indagine sullo scopo nascosto- indagine a dire la verità non sempre gradevole- a farci vedere se lo scopo che ci muove, in questa come in qualsiasi altra cosa, è l’esclusiva specialezza dell’ego o l’inclusiva correzione dello Spirito Santo.
-363-
Non andiamo da soli. E siamo grati del fatto che nella nostra solitudine un Amico è venuto a dirci la Parola salvatrice di Dio. E grazie a te perché Lo ascolti. La Sua Parola è senza suono se non viene ascoltata.
(L-pI.123.5:1-3)
L’Amico è lo Spirito Santo, e la Parola salvatrice di Dio che Lui è venuto a dirci è l’Espiazione, cioè la correzione della percezione errata in base alla quale noi siamo separati da Dio (C-In.1:1-2).
Se Lo ascoltiamo, la correzione – o Espiazione - viene resa reale. Ne facciamo esperienza pratica all’interno di tutte le nostre relazioni. Ci ritroviamo completi e pieni di speranza, gioiosi e liberi. E svanisce quell’ansia di completarci all’esterno che ossessiona la mente e la spinge alla ricerca incessante di relazioni nel mondo, con cui completarsi per placare i morsi della solitudine.
La scorsa settimana ho accennato a una tendenza abbastanza frequente fra gli studenti del Corso: il credere - spesso in perfetta buona fede - che seguire fedelmente gli insegnamenti del Corso significhi riunirsi in gruppi e organizzazioni, perché questo permetterebbe ai suoi studenti di raggiungere quel completamento che prima sembrava sfuggire loro. In fin dei conti – potrebbero pensare gli studenti - il Corso mette in discussione la separazione, e il modo in cui noi possiamo farlo praticamente è promuovendo la comunicazione nel mondo. A volte quindi anche il desiderio di aggregarsi a un gruppo di studio del Corso, o di formarne uno, potrebbe mascherare una non comprensione dei suoi principi basilari, che sono rivolti essenzialmente a un diverso uso della mente e non a un cambiamento esterno di azione e comportamento. Questo significa che il Corso scoraggia riunioni esterne? Ma certamente no! Sia il promuovere che lo scoraggiare riunioni nel mondo sarebbe un cercare di intervenire all’esterno, e non all’interno, per risolvere il dramma della solitudine. Significa però che qualsiasi riunione nel mondo - la cosiddetta unione di corpi - deve essere guardata attentamente nella propria mente, per individuarne il potenziale scopo egoico.
Dato che l’ego parla sempre per primo (T-6.IV.1:2) è inevitabile che qualsiasi relazione speciale d’amore inizi all’insegna della separazione e del completamento all’esterno. Tuttavia qualsiasi relazione può essere trasformata, e quindi diventare il laboratorio nel quale osservare il proprio ego e metterlo in discussione. Qualsiasi relazione speciale, o non santa, può diventare santa quando se ne guarda lo scopo egoico e lo si mette in discussione.
La relazione santa, un passo importantissimo verso la percezione del mondo reale, viene appresa. E’ la vecchia relazione non santa trasformata e vista in modo nuovo. La relazione santa è un fenomenale conseguimento educativo. In tutti i suoi aspetti, come comincia, si sviluppa e giunge a compimento, rappresenta il capovolgimento della relazione non santa.
(T-17.V.2:1-4)
E allora qualsiasi relazione, iniziata come unione di corpi, diviene l’occasione per accettare l’Espiazione per se stessi e raggiungere una vera unione, o unione di menti. In sostanza è essenziale riconoscere lo scopo delle nostre relazioni. In fin dei conti, lo scopo è tutto!
La verifica per tutto ciò che c’è sulla terra è semplicemente questo: “Qual è lo scopo?” La risposta lo rende ciò che è per te.
(T-24.VII.6:1-2)
-364-
Non interpretare mentre sei in solitudine, perché ciò che vedrai non significherà nulla. Cambierà in ciò che rappresenta, e tu crederai che il mondo sia un luogo incerto, nel quale cammini nel pericolo e nell’incertezza. Non sono che le tue interpretazioni che mancano di stabilità, perché non sono in linea con ciò che sei in realtà. Questo è uno stato così apparentemente insicuro che deve insorgere la paura. Non continuare così, fratello mio. Abbiamo un solo Interprete. E attraverso il Suo uso dei simboli siamo uniti, così che essi significano la stessa cosa per tutti noi. Il nostro linguaggio comune ci permette di parlare a tutti i nostri fratelli e di comprendere con loro che il perdono è stato dato a tutti noi, e così possiamo comunicare nuovamente.
(T-30.VII.7)
Dato che la solitudine, secondo il Corso, è uno stato mentale che dipende dal credere nella presunta separazione da Dio, se ci sentiamo soli vuol dire che abbiamo dato retta all’ego, definito nel Corso il simbolo della separazione (T-5.III.9:4). Le nostre interpretazioni saranno allora gravemente distorte e ciò che vedremo non avrà alcun significato. Ci sentiremo smarriti, insicuri, facile preda di pericoli e incertezze. Tuttavia ciò non dipenderà dalle condizioni oggettive della nostra esistenza, ma solo dal filtro interiore che ci farà percepire tutto in modo errato. Come sostengono le lezioni 5 e 6 i nostri turbamenti non dipendono dalle cause esterne, ma da uno stato mentale turbato di cui siamo solo noi responsabili, determinato dal voler rimanere attaccati ad un passato inesistente- la minuscola folle idea di separazione da Dio- creduto vero per un attimo, subito corretto dallo Spirito Santo, e infine svanito per sempre.
La citazione odierna ci invita in modo accorato a non continuare su questa strada. Abbiamo la possibilità di offrire le nostre percezioni distorte a un diverso Interprete- lo Spirito Santo- Che ci aiuterà ad percepire diversamente gli eventi e le persone della nostra vita. Con il Suo aiuto quanto sembrava essere motivo di angosciante solitudine diverrà un’opportunità per lasciar andare la solitudine e riconoscere la nostra inerente unione con il Tutto. Ogni relazione, correttamente percepita, ci permetterà così di fare un passo avanti verso l’integrazione della mente e insieme verso una gioiosa esperienza di condivisione nel mondo.
In base a questa premessa la vita assume quindi una valenza puramente simbolica: da simbolo della solitudine – se lasciata all’interpretazione dell’ego - può divenire – con l’interpretazione correttiva dello Spirito Santo - simbolo dell’unione. In questo mutamento interiore possiamo riconoscerci pienamente uniti a tutti i nostri fratelli. E in questa ritrovata unione saremo nuovamente capaci di dare e ricevere perfetta comunicazione.
…l’istante santo è un momento in cui ricevi e dai comunicazione perfetta. Questo significa, comunque, che è un momento in cui la tua mente è aperta sia a ricevere che a dare. E’ il riconoscimento che tutte le menti sono in comunicazione. Quindi non cercrea di cambiare niente, ma semplicemente di accettare ogni cosa.
(T-15.IV.6:5-8)
L’istante santo è il momento in cui ognuno di noi esercita il suo libero arbitrio, scegliendo di mettere in discussione i deliri dell’ego dentro la propria mente e aprendosi a una diversa percezione. E’ l’attimo di scelta che il Corso definisce “santo” perché privo di colpa. In altri termini è il momento in cui si sceglie il perdono invece dell’attacco. In quell’attimo è possibile comunicare, perché la mente non è più identificata con il corpo e può quindi estendersi ad altre menti. E nella bellezza della comunicazione interiore può sperimentare la scomparsa dei limiti della separazione e quindi della solitudine.
E’ attraverso l’istante santo che si compie ciò che sembra impossibile, rendendo evidente che non è impossibile. Nell’istante santo la colpa non conserva alcuna attrattiva, dato che la comunicazione è stata ripristinata. E la colpa, il cui unico scopo è di interrompere la comunicazione, qui non ha alcuna funzione. Qui non c’è simulazione, e nessun pensiero personale. La disponibilità a comunicare attrae a sé la comunicazione e sconfigge completamente la solitudine. Qui c’è completo perdono, perché non c’è alcun desiderio di escludere alcuno dalla tua completezza, in un subitaneo riconoscimento del valore della tua parte in essa. Nella protezione della tua interezza tutti sono invitati e benvenuti. E comprendi che la tua interezza viene da Dio, il Cui unico bisogno è che tu sia completo.
(T-15.VII.14:1-8)
-365-
Dio viene ricordato nell’istante santo e il linguaggio della comunicazione con tutti i tuoi fratelli viene ricordato con Lui. Perché la comunicazione viene ricordata insieme, come la verità. Non c’è esclusione nell’istante santo perché il passato se n’è andato, e con esso finisce l’intero fondamento su cui si basa l’esclusione. Senza la sua fonte l’esclusione svanisce. E ciò permette alla tua Fonte, e quella di tutti i tuoi fratelli, di sostituirla nella tua consapevolezza. Dio e il potere di Dio prenderanno il Loro giusto posto in te, e tu farai esperienza della piena comunicazione delle idee con le idee.
(T-15.VI.8:1-6)
Concludiamo finalmente gli spunti dedicati all’argomento della solitudine, che sono iniziati con il numero 343 (per rileggerli tutti cliccare qui)
Come abbiamo visto il problema della solitudine è essenzialmente interiore e del tutto indipendente dalle situazioni oggettive della nostra vita. Il Corso lo riconduce alla separazione da Dio, nella quale la mente ha scioccamente creduto, precipitando così in uno stato di angoscia e alienazione profonda. Secondo il Corso noi tutti siamo dei frammenti di quella mente che si crede separata e quindi tutti, indistintamente, proviamo nel profondo del nostro cuore un devastante senso di isolamento, alienazione, solitudine, carenza e angoscia esistenziale. Non tutti ne siamo coscienti, e/o non tutti ne siamo sempre coscienti, perché l’ego- allo scopo di sostenere con tutte le sue forze tale separazione- ha ideato dei meccanismi di difesa molto efficaci per impedirci di farne esperienza e quindi assumercene la responsabilità. Questi meccanismi sono la negazione (cioè il negare che questa devastazione sia dentro la nostra mente) e la proiezione (cioè vedere che il problema, quando viene sperimentato, non è determinato da una nostra scelta interiore, ma dai fatti esterni della vita). Per mettere efficacemente in atto queste due difese l’ego ha elaborato il suo colpo più magistrale: darci l’illusione che noi siamo dei corpi. Dato che il corpo è per definizione isolato e separato dagli altri corpi, l’ego ha così reso reale il nostro senso di solitudine, e- rendendolo reale- lo ha reso apparentemente insuperabile.
Per completare la sua strategia, l’ego a questo punto sostiene che la solitudine può essere facilmente risolta mediante l’unione con altri corpi- condividendo con essi gli stessi spazi e gli stessi tempi. Ma non è vero. Le difese fanno ciò da cui vogliono difendere (T-17.IV.7:1), quindi l’unione con i corpi -anche se iniziata sotto i migliori auspici e con le più fondate speranze- non può che determinare ulteriore senso di solitudine e separazione, gettando la mente in un’angoscia ancora più profonda.
Lo Spirito Santo, la Voce Che parla per Dio e quindi corregge l’errore dell’ego ricordandoci la nostra essenziale unione con Lui (definita nel Corso Espiazione), ci propone una diversa strategia: accettare questa unione primigenia, permettendo così il ripristino nella nostra mente di quel naturale senso di completamento, abbondanza, felicità e unione che credevamo di aver perso per sempre. In questo modo le relazioni che- dietro il suggerimento ingannevole dell’ego- avevamo instaurato allo scopo di risolvere il nostro senso di solitudine, divengono l’opportunità per perdonare i nostri errori percettivi, accettando l’Espiazione dentro la nostra mente e sperimentando proprio quell’unione interiore con il Tutto che credevamo di aver perduto per sempre. Il momento in cui sceglieremo di accogliere la proposta dello Spirito Santo dentro la nostra mente costituirà un diverso modo di usare il tempo. Il Corso lo chiama istante santo o istante di perdono. Da quando scegliamo di sperimentare all’interno di una relazione l’istante santo, invece dell’istante non santo o speciale di negazione, proiezione e attacco, ogni relazione passerà attraverso un importante processo di trasformazione, divenendo gradualmente fonte di gioia e felicità crescente. E sperimenteremo una sensazione di completezza e una capacità di comunicazione mai sperimentate prima, perché unione e comunicazione saranno state finalmente ripristinate là dove solo possono esistere: nella mente.
Ti sei unito con molti altri nell’istante santo, ed essi si sono uniti con te.
(T-17.V.10:2)
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Ben ritrovati!
Nel corso dell’estate, in seguito alle numerose richieste che mi sono state rivolte da vari lettori di questa rubrica, ho cercato di rendere maggiormente accessibili gli spunti che ho scritto su questa newsletter dal febbraio del 2011. E strada facendo mi sono convinta dell’utilità di un indice ragionato che permetta allo studente non solo di leggere gli spunti nell’ordine in cui li ho scritti, ma anche di trovare al loro interno quegli argomenti specifici su cui vuole gradualmente soffermarsi per poterli studiare meglio. Chi lo desidera può dunque cliccare qui per accedere alla pagina dell’indice, che lo guiderà nella ricerca degli argomenti.
Riassumo ora brevemente quanto ho cercato di approfondire in questi nove anni. Ho iniziato con alcune considerazioni introduttive sull’obiettivo del Corso – la pace interiore- e sul suo uso del linguaggio. Anche nel mio libro sono partita da questi due argomenti, che costituiscono l’ossatura dei primi due capitoli (per informazioni relative a “Un Corso in miracoli parla di sé” cliccare qui).
Da un lato, infatti, è il Corso stesso a illustrare l’importanza di dare priorità all’obiettivo:
La chiarificazione dell’obiettivo appartiene all’inizio, perché è questa che determinerà il risultato
(T-17.VI.2:3)
D’altro lato soffermarsi sul linguaggio del Corso è una premessa metodologica indispensabile in un testo che usa un linguaggio dualistico per proporre un messaggio non dualistico. Per ovvie ragioni, se non vengono inseriti nel contesto corretto i termini possono indurre in confusione e complicare ulteriormente la comprensione di un testo di per sé non facile.
Non dimentichiamo… che le parole non sono altro che simboli di simboli. E quindi sono doppiamene lontane dalla realtà.
(M-21.1:9-10)
L’utilità di queste due premesse è implicita anche in un’altra frase del Corso:
Qualunque cosa tu creda sarà la premessa che determinerà ciò che accetterai nella tua mente.
(T-7.X.1:11)
Nelle informazioni preliminari ho incluso anche altri aspetti didattici, quali il rapporto fra la teoria e la pratica nel percorso proposto dal Corso: cos’è l’addestramento della mente, in cosa consiste l’esperienza pratica, e soprattutto come si attua il processo del guardare i propri pensieri senza giudizio né colpa, che potrebbe a buon diritto essere considerato la pratica di base per accedere correttamente al processo del perdono e poterne infine assaporare l’esperienza miracolosa. Ho dedicato inoltre alcuni spunti al DM (il Decision Maker, la parte della mente che decide se ascoltare l’ego o lo Spirito Santo). Gli studenti che seguono la visione del Corso di Kenneth Wapnick conoscono bene questa espressione, anche se essa compare nei tre libri del corpus principale soltanto una volta in M-5.II.1:7 in riferimento alla credenza che il corpo - e non la mente - sia colui che decide. E’ stato Kenneth infatti a coniare questo acronimo e ad utilizzarlo diffusamente nei suoi testi per indicare sia il libero arbitrio sia la nostra vera identità di menti che compiono una e una sola decisione all’interno delle miriadi di decisioni specifiche che apparentemente ci fronteggiano nell’arco della nostra vita.
Ciò mi ha portato a introdurre anche altri temi importanti e basilari: cosa intende il Corso con la parola “mente”, quali sono i suoi principali meccanismi di difesa e infine il rapporto fra il corpo e la mente, le due identità che rispettivamente l’ego e lo Spirito Santo attribuiscono ad ognuno di noi.
A questo punto avevo gettato le basi per poter affrontare l’argomento del perdono e soprattutto per comprendere la profonda differenza tra l’idea di perdono che ci viene offerta nel Corso e quella tradizionale. Per introdurlo ho seguito il modello proposto ripetutamente da Kenneth: i cosiddetti tre passi del perdono, su cui ha scritto vari saggi (cliccare qui per leggere quello tradotto sul nostro sito). Come già nel caso dell’acronimo DM, anche nella teoria dei tre passi del perdono Kenneth si è rifatto a un celebre paragrafo (questa volta si tratta di L-pI.23.5). E anche in questo caso, nonostante compaia in questa forma una sola volta, l’espressione è diventata proverbiale fra gli studenti che seguono gli insegnamenti di Kenneth e cercano di applicarli nella propria vita.
Ho scritto gli spunti preliminari (da 1 a 72) nel 2011 e 2012. Sono stati tutti supervisionati da Kenneth, che all’epoca era ancora in vita. Vi rimando dunque all’indice, cari compagni di viaggio, dove potrete trovare quanto ho qui esposto. Nel prossimo spunto riassumeremo insieme ancora una volta i famosi tre passi del perdono.
-367-
Spero che abbiate trovato utile l’indice degli spunti di riflessione, di cui vi ho illustrato la prima parte la scorsa settimana.
Come anticipato, ora vedremo il seguito. Per potervi accedere, cliccate qui. Dopo le doverose premesse metodologiche e didattiche, a partire dallo spunto 73 ho introdotto l’argomento del perdono, seguendo il modello che Kenneth Wapnick ha elaborato ispirandosi al celebre paragrafo della lezione 23:
L’idea di oggi introduce il pensiero che tu non sei intrappolato nel mondo che vedi, poiché se ne può cambiare la causa. Questo cambiamento richiede che la causa venga prima identificata e poi lasciata andare, in modo che possa essere sostituita. I primi due passi di questo procedimento richiedono la tua collaborazione. Quello finale no. Le tue immagini sono già state sostituite. Facendo i primi due passi vedrai che è così.
(L-pI.23.5)
Il primo passo consiste nell’identificare la causa del mondo, e questa causa è la mente, o per meglio dire l’uso egoico o sbagliato che facciamo della nostra mente. Perché sbagliato? Perché l’ego ci insegna a usare la mente per liberarci di un dolore profondo- la colpa conseguente alla cosiddetta minuscola folle idea di separazione da Dio (T-27.VIII.6:2)- proiettandolo sul mondo esterno, che quindi diviene l’effetto delle nostre proiezioni. In sostanza il primo passo consiste nell’assumerci la responsabilità delle nostre proiezioni, che ci portano a vedere non una realtà oggettiva, ma quello che vogliamo vedere.
In altri termini, e per dirla con il Corso, la proiezione fa la percezione (T-21.in.1:1).
Purtroppo l’ego- che pure ci spinge incessantemente a compiere questa proiezione- ci nasconde il vero funzionamento della mente, ossia il fatto che le idee non lasciano la loro fonte (T-26.VII.4:7). In base a questo principio la colpa che credevamo di aver brillantemente proiettato all’esterno continua a permanere indisturbata- anche se negata- all’interno della nostra mente. E il dolore cocente che continuiamo a sperimentare- a questo punto senza più saperne il perché- ci porterà ad ulteriori proiezioni. Ogni proiezione non guardata verrà accumulata nella nostra mente e diventerà un’ombra del passato. Il bagaglio che ci porteremo dietro diventerà sempre più pesante e renderà la nostra vita sempre più gravosa, fino ad impedirci letteralmente di procedere ulteriormente. Questo è il meccanismo dei circoli viziosi colpa-attacco/ attacco-difesa che torturano le nostre menti e le fanno precipitare in abissi di disperazione.
Il guardare questi meccanismi senza giudizio né colpa - ossia con l’accompagnamento amorevole e non giudicante di Gesù o dello Spirito Santo - ci permetterà di riportarli in superficie, allo scopo di assumercene la responsabilità e fronteggiarli. Ma il primo passo del perdono non è ancora completato. Non dovremo limitarci a guardare questi meccanismi. Dovremo anche riconoscerne la sostanziale unicità di contenuto all’interno delle molteplici varianti di forma. Solo questo ci permetterà di comprendere e soprattutto sperimentare praticamente che tutti noi, senza eccezioni, siamo tormentati da un solo, unico problema, e solo quello dobbiamo imparare a fronteggiare: la presunta separazione da Dio. Quando saremo arrivati a questo punto avremo fatta nostra la lezione 79:
Che io riconosca il problema, affinché possa essere risolto.
Il primo passo del perdono consta dunque di due aspetti: non solo riconoscere le nostre proiezioni, ma anche ricondurle tutte a un basilare e comune problema ontologico. Questo ci permette di capire e sperimentare praticamente che i meccanismi psicologici di difesa affondano le loro radici in un humus di natura metafisica, e solo in tale contesto possono quindi essere affrontati e risolti.
A quest’argomento, il primo passo del perdono, ho dedicato gli spunti 73-158; 171-206; 259-266. Sono stati quasi tutti supervisionati da Kenneth. Nel prossimo spunto ripasseremo il secondo passo del perdono e passeremo in rassegna gli spunti relativi.
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Questo non è un corso in speculazioni filosofiche, né si preoccupa di una terminologia precisa. Il suo interesse è solamente l’Espiazione, o correzione della percezione. Il perdono è il mezzo dell’Espiazione.
(C-in.1:1-3)
Anche questa settimana vi propongo di consultare insieme l’indice de La scuola del Corso che ho elaborato nel corso dell’estate, e che riassume tutti gli argomenti che ho trattato in questi spunti settimanali negli ultimi nove anni. Per accedere all’indice, cliccate qui.
Dopo aver proposto alcune considerazioni preliminari (dallo spunto 1 al 72) ho iniziato, con lo spunto 73, l’esplorazione del primo passo del perdono, cercando di evidenziare le sue due componenti essenziali: il meccanismo di proiezione che ci fa percepire i problemi come esterni a noi invece che interni, e l’identicità di tutti i nostri problemi in quanto espressione di un unico errore metafisico di base che il Corso definisce separazione da Dio.
Con lo spunto 267 ho iniziato la trattazione del secondo passo del perdono, che consiste essenzialmente nella disponibilità interiore a risolvere quell’unico errore di base accettandone la correzione, che il Corso definisce Espiazione.
In sostanza il primo passo riconduce l’effetto (i problemi dal mondo) alla causa (la mente che li percepisce perché assillata da un costante problema di base legato alla relazione con Dio), mentre il secondo passo cerca proprio di affrontare e risolvere questo problema di fondo.
Adesso ti viene mostrato che puoi sfuggire. Tutto ciò di cui c’è bisogno è che tu veda il problema per quello che è, non per come lo hai impostato tu.
(T-27.VII.2:1-2)
Negli spunti dedicati al secondo passo ho cercato inizialmente di evidenziare come sia necessario essere consapevoli che da soli non possiamo farcela. Dato che il problema di fondo non è di natura psicologica ma metafisica, abbiamo bisogno d’aiuto, un aiuto di natura spirituale. Inoltre ho anche evidenziato che dobbiamo sviluppare una determinazione crescente a voler ricevere quest’aiuto, e tale determinazione è direttamente proporzionale alla consapevolezza della natura del problema di fondo e della nostra incapacità di risolverlo con i nostri mezzi limitati. Ho dedicato gli spunti 267-290 a questi aspetti introduttivi del secondo passo.
Dal 291 ho trattato la natura di quest’aiuto spirituale, definito nel Corso Spirito Santo, e il modo in cui funziona. E’ molto importante a questo proposito ricordare che il Corso usa una terminologia di uso corrente, cui però attribuisce un significato diverso da quello usuale. La non comprensione di questo particolare uso del linguaggio può portare lo studente a una grande confusione. Nei vari spunti che vanno dal 291 al 324 ho cercato di chiarire questa sostanziale differenza, studiando in dettaglio le principali definizioni di Spirito Santo che troviamo nel Corso: Anello di comunicazione, Traduttore, Voce Che parla per Dio, Ponte, Risposta, Interprete, Mediatore e Guida. Dallo spunto 325 ho tratteggiato infine il significato e la natura dell’Espiazione, altra parola cui il Corso conferisce un significato alquanto diverso da quello che ci aspetteremmo. L’Espiazione, infatti, è per il Corso la correzione del pensiero errato di base. E la nostra funzione consiste nell’accettarla, semplicemente nell’accettarla. Perché è già stata compiuta, dentro la nostra mente, proprio dallo Spirito Santo. E a noi non resta che imparare ad accettarla all’interno delle vicende specifiche della nostra vita. In questo consiste il secondo passo del perdono.
L’unica responsabilità di colui che opera il miracolo è accettare l’Espiazione per se stesso.
(T-2.V.5:1)
Ma dobbiamo ancora studiare qualche aspetto dell’Espiazione, prima di poter completare la trattazione del secondo passo. E’ quanto faremo dal prossimo spunto.
-369-
Mentre abbiamo riconosciuto che il piano dell’ego per la salvezza è l’opposto di quello di Dio, non abbiamo ancora messo in evidenza che è un attacco attivo al Suo piano, e un deliberato tentativo di distruggerlo. Nell’attacco, vengono assegnati a Dio gli attributi che sono di fatto associati all’ego, mentre l’ego sembra assumere gli attributi di Dio.
(L-pI.72.1-2)
Riprendo con questo punto l’indagine sul secondo passo del perdono, riagganciandomi agli ultimi argomenti trattati negli spunti 325-365 (per rileggerli cliccare qui). Come abbiamo visto, il secondo passo del perdono è la disponibilità a mettere in discussione quella colpevolezza fondamentale che tormenta le nostre menti in seguito ad un presunto errore ontologico che il Corso definisce in vario modo, per esempio “separazione da Dio” (T-1.VI.2:1) o “minuscola folle idea” (T-27.VIII.6:2). Il dolore conseguente a questa separazione, anche questo lo abbiamo visto ripetutamente, è così angosciante da dover essere incessantemente proiettato all’esterno, e questa proiezione genera quella sensazione di essere circondati da nemici, che il primo passo del perdono ci ha insegnato a mettere in discussione.
Con il secondo passo, dunque, ci troviamo finalmente di fronte alla causa che sottende tutti gli apparenti problemi del mondo: il nostro senso di colpa conseguente alla presunta separazione. Ma accanto ad esso troviamo un’altra emozione devastante: la paura. In altri termini, se noi accettiamo come vera la separazione da Dio che l’ego così insistentemente promuove, la nostra mente precipita in uno stato cronico di colpa e di paura. Paura di che cosa? Della punizione divina.
Questo è il cosiddetto “piano di salvezza dell’ego”, che il Corso descrive in più punti come la brillante strategia elaborata dall’ego per impedirci di accettare l’Espiazione, cioè la correzione dell’errore ontologico proposta dallo Spirito Santo. Come abbiamo letto nella citazione all’inizio di questo spunto, il piano dell’ego consiste nell’assegnare a Dio gli attributi che sono di fatto associati all’ego (vendetta e punizione) presentandoci Dio come un punitore che ci aspetta al varco per la colpa che abbiamo commesso, invece che come un Padre amorevole che non vede l’ora di riaccoglierci a braccia aperte. Convincendoci di un’assurdità del genere, l’ego ha lo scopo segreto di renderci suoi complici, perché mossi dalla paura non saremo più disposti a chiedere aiuto a Dio o alla Voce Che parla per Lui, lo Spirito Santo. Convinti dall’ego dell’inevitabilità della punizione divina, infatti, ci rivolgeremo per aiuto allo stesso ego, che ci parrà più amico di quanto non sia Dio, e questo ci spingerà inevitabilmente a portare avanti la sua logica di separazione e conseguente distruzione. Adotteremo in sostanza lo stesso atteggiamento di quell’alcolista che teme molto di più un aiuto che lo libera dalla sua dipendenza di quanto non tema la bottiglia che lo trascina verso la morte.
Il piano dell’ego è molto brillante, perché effettivamente irretisce la mente e cerca di impedirle il ritorno a Casa, nel Regno di Dio. Ma non potrà farlo per sempre. Come il Corso ci spiega più e più volte la mente può procrastinare enormemente, ma non può allontanarsi completamente dal suo Creatore, Che ha fissato dei limiti alla sua capacità di malcreare. (T-2.III.3:3)
La parte della tua mente che hai dato all’ego ritornerà semplicemente nel Regno al quale appartiene la tua mente nella sua interezza. Puoi ritardare il completamento del Regno, ma non puoi introdurre il concetto di paura in esso.
(T-5.VI.9:5-6)
Dunque è fondamentale, per accettare l’idea del ritorno, che noi impariamo a mettere in discussione l’idea distorta di Dio che l’ego ha insinuato dentro la nostra mente. Cercheremo di approfondire quest’aspetto nei prossimi spunti.
-370-
Questo porta alla terza assurda credenza che sembra rendere eterno il caos…. Dio… deve accettare la credenza di Suo Figlio riguardo a ciò che è, e odiarlo per questo. Osserva come la paura di Dio venga rinforzata da questo terzo principio. Adesso diventa impossibile rivolgersi a Lui per essere aiutati nella sofferenza, perché adesso Egli è diventato il “nemico” Che l’ha causata e al Quale è inutile fare appello…. Non ci può essere liberazione né via di scampo. L’Espiazione diventa così un mito, e la vendetta, non il perdono, è la Volontà di Dio”.
(T-23.II.6:5-6; 7:1-3; 8:1-2)
Nel capitolo 23 del Testo c’è una sezione intitolata Le leggi del caos, che elenca e descrive i cinque principi fondamentali su cui si basa il caos, ossia il sistema di pensiero dell’ego. La terza legge, esposta nella citazione che apre il nostro spunto, è il principio egoico secondo cui Dio odia noi, Suo Figlio, per esserci separati da Lui. Ora, dal momento che il Corso ripete più e più volte che non ci siamo separati in quanto la separazione è soltanto un errore percettivo (T-2.VII.6:7-9), una credenza incredibile (T-7.VIII), una minuscola folle idea (T-27.VIII.6:2), la collera divina non può che essere totalmente inventata. Come può Dio, un Dio d’amore, odiare Suo Figlio per qualcosa che il Figlio non ha fatto, né avrebbe mai potuto fare? La collera divina è dunque una credenza assurda basata su un’altra idea assurda che il Figlio- irretito dalla lusinga egoica della specialezza- vuole credere: l’idea di essersi separato da Suo Padre e quindi di essere diventato una mente separata e colpevole. La logica conseguenza egoica di questa premessa è che Dio viene percepito come arrabbiato e vendicativo. Dio diviene, in sostanza, complementare alla credenza distorta del Figlio su di sé. O- per dirla con le parole che abbiamo letto nella citazione iniziale- Dio deve accettare la credenza del Figlio riguardo a ciò che il Figlio è (un peccatore), e deve odiarlo per questo. Questo è proprio quanto sostiene la terza “legge” del caos: che Dio si è fatto irretire a sua volta e odia il Figlio per quello che ha fatto.
E’ una logica totalmente distorta, che tuttavia raggiunge brillantemente lo scopo che l’ego si prefigge: impedire che noi ci rivolgiamo a Dio per essere aiutati nella nostra sofferenza, perché adesso Dio diviene- nella mente sconvolta dall’ego- il “nemico” al quale è inutile fare appello. E l’Espiazione, ossia la correzione dell’errata credenza nella separazione da Dio, diventa un mito.
Sembra incredibile che noi ci siamo fatti convincere dall’ego fino al punto di credere in follie di questo tipo. Eppure la credenza nella collera divina è ben radicata. Non ci è forse più facile sperimentare timore, che non amore, nei confronti di Dio? Ecco perché il Corso dedica molto spazio al cercare di correggere questa idea malsana che giace nelle profondità della nostra mente sbagliata, proponendoci un Dio di puro Amore Che ci accoglie a braccia aperte sempre e comunque, ma che noi possiamo percepire tale solo quando siamo finalmente disposti a mettere in discussione l’immagine distorta che abbiamo di Lui e di noi.
Solo l’Amore di Dio ti proteggerà in ogni circostanza. Ti eleverà al di sopra di ogni prova, e ti innalzerà in un clima di pace e sicurezza perfette, molto al di sopra di tutti i pericoli che percepisci in questo mondo. Ti trasporterà in uno stato mentale che nulla può minacciare, nulla può disturbare, e in cui nulla può intromettersi nella calma eterna del Figlio di Dio.
Non riporre la tua fede nelle illusioni. Non funzioneranno. Metti tutta la tua fede nell’Amore di Dio dentro di te: eterno, immutabile e infallibile per sempre. Questa è la risposta a qualunque cosa con cui oggi ti trovi a confronto. Attraverso l’Amore di Dio dentro di te, puoi risolvere tutte le difficoltà apparenti senza sforzo e in piena fiducia. Ripetilo spesso oggi. E’ una dichiarazione di liberazione dalla credenza negli idoli. E’ il tuo riconoscimento della verità su te stesso.
(L-pI.50.3-4)
-371-
Questo porta alla terza assurda credenza che sembra rendere eterno il caos…. Dio… deve accettare la credenza di Suo Figlio riguardo a ciò che è, e odiarlo per questo. Osserva come la paura di Dio venga rinforzata da questo terzo principio. Adesso diventa impossibile rivolgersi a Lui per essere aiutati nella sofferenza, perché adesso Egli è diventato il “nemico” Che l’ha causata e al Quale è inutile fare appello…. Non ci può essere liberazione né via di scampo. L’Espiazione diventa così un mito, e la vendetta, non il perdono, è la Volontà di Dio”.
(T-23.II.6:5-6; 7:1-3; 8:1-2)
Ho commentato questo brano la scorsa settimana (per rileggere lo spunto relativo cliccare qui). Come abbiamo visto descrive la terza legge del caos, uno dei cinque principi su cui si basa il sistema di pensiero dell’ego, tratteggiando a tinte fosche il Dio che l’ego ci propone nella nostra mente sbagliata: un Padre convinto della colpevolezza di cui il Figlio si autoaccusa. L’ego insinua che a questo falso Dio, che accetta come vera la colpa, non resta che odiare il Figlio e programmare punizione e vendetta. E l’Espiazione, cioè la correzione della presunta separazione, non può che diventare un mito irraggiungibile, una vana chimera, una sciocca pretesa senza alcuna possibilità di concretizzazione.
Com’è possibile che la mente si lasci irretire dall’ego fino al punto di credere un’assurdità del genere? E’ proprio la domanda che viene posta alla fine della sezione Le leggi del caos, che tratta appunto questo argomento. Leggiamo insieme che cosa c’è scritto:
E tuttavia com’è possibile che leggi come queste possano essere credute? C’è uno strano meccanismo che lo rende possibile. E’ qualcosa di familiare: abbiamo già visto molte volte come sembra funzionare. In verità non funziona, ma nei sogni, dove solo le ombre interpretano i ruoli principali, sembra potentissimo. Nessuna legge del caos potrebbe costringere a credere se non fosse per l’enfasi sulla forma e nel trascurare il contenuto.
(T-23.II.16:1-5)
Eccolo il meccanismo che il Corso evidenzia in continuazione, ma che noi tendiamo a sottovalutare: l’enfasi sulla forma a discapito del contenuto. Che cosa significa? Che le leggi del caos vengono credute perché non sono sperimentate in quanto principi astratti (il contenuto), ma nella forma che assumono nel mondo di ombre, ossia nella percezione che diamo agli eventi della nostra vita quotidiana (la forma). In altri termini non sperimentiamo la nostra presunta colpa -e la conseguente aspettativa della punizione- nella sua versione metafisica, cioè come colpa nei confronti di Dio e condanna da parte Sua, ma nel riflesso che essa sembra assumere nella nostra vita di tutti i giorni. E i riflessi possono essere sia lo specifico senso di colpa nei confronti di noi stessi e degli altri per gli errori compiuti, sia la tendenza a percepire gli eventi che ci capitano nella vita come punitivi.
E’ un argomento complesso sul quale rifletteremo ancora nei prossimi spunti. Per il momento leggiamo una frase molto rincuorante propostaci dal Corso:
Il Figlio di Dio crede di essersi perso nella colpa, di essere solo in un mondo oscuro dove il dolore lo schiaccia ovunque dall’esterno. Quando avrà guardato al proprio interno e vi avrà visto la radiosità che vi si trova, ricorderà quanto suo Padre lo ami. E sembrerà incredibile di aver mai voluto pensare che suo Padre non lo amasse e lo considerasse condannato. Nel momento in cui ti renderai conto che la colpa è folle, interamente ingiustificata e interamente senza ragione non avrai paura di vedere l’Espiazione e di accettarla interamente.
(T-13.X.8:3-6)
-372-
Potrai forse essere sorpreso nello scoprire come sia ben diversa la realtà da quello che vedi. Non ti rendi conto dell’enormità di quel solo errore. E’ stato così vasto e così assolutamente incredibile che da esso ha dovuto emergere un mondo di totale irrealtà. Cos’altro poteva derivarne?..... Non chiamarlo peccato, ma pazzia, perché tale è stata e tale continua a rimanere. Non investirlo di colpa, poiché la colpa implica che è stato compiuto in realtà. E, soprattutto, non averne paura.
(T-18.I.5:1-4; 6:7-9)
Da un paio di settimane ci concentriamo sulla falsa versione di Dio che ci viene proposta dall’ego: un Dio punitivo, perché arrabbiato per il peccato commesso dal Figlio quando si è separato da Lui. (per rileggere gli spunti relativi cliccare qui) Abbiamo visto che quest’assurda percezione affonda le sue radici nella credenza che effettivamente la separazione abbia avuto luogo: se la separazione è avvenuta - come sostiene l’ego e come il mondo del molteplice sembra testimoniare - allora il Figlio ha commesso un peccato, la sua colpa è motivata e legittima, e altrettanto motivata e legittima sembra essere la paura della reazione vendicativa da parte di Dio. Ma se la separazione non è avvenuta, come risponde invece lo Spirito Santo, allora il peccato non è stato commesso, la colpa non è legittima, e la paura non ha senso perché Dio ama Suo Figlio di un Amore immutato.
La scelta fra queste due versioni sembra semplice e scontata: sarebbe per noi molto più ovvio e vantaggioso scegliere la versione offerta dallo Spirito Santo, mettendo in dubbio la premessa della separazione, e a quel punto tutte le assurde conseguenze (realtà del peccato, legittimità della colpa e paura di Dio) decadrebbero di conseguenza. Tuttavia - come ci spiega un paragrafo della sezione Le leggi del caos che illustra i cinque pilastri su cui si fonda il sistema di pensiero dell’ego - noi continuiamo a credere alla versione proposta dall’ego. Perché? Perché non la vediamo mai nel suo contenuto astratto e originario, così come ci viene appunto presentata nella sezione, ma solo nei suoi effetti, cioè nella sua applicazione concreta nel mondo di ombre - la forma in sostanza che assume nella nostra vita quotidiana. E in questi effetti la colpa sembra effettivamente molto reale.
E tuttavia com’è possibile che leggi come queste possano essere credute? C’è uno strano meccanismo che lo rende possibile... Nessuna legge del caos potrebbe costringere a credere se non fosse per l’enfasi sulla forma e nel trascurare il contenuto.
(T-23.II.16:1-2,5)
A causa di questo brillante meccanismo egoico (confondere la forma con il contenuto), nel mondo di ombre peccato, colpa e paura sembrano una realtà. E basta seguire qualche notizia sui giornali per rendersene conto. Ma se è vero quanto dice il Corso, allora la colpa non c’è nel contenuto della mente, cioè nella Realtà, ma esiste nelle forme del mondo? Beh… è proprio quanto sostengono alcune frasi del capitolo tredici:
Quando ti vedi e giudichi ciò che fai onestamente, puoi essere tentato di domandarti come tu possa essere senza colpa. Ma considera questo: non sei senza colpa nel tempo, ma nell’eternità. Hai “peccato” in passato, ma non esiste alcun passato.
(T-13.I.3:1-3)
Dunque il Corso non sostiene che noi non siamo senza colpa nel tempo, ossia nella dimensione spazio temporale nella quale crediamo di vivere; non siamo senza colpa in quel sogno che definiamo abitualmente vita quotidiana. Siamo senza colpa nell’eternità, cioè nella mente Una, una consapevolezza che va molto al di là del nostro abituale stato mentale e a cui ritorneremo solo nel momento in cui sceglieremo consapevolmente di risvegliarci dal sogno di dualità. Allora il Corso non propone ai suoi studenti un atteggiamento di superficiale buonismo, sostenendo che la colpa nel mondo non esista. Né ci propone di negarla in nome di una presunta innocenza di fondo degli esseri umani, cioè dei corpi. Purtroppo qui la colpa - ci dice la citazione - è ben presente. E i corpi, ossia gli esseri umani, non sono affatto intrinsecamente innocenti.
E’ un argomento su cui riflettere. Ma ne parleremo ancora la prossima settimana.
-373-
Quando ti vedi e giudichi ciò che fai onestamente, puoi essere tentato di domandarti come tu possa essere senza colpa. Ma considera questo: non sei senza colpa nel tempo, ma nell’eternità. Hai “peccato” in passato, ma non esiste alcun passato.
(T-13.I.3:1-3)
La nostra indagine sull’assurda versione di Dio che l’ego ci fornisce, un’indagine che sto conducendo da qualche settimana (per rileggere gli spunti relativi cliccare qui), mi ha portato ad affrontare un argomento su cui il Corso pone un’enfasi fortissima: che la nostra colpevolezza è solo presunta. La frase che introduce lo spunto di questa settimana sembra invece contraddire tale argomento e insieme a esso tutta la teoria del Corso. Infatti, dicono queste righe, noi non siamo colpevoli nell’eternità, cioè non ci siamo macchiati della colpa della separazione da Dio, perché tale separazione è un’invenzione dell’ego. Ma siamo colpevoli nel tempo, cioè nella dimensione spazio-temporale che chiamiamo “mondo”.
Non sempre gli studenti vogliono leggere queste frasi, che ci mettono in mano una forte responsabilità. E’ certamente molto più confortevole ripetere il ritornello consolatorio che noi esseri umani siamo intrinsecamente innocenti, concetto che ci permette per esempio di giustificare i nostri errori. Ma il Corso non nega assolutamente - né ci chiede di negare - tutti gli errori che continuiamo a fare nella nostra vita quotidiana. Al contrario ci chiede di osservarli con estrema attenzione. Il Corso non è un sistema di pensiero che inneggia a un superficiale buonismo invitandoci a ignorare le nostre esperienze. (Sulle differenze fra il Corso e il pensiero New Age Kenneth Wapnick ha scritto una breve sintesi che è possibile leggere cliccando qui)
Ma allora, se non siamo senza colpa nel mondo, in che cosa consiste la nostra innocenza? Nel non avere peccato contro Dio separandoci da Lui. E’ questo il passato che non esiste, il peccato che crediamo di avere commesso e che avvelena il nostro mondo interiore spingendoci a commettere nel mondo esteriore errori su errori. E’ il contenuto- ossia la presunta colpa nei confronti di Dio- quella che il Corso ci chiede di imparare a mettere in discussione, e non le innumerevoli forme in cui quella presunta colpevolezza si manifesta nel nostro vissuto quotidiano. Perché in tale vissuto quotidiano siamo colpevoli per definizione, in quanto il mondo, il tempo e i corpi non sono altro se non la proiezione della colpa fuori dalla mente.
Tuttavia è proprio sullo specifico del nostro vissuto quotidiano che possiamo fare quella miracolosa modifica della percezione che ci porterà a sperimentare la pace. Infatti, se proviamo a fare un passo indietro seguendo le indicazioni proposte dal primo passo del perdono, la nostra attenzione si sposta finalmente dalla presunta realtà del mondo nel quale crediamo di trovarci (un “mondo di ombre” fatto mediante la proiezione di un passato che non esiste) al contenuto nella mente. E questo contenuto non evidenzia altro se non il rapporto distorto che abbiamo con Dio (descritto dalla terza legge del caos) e che può essere raddrizzato accettandone l’Espiazione, cioè la correzione.
Quando impariamo a raddrizzare questo contenuto come il secondo passo del perdono ci insegna a fare, il mondo di ombre - cioè il riflesso nella forma di quel contenuto - apparirà ai nostri occhi in una luce completamente diversa, nella quale la colpa verrà percepita in modo totalmente diverso e il passato (ossia la presunta colpevolezza nei confronti di Dio) svanirà nella luce del perdono.
Tutta questa bellezza si leverà a benedire la tua vista quando vedrai il mondo con gli occhi del perdono. Perché il perdono trasforma letteralmente la visione e ti permette di vedere l’avvento del mondo reale calmo e dolce attraverso il caos, eliminando tutte le illusioni che hanno sviato la tua percezione legandola al passato. La più piccola foglia diventa una meraviglia e un filo d’erba un segno della perfezione di Dio.
(T-17.II.6)
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Il Figlio di Dio crede di essersi perso nella colpa, di essere solo in un mondo oscuro dove il dolore lo schiaccia ovunque dall’esterno. Quando avrà guardato al proprio interno e vi avrà visto la radiosità che vi si trova, ricorderà quanto suo Padre lo ami. E sembrerà incredibile di aver mai voluto pensare che suo Padre non lo amasse e lo considerasse condannato. Nel momento in cui ti renderai conto che la colpa è folle, interamente ingiustificata e interamente senza ragione non avrai paura di vedere l’Espiazione e di accettarla interamente.
(T-13.X.8:3-6)
Il senso di colpa sperimentato dalla mente non proviene da Dio. E’ un’invenzione dell’ego volta a sostenere la credenza che la separazione da Dio sia effettivamente avvenuta. Se la mente si è separata, così legifera l’ego nelle sue leggi del caos (T-23.II), allora è colpevole. E se è colpevole, Dio la punisce per la sua colpa. Peccato, colpa e paura rappresentano, nel sistema di pensiero dell’ego, una sorta di trinità non santa. Sono strettamente collegati perché tutti e tre simboleggiano nella mente sbagliata aspetti diversi e interconnessi della credenza nella separazione. Questo è il “piano di salvezza” che l’ego cerca di promuovere dentro la nostra mente. Perché? Per impedirci di ricorrere a Dio per aiuto. La definizione è ironica, perché si tratta di un “piano di salvezza” solo a parole, o per meglio dire di un piano che salva non tanto noi quanto l’esistenza dell’ego dentro la nostra mente. Il piano è basato sul trasformare la nostra percezione di nostro Padre da Dio d’Amore a Dio di punizione e nello spingerci di conseguenza a rifugiarci nelle braccia “amorevoli” del nostro ego in cerca di protezione. Proprio come una persona dipendente dalla droga potrebbe correre nelle braccia “amorevoli” dello spacciatore per difendersi sia da un terapeuta -percepito non come un aiuto e una liberazione, ma come un giudice punitivo- che dalla terapia, percepita come una punizione.
La correzione di questo sedicente piano di salvezza dell’ego è lo scopo del secondo passo del perdono. Accettando l’Espiazione per noi stessi accettiamo l’idea di non esserci separati, e quindi mettiamo in discussione sia la nostra presunta colpa che la folle credenza nella collera divina. E da ultimo, se mettiamo in discussione la nostra colpa non avremo bisogno di proiettarla nelle forme esterne nel tentativo infruttuoso di liberarcene, e quindi non metteremo in atto quei circoli viziosi attacco-difesa che avvelenano le nostre vite facendoci credere di essere circondati da nemici e alimentando in noi il bisogno costante di guerra.
Un aspetto fondamentale di questo processo di correzione è rappresentato dal mettere in discussione la nostra percezione errata di Dio, sostituendo l’immagine di un Dio di punizione con l’immagine di un Dio d’Amore. Se non lo faremo, la nostra paura di Dio diverrà un ostacolo formidabile all’accettazione dell’Espiazione, perché ci porterà a continuare a chiedere aiuto all’ego, cosa che ci obbligherà a mettere in atto il suo programma di attacco, distruzione e morte.
E’ davvero impossibile farcela da soli, perché l’ego, che ha installato nella nostra mente il suo piano basato su negazione e proiezione, lo difende con tutte le sue forze e noi purtroppo lo abbiamo accettato senza metterlo in discussione. Ma lo Spirito Santo è sempre pronto ad aiutarci offrendoci il rimedio potente dell’istante santo in cui possiamo scegliere di nuovo e liberare la nostra mente. Ecco perché è così importante chiedere il Suo aiuto. La richiesta d’aiuto allo Spirito Santo è infatti un aspetto fondamentale del secondo passo del perdono.
Non avvicinare mai l’istante santo dopo aver cercato di eliminare tutta la paura e l’odio dalla tua mente. Questa è la sua Funzione. Non tentare mai di guardare oltre la tua colpa senza prima chiedere l’aiuto dello Spirito Santo. Questa è la Sua funzione. La tua parte è solo di offrirGli una piccola disponibilità per permetterGli di eliminare tutta la paura e l’odio e per essere perdonato. Sulla tua poca fede, unita alla Sua comprensione, Egli costruirà la tua parte nell’Espiazione e si accerterà che tu la adempia facilmente.
(T-18.V.2:1-6)
-375-
L’Amore stesso ha chiamato da oltre ciascuno degli ostacoli all’amore. E ciascuno è stato superato dal potere dell’attrattiva di ciò che sta al di là di esso. Il fatto che tu volessi la paura sembrava mantenerli a posto. Tuttavia, quando hai udito la Voce dell’Amore che stava al di là di essi hai risposto e sono scomparsi.
(T-19.IV.D.5:6-9)
Nel capitolo diciannove del Testo c’è una delle sezioni più interessanti del libro, intitolata Gli ostacoli alla pace. Contiene una vera e propria sintesi di tutta la teoria del Corso, vista da un’angolazione particolare: dalla prospettiva degli ostacoli che l’ego pone sul nostro cammino quando siamo determinati a cercare la pace interiore, ossia – è semplicemente un altro modo per dirlo- quando siamo disposti ad accettare l’Espiazione per noi stessi (T-2.V.5:1).
Sì, perché la pace interiore è il risultato del processo del perdono di cui in questi anni ho cercato di esaminare i primi due passi. Il primo passo è rappresentato dall’assumerci la responsabilità delle nostre proiezioni e dal riconoscerne l’identicità. Se siamo disposti a guardarle senza giudizio, possiamo finalmente prendere contatto con l’unico problema che le sottende tutte: la separazione da Dio e il suo corteo di peccato, colpa, paura, cioè la trinità non santa dell’ego. Una volta che ci siamo resi conto che i problemi non sono esterni a noi, ma all’interno della nostra mente e dipendono tutti da un’unica credenza errata, possiamo poi praticare il secondo passo, che consiste nel chiedere aiuto allo Spirito Santo per riuscire a vedere in modo diverso. Non con lo spettro deformante della colpa, ma con la luce dell’innocenza che siamo finalmente disposti a riconoscere nella nostra mente accettando l’Espiazione – o correzione- della falsa idea di separazione. L’ego non rimane certo a guardare mentre cerchiamo di praticare il perdono e di raggiungere la pace interiore; ci metterà i bastoni fra le ruote in tutti i modi possibili e immaginabili. La magnifica sezione IV del capitolo 19 riassume tutti i suoi ostacoli raggruppandoli in quattro categorie principali: il primo ostacolo illustra come in realtà non vogliamo affatto la pace interiore, anche se a parole sosteniamo di volerla, e di conseguenza come siamo attratti dalla colpa che la tiene lontana da noi; il secondo è rappresentato dalla nostra credenza nel valore del corpo e nella sua offerta illusoria di felicità e pace, credenza che promuove nella nostra mente un cronico stato di malattia; il terzo consiste nell’attrattiva che la morte- cioè il sistema di pensiero dell’ego nel suo complesso- esercita sulla nostra mente; e infine il quarto è rappresentato dalla paura di Dio.
Leggendo con attenzione la sezione si comprende come i primi tre ostacoli non sono che le forme che assume il quarto, la paura di Dio. La paura di Dio è il contenuto. I tre ostacoli precedenti sono le forme che questa paura assume nella nostra vita quotidiana. Detto in altri termini c’è un unico, vero, grande ostacolo sulla via della nostra ricerca di pace: l’immagine distorta che l’ego ha installato nella nostra mente -ahimè con il nostro consenso- grazie alla quale il Dio d’Amore viene percepito come un Dio di paura, pronto a punirci per il terribile crimine che secondo l’ego abbiamo commesso.
La paura di Dio è il grande ostacolo che ci impedisce di accettare l’Espiazione per noi stessi, e solo prendendone atto, ossia guardandolo senza giudizio né colpa, possiamo fronteggiarlo.
Ecco perché il Corso mette così tanta enfasi sulla correzione di quest’immagine distorta.
Ti vedi vulnerabile, fragile e facilmente distruggibile, alla mercé di innumerevoli assalitori più potenti di te. Guardiamo francamente come si è originato questo errore, perché qui è sepolta la pesante àncora che sembra mantenere al suo posto la paura di Dio, inamovibile e solida come una roccia. Finché ciò perdurerà, sembrerà che sia così.
(T-22.VI.10:6-8)
-376-
La felicità è un attributo dell’amore. Non può essere separata da esso. E non si può provare dove non c’è amore. L’amore non ha limiti, essendo ovunque. E pertanto anche la gioia è ovunque. Tuttavia la mente può negare che sia così, credendo che nell’amore vi siano degli spazi vuoti nei quali può entrare il peccato, portando dolore anziché gioia. Questa strana credenza limita la felicità ridefinendo l’amore come limitato, ed introducendo opposizione in ciò che non ha limiti né opposti. La paura viene dunque associata all’amore, ed i suoi risultati divengono retaggio delle menti che pensano che ciò che hanno fatto sia reale. Queste immagini, in verità non reali, testimoniano la paura di Dio, dimenticando che essendo Amore Egli deve essere gioia.
(L-pI.103.1-2:2)
Le lezioni del Libro degli esercizi mettono grande enfasi nella correzione della nostra percezione distorta di Dio, promossa nella mente sbagliata dall’ego. E’ l’ego infatti a sostenere che ci siamo effettivamente separati da nostro Padre, e che quindi abbiamo commesso un terribile peccato che giustifica non solo il nostro costante senso di colpa, ma anche un intento punitivo da parte di Dio e la nostra conseguente paura di Lui. Tormentati dal dolore della colpa e dall’angoscia della paura corriamo a rifugiarci nelle braccia “amorevoli” del nostro ego per chiedergli aiuto. Non può che essere così! Grazie al brillante “piano di salvezza” elaborato dall’ego (piano in cui non salva noi ma se stesso), l’ego propone alla nostra mente un Dio punitivo che ci aspetta al varco per la nostra colpa ontologica. Il nostro ultimo desiderio, a questo punto, sarà proprio quello di tornare da Lui o anche solo di chiederGli aiuto!
Corriamo dunque a rifugiarci nelle “braccia amorevoli” del nostro ego, che ci proporrà prontamente la seconda parte del suo “piano di salvezza”, insegnandoci i meccanismi difensivi della proiezione (grazie alla quale impariamo a proiettare la nostra colpa sul mondo esterno) e della negazione (grazie alla quale dimentichiamo tutto il processo di proiezione e lo consideriamo oggettivo e reale anziché autodeterminato). Questo ci trasformerà in vittime perseguitate dai nemici, ma accetteremo senza indugio quest’immagine sminuita di noi stessi, perché il dolore che sperimenteremo sarà comunque inferiore al cocente dolore della colpa commessa contro Dio da cui i meccanismi di difesa (proiezione e negazione) ci permettono di scappare.
E così sceglieremo di divenire complici dell’ego, accettando consapevolmente di scegliere il suo sistema delirante di peccato, colpa, paura, vittimismo e sacrificio dentro la nostra mente.
La correzione di questo caos (con tale termine il Corso designa il sistema di pensiero dell’ego nella sua totalità) consiste nel mettere in discussione la premessa iniziale, quella minuscola folle idea di separazione (T-27.VIII.6:2) che per l’ego è così importante. E questo si fa accettando l’Espiazione –la correzione dell’idea di separazione- dentro la mente. Cancellando l’errore iniziale, verranno cancellati tutti gli effetti (le idee deliranti che ne conseguono) che ho descritto qui sopra. Ma se non saremo pronti a percepite in modo diverso il nostro Creatore, allora l’accettazione dell’Espiazione sarà impossibile. Perché la paura di Dio sorgerà come ostacolo potente e ci spingerà a continuare a chiedere aiuto all’ego, accettandone il devastante sistema di pensiero.
Leggiamo quindi con sollievo il titolo della lezione 103, che mette in discussione la paurosa percezione di Dio offertaci dall’ego:
Dio, essendo Amore, è anche felicità.
e facciamo gioiosamente nostra la preghiera che tale lezione ci propone:
Oggi cercheremo nuovamente di portare alla verità questo errore fondamentale, e di insegnare a noi stessi:
Dio, essendo Amore, è anche felicità.
TemerLo è avere paura della gioia.
(L-pI.103.2:3-5)
-377-
E’ quasi Natale.
Come ogni anno dedico qualche spunto alla meraviglia della rinascita in noi del Bambino di Betlemme, che ci annuncia la speranza della guarigione e della salvezza (per leggere gli spunti degli anni precedenti cercare nell’indice degli spunti cliccando qui).
Riandando al titolo della bellissima sezione che il Corso dedica al Natale (T-15.XI), anche quest’anno proviamo a percepire il Natale come fine del sacrificio. Quale sacrificio? Il sacrificio di avere abdicato alla nostra vera Identità, credendo di esserci separati da Dio e rendendo Dio un Padre temibile invece che amorevole. Un sacrificio che ci ha portato ad adottare nella nostra mente il terribile “piano di salvezza” dell’ego, che l’ego propone non tanto per salvare noi, quanto se stesso. Questo piano consiste nell’installare nella nostra mente la realtà del peccato, la legittimità della colpa e l’aspettativa della punizione, proteggendole con il potente schermo difensivo della proiezione sul mondo esterno e della negazione. Un piano che ha trasformato sia Dio che il mondo esterno in nemici da temere. L’ho trattato negli ultimi spunti, offrendone una sintesi completa nello spunto della scorsa settimana (per rileggere il tutto cliccare qui)
Non aver paura di riconoscere che l’intera idea di sacrificio è solamente una tua invenzione. E non cercare sicurezza cercando di proteggerti da dove non c’è. I tuoi fratelli e tuo Padre sono diventati temibili per te.
(T-15.XI.1:1-3)
La paura di Dio, su cui ci siamo soffermati quest’autunno vedendone l’assurdità, è il grande ostacolo alla pace che mantiene nella nostra mente il sacrificio della nostra Identità. E’ la roccaforte della strategia dell’ego, il punto culminante di quel suo “piano di salvezza” con cui cerca di mantenere la nostra mente in uno stato cronico di dolore e malattia.
Quanto è diventato temibile, quindi, Dio per te, e che grande sacrificio credi che esiga il Suo Amore! Perché l’amore totale esigerà il sacrificio totale. E così l’ego sembra chiederti meno di quanto richieda Dio, e dei due è giudicato il male minore, uno da temere un po’ forse, ma l’altro da distruggere. Perché vedi l’amore come distruttivo e la tua unica domanda è chi debba essere distrutto, tu o un altro? Cerchi la risposta a questa domanda nelle tue relazioni speciali, nelle quali ti sembra di essere in parte sia distruttore che distrutto, ma incapace di essere pienamente l’uno o l’altro. E questo pensi ti salvi da Dio, il Cui Amore totale ti distruggerebbe completamente.
(T-15.X.7)
E’ ora dunque di lasciare andare tutta questa follia. Cogliamo l’occasione di questo Natale per accettare nella nostra mente quell’Espiazione - o correzione dell’idea di separazione da nostro Padre - che ha trasformato le nostre vite in una reale ricerca di pace interiore.
La Volontà di Dio per me è felicità perfetta.
Il peccato non esiste, non ha alcuna conseguenza.
(L-pI.101.6:6-7)
-378-
Il segno di Natale è una stella, una luce nell’oscurità. Non vederla fuori di te, ma splendente nel Cielo interiore, e accettala come segno che il tempo di Cristo è venuto. Egli viene senza chiedere nulla. non chiede alcun sacrificio, di niente e di nessuno. Alla Sua Presenza l’intera idea di sacrificio perde ogni significato.
(T-15.XI.2:1-5)
A conclusione degli spunti autunnali (per rileggerli cliccare qui) dedicati alla paura di Dio, il potente ostacolo che l’ego installa nella nostra mente per impedirci di accettare l’Espiazione per noi stessi, cogliamo l’occasione offertaci dal bellissimo brano natalizio del capitolo 15 per lasciar andare nelle mani dello Spirito Santo, portatore del principio di correzione, l’errore di avere sacrificato la nostra identità di Figlio di Dio, credendoci separati da Lui. E scegliamo di guarire accettando, con l’Espiazione, l’invito di Gesù di unirci a Lui. Questo ci libererà finalmente dalle catene dell’ego nella nostra mente.
Questo Natale dai allo Spirito Santo tutto ciò che ti ferisce. Permettiti di essere completamente guarito così che ti possa unire a Lui nella guarigione, e celebriamo insieme la nostra liberazione liberando tutti con noi. Non lasciarti nulla alle spalle, perché la liberazione è totale e quando l’avrai accettata con me la darai con me. Ogni dolore, sacrificio e piccolezza scompariranno nella nostra relazione, che è innocente come la relazione con nostro Padre, e altrettanto potente. Il dolore verrà portato a noi e scomparirà in nostra presenza, e senza dolore non può esserci sacrificio. E senza sacrificio, lì deve esserci l’amore.
(T-15.XI.3)
Come si accetta l’Espiazione? Essendo determinati a scegliere - con l’aiuto dello Spirito Santo - un altro modo di vedere le nostre relazioni: un modo illuminato dalla luce dell’innocenza invece che dal filtro deformante della colpa. L’Espiazione si accetta – facendo il secondo passo del perdono, cioè chiedendo l’aiuto dello Spirito Santo - nello specifico delle nostre relazioni in cui, con il primo passo del perdono, abbiamo imparato a vedere che quello che pensavamo che nostro fratello ci avesse fatto non è accaduto, perché non è stato lui a toglierci la pace. Siamo stati noi a metterci all’inferno con le nostre proiezioni. (L-pII.1.1:1)
Accettiamo dunque l’Espiazione con la bellissima preghiera del perdono, che libera le nostre menti torturate offrendoci il più bello fra tutti i doni di Natale:
Ti do allo Spirito Santo come parte di me stesso.
So che sarai liberato, a meno che io non voglia usarti per imprigionare me stesso.
Nel nome della mia libertà scelgo la tua liberazione,
perché riconosco che saremo liberati insieme.
(T-15.XI.10:5-7)
-379-
Questo è il tempo in cui un nuovo anno nascerà presto dal tempo di Cristo. Ho fede assoluta nel fatto che farai tutto ciò che vorrai compiere. Niente mancherà, e tu renderai completo e non distruggerai. Dì quindi a tuo fratello:
Ti do allo Spirito Santo come parte di me stesso.
So che sarai liberato, a meno che io non voglia usarti per imprigionare me stesso.
Nel nome della mia libertà scelgo la tua liberazione,
perché riconosco che saremo liberati insieme.
Così l’anno inizierà con gioia e liberta. C’è molto da fare, ed abbiamo procrastinato parecchio. Accetta l’istante santo mentre nasce quest’anno, e prendi il tuo posto, lasciato vacante così a lungo, nel Grande Risveglio. Fa che quest’anno sia differente rendendolo tutto uguale. E permetti a tutte le tue relazioni di essere fatte sante per te. Questa è la nostra volontà. Amen
(T-15.XI-10)
-380-
Il tema che ho trattato in questi spunti fin dal loro inizio è il perdono. Per prepararci a quest’argomento abbiamo visto che il Corso adotta i termini usuali con un suo significato particolare (spunti 13-14), e in particolare abbiamo visto che la parola perdono si riferisce ad un processo di disfacimento dell’ego dentro la nostra mente basato su due passaggi consecutivi (spunti 73-74 e 82-83). Innanzi tutto sulla presa di coscienza che ciò di cui accusiamo gli altri o noi stessi non è determinato da quanto gli altri ci hanno fatto o da quanto noi abbiamo fatto a loro o a noi stessi, ma dall’interpretazione errata che ne diamo. E poi sulla disponibilità interiore a chiedere aiuto allo Spirito Santo- il Principio correttore presente dentro le nostre menti- per accedere a una percezione diversa. Si tratta di un processo molto profondo, a volte anche molto lungo, che scardina alle radici la presa dell’ego dentro la nostra mente.
Chi volesse rileggere gli spunti in cui ho trattato questi due passi fondamentali può accedere all’indice degli spunti presente sul sito (cliccare qui). Troverà la trattazione del primo passo dallo spunto 79 allo spunto 266, e la trattazione del secondo passo dallo spunto 267 allo spunto 365.*
Nell’affrontare l’argomento del perdono ho sempre fatto riferimento alla sintesi compiuta da Kenneth e da lui definita “i tre passi del perdono”, sulla quale Kenneth ha scritto molto. A questo proposito è possibile leggere sul sito la traduzione di uno dei suoi articoli (cliccare qui).
La sua sintesi si basa su un celebre paragrafo della lezione 23, che ora rileggiamo:
L’idea di oggi introduce il pensiero che tu non sei intrappolato nel mondo che vedi, poiché se ne può cambiare la causa. Questo cambiamento richiede che la causa venga prima identificata e poi lasciata andare, in modo che possa essere sostituita. I primi due passi di questo procedimento richiedono la tua collaborazione. Quello finale no. Le tue immagini sono già state sostituite. Facendo i primi due passi vedrai che è così.
(L-pI.23.5)
Il perdono ci libera in sostanza dalla credenza di essere intrappolati nel mondo che i nostri sensi ci mostrano, e quindi dall’angoscia che tortura le nostre menti e che l’ego ci insegna ad alleviare con vari espedienti quali la negazione, la proiezione e la dissociazione.
Sono meccanismi che non funzionano realmente, in quanto rafforzano il problema invece di disfarlo, in base alla crudele massima dell’ego cerca e non trovare (T-12.IV.1:4). Sono difese che fanno ciò da cui vogliono difendere (T-17.IV.7:1).
Il passaggio citato ci rivela invece che possiamo sfuggire alla nostra angoscia di fondo mediante un procedimento in tre passi: con il primo passo cambiamo la causa dei nostri pensieri smettendo di credere che essi siano generati dal mondo esterno, e cominciando a riconoscere che sono invece determinati dalle nostre interpretazioni (in altri termini riconosciamo che la causa non è il mondo esterno ma la nostra mente sbagliata, e con ciò accettiamo di cambiare la causa); con il secondo passo scegliamo di lasciar andare la causa, ossia l’interpretazione errata fornita dall’ego, affidandoci ad un aiuto spirituale già presente dentro la nostra mente (lo Spirito Santo); e infine con il terzo passo sperimentiamo un vero e proprio miracolo, ossia constatiamo che le nostre immagini malate, le nostre percezioni distorte, sono già state sostituite da immagini di pace.
Come visto sopra, ho trattato a lungo i primi due passi nelle loro varie sfaccettature e implicazioni. Nelle prossime settimane inizierò a trattare il terzo passo.
-381-
L’idea di oggi introduce il pensiero che tu non sei intrappolato nel mondo che vedi, poiché se ne può cambiare la causa. Questo cambiamento richiede che la causa venga prima identificata e poi lasciata andare, in modo che possa essere sostituita. I primi due passi di questo procedimento richiedono la tua collaborazione. Quello finale no. Le tue immagini sono già state sostituite. Facendo i primi due passi vedrai che è così.
(L-pI.23.5)
Prima di iniziare a trattare il terzo passo del perdono riprendiamo ancora una volta i due passi precedenti che sono riassunti in questa citazione, e che ho trattato a lungo negli spunti degli anni passati (per accedere all’indice degli spunti, cliccare qui).
Il primo passo è cambiare la causa della nostra sofferenza. Irretiti dall’ego, tutti noi crediamo che tale causa sia il mondo esterno: crediamo di essere tristi per la morte di una persona amata, di essere delusi perché non siamo riusciti a raggiungere un obiettivo, di essere arrabbiati perché qualcuno ci ha mentito o ci ha abbandonato o non ci ha capito, di avere paura perché il futuro ci sembra allarmante. Il Corso ci spiega invece innumerevoli volte che la causa della nostra sofferenza non è rappresentata da quello che il mondo ci ha fatto o sta per farci, ma dall’interpretazione che ne diamo. Nel Manuale per gli insegnanti questo concetto è espresso in modo inequivocabile:
E’ sempre un’interpretazione che suscita emozioni negative, indipendentemente dalla loro apparente giustificazione da parte di ciò che si presenta come un fatto. Indipendentemente, anche, dall’intensità della rabbia che viene suscitata.
(M-17.4:2-3)
Se questo è vero, perché mai dovremmo adottare delle interpretazioni che suscitano in noi emozioni negative? Perché alla base del nostro sistema di pensiero, e quindi delle nostre interpretazioni, c’è un errore di fondo che inquina tutto il nostro modo di vedere. E’ un errore di natura metafisica, la credenza di essere separati dalla nostra Fonte, da Dio. Questo minuscolo errore (non a caso il Corso lo definisce minuscola folle idea, T-28.VIII.6:2) precipita la nostra mente in uno stato di alienazione le cui componenti sono il senso del peccato, la morsa della colpa e soprattutto la paura di Dio. Insomma, quando sono basate su questo errore primordiale le nostre percezioni sono tutte completamente distorte per definizione. E da questo errore primordiale, ci dice il Corso, vengono proprio tutte le nostre sofferenze. Questa è la causa che dobbiamo imparare a identificare con il primo passo del perdono. Se non impariamo a farlo nello specifico delle nostre vicende quotidiane continueremo a credere di essere in balia di un mondo crudele, vittime inermi di forze che sono al di là del nostro controllo.
Ora che la causa - la mente - è stata identificata, dobbiamo fare qualcosa a riguardo. Non basta prendere coscienza dell’unico problema che sta alla base di tutti i nostri problemi apparenti. Dobbiamo anche imparare una strategia per risolverlo. Bene, questa strategia è rappresentata dal secondo passo del perdono: imparare a lasciar andare il pensiero originale di separazione, la minuscola folle idea, accettando al suo posto l’Espiazione [o correzione dell’errore] per noi stessi (T-2.V.5:1).
Beh… in piena onestà è più facile a dirsi che a farsi, perché l’ego cercherà con tutte le sue forze di rimetterci in riga, impedendoci di mettere in discussione la minuscola folle idea e accettare la nostra unione con Dio. E’ per questa ragione che da soli non possiamo farcela, ma abbiamo bisogno dell’aiuto dello Spirito Santo, cioè di quella Presenza dentro la nostra mente che il Corso definisce La Voce Che parla per Dio (C-6.1:2-4. Lo Spirito Santo è il ricordo dell’Amore di Dio dentro la nostra mente, e affidandoci alla Sua Guida potremo lasciare andare l’errore e accettare al suo posto la correzione. Ma ci vuole disponibilità, ci vuole umiltà. Bisogna riconoscere che la nostra forza è in Lui e non nel nostro ego. Questo è dunque il secondo passo del perdono. Lasciare andare la causa (la mente sbagliata) mediante l’aiuto dello Spirito Santo.
I primi due passi sono una nostra responsabilità. E se li facciamo possiamo accedere all’esperienza del terzo passo, il miracolo della pace interiore, che non viene compiuto da noi ma dallo Spirito Santo. Solo facendo i primi due possiamo accedere al terzo. In caso contrario rimaniamo nelle grinfie dell’ego che - manco a dirlo - ci proporrà una sua versione adulterata della pace, basata ovviamente su un qualche cambiamento del mondo esterno, incluso quel cambiamento fittizio che ovviamente all’ego sta tanto a cuore: portare la pace nel mondo invece che nella nostra mente!
-382-
L’idea di oggi introduce il pensiero che tu non sei intrappolato nel mondo che vedi, poiché se ne può cambiare la causa. Questo cambiamento richiede che la causa venga prima identificata e poi lasciata andare, in modo che possa essere sostituita. I primi due passi di questo procedimento richiedono la tua collaborazione. Quello finale no. Le tue immagini sono già state sostituite. Facendo i primi due passi vedrai che è così.
(L-pI.23.5)
Questo celebre passaggio del Corso sostiene che i primi due passi del perdono sono in parte una nostra responsabilità, mentre il terzo no. E’ un concetto ripetuto in vari passaggi del libro, come per esempio nel capitolo 6 del testo, dove viene illustrato in modo estremamente chiaro il ruolo rivestito da noi, dallo Spirito Santo, e da Gesù. Leggiamolo insieme:
In una situazione impossibile puoi sviluppare le tue capacità fino al punto in cui puoi uscire da quella situazione. Hai una Guida che ti dice come svilupparle, ma non hai altro comandante che te stesso. Questo ti lascia la responsabilità del Regno, con una Guida per trovarlo e il mezzo per conservarlo. Hai un modello da seguire che rafforzerà il tuo comando e non lo indebolirà in alcun modo. Quindi mantieni il posto centrale nella tua schiavitù immaginaria, cosa che di per sé dimostra che non sei uno schiavo.
(T.6.IV.9.3:7)
La situazione impossibile di cui qui si parla è lo stato mentale distruttivo e autodistruttivo in cui ci siamo imprigionati da soli con il nostro credere di essere separati da Dio. Le capacità che possiamo sviluppare sono rappresentate da un diverso uso dei meccanismi della mente. La Guida è lo Spirito Santo: è Lui che ci insegna a sviluppare queste capacità in modo da uscire dalla nostra schiavitù immaginaria, perché soltanto immaginata. Il modello da seguire è Gesù. Il mezzo è la scelta di perdonare. E ovviamente i comandanti siamo noi.
Se immaginiamo la situazione in cui si trova un viandante che viaggia in un paese sconosciuto, ci sarà facile comprendere il significato della citazione. Il viandante ha bisogno di una Guida per non perdersi, ed è ovviamente felice di sapere che qualcuno ha già percorso la stessa via e può servirgli da modello. Una mappa gli permetterà di capire dove si trova e dove va, rendendo il suo percorso più agevole e più rapido. Ma il comandante è lui. E’ il viandante a decidere se fidarsi della guida, se consultare la mappa, se avere fiducia nel viaggiatore che l’ha preceduto. E’ il viandante a decidere quale direzione prendere a ogni bivio della strada. E’ uno straniero, e da solo non può farcela. Deve rivolgersi a qualcuno per ricevere aiuto. E quindi deve imparare a discernere fra un saggio consigliere e un consigliere mendace, fidandosi solo di chi lo può veramente aiutare.
I primi due passi del perdono rappresentano le due decisioni di base che dobbiamo imparare a prendere in tutte le situazioni della nostra vita. Prima di tutto dobbiamo decidere fermamente di smetterla di attribuire al mondo esterno la responsabilità delle nostre scelte interpretative. Dobbiamo assumerci la responsabilità che noi, e solo noi, siamo i comandanti della nostra mente. La nostra sofferenza non è causata dagli altri, ma solo dalle nostre decisioni sbagliate.
E poi dobbiamo imparare a fidarci della Guida capace di portarci fuori dai pericoli. Come si fa? Si impara con il tempo. Si impara constatando, situazione dopo situazione, come l’ego sia un cattivo consigliere e come sia alto il prezzo che ci chiede quando lo ospitiamo nella nostra mente. Allora saremo noi a non volerlo più, cacciandolo da casa nostra e così lasciando andare la causa del nostro dolore. Come ci suggerisce la lezione 160, dobbiamo imparare a dire all’ego:
“Questa è casa mia. Abito qui, e non me ne andrò solo perché un pazzo [cioè l’ego] dice che devo farlo”
(L-pI.160.2:3-4)
Quando avremo preso queste due decisioni fondamentali, avremo completato il nostro lavoro. Non dovremo fare più niente, perché il cambiamento interiore è già stato fatto. Compiendo i primi due passi non potremo non fare quest’esperienza, perché la pace interiore, il cambiamento così meraviglioso da essere definito nel Corso “miracolo”, era già presente dentro la nostra mente. Ma com’è possibile che il cambiamento fosse già dentro di noi? E perché non ce n’eravamo accorti? E quanto vedremo la prossima settimana.
-383-
Quindi il primo passo nel disfare è riconoscere che hai attivamente deciso in modo sbagliato, ma puoi altrettanto attivamente decidere altrimenti. Sii molto fermo con te stesso in questo e mantieniti pienamente consapevole del fatto che disfare è un processo che non proviene da te, ma è tuttavia dentro di te perché Dio lo ha messo lì. La tua parte è semplicemente di riportare il tuo pensiero al punto in cui è stato fatto l’errore e affidarlo in pace all’Espiazione.
(T-5.VII.6:3-5)
La citazione di questa settimana propone i tre passi del perdono, proprio come la citazione che abbiamo studiato nelle scorse settimane (per rileggere gli spunti relativi cliccare qui). Rivediamola ancora una volta:
L’idea di oggi introduce il pensiero che tu non sei intrappolato nel mondo che vedi, poiché se ne può cambiare la causa. Questo cambiamento richiede che la causa venga prima identificata e poi lasciata andare, in modo che possa essere sostituita. I primi due passi di questo procedimento richiedono la tua collaborazione. Quello finale no. Le tue immagini sono già state sostituite. Facendo i primi due passi vedrai che è così.
(L-pI.23.5)
Le due citazioni sono dunque molto simili, anche se descrivono il processo con parole diverse. La seconda propone di cambiare la causa, mentre la prima dice di disfare l’ego dentro la nostra mente. In realtà sostengono la stessa cosa, perché la causa della nostra sofferenza viene cambiata nel momento in cui disfiamo l’ego, riportando il nostro pensiero al punto in cui è stato fatto l’errore (la mente che ha scelto l’ego) e scegliendo di cambiare Insegnante, cioè di chiedere aiuto allo Spirito Santo. In altri termini cambiamo la causa quando affidiamo finalmente la nostra colpa al principio dell’Espiazione (o correzione), che lo Spirito Santo ispira o richiama nella nostra mente (T-5.I.5:2.4). Entrambi i brani ribadiscono inoltre che il processo del disfare o perdonare è già dentro la nostra mente e noi dobbiamo solo accettarlo (a questo proposito, è utile rileggere anche T-2.V.5:1). E’ già stato messo lì. E non solo: la seconda citazione aggiunge che- una volta praticati i primi due passi- sperimentiamo addirittura che le nostre immagini sono già state sostituite. Ma com’è possibile? Se le immagini non cambiano nel momento in cui pratichiamo il perdono, ma erano già state sostituite, allora vuol dire che il cambiamento era già avvenuto nel passato, e noi non ce ne eravamo accorti. E’ proprio questo il significato della frase? Sì, il Corso sostiene proprio questo. Ci propone una teoria del tempo originale e affascinante, secondo la quale noi siamo immersi in uno stato di sogno in cui ripassiamo mentalmente ciò che è già avvenuto e scomparso. Quella che definiamo abitualmente “vita” non è altro che un viaggio nella mente, in cui rivediamo delle immagini svanite da lungo tempo.
Perché non facciamo altro che vedere il viaggio dal punto in cui è terminato, guardandolo a ritroso, immaginando che lo stiamo rifacendo e rivedendo mentalmente quello che è passato.
(L-pI.158.4:5)
Quando siamo irretiti dall’ego non stiamo realmente vivendo in tempo presente, ma siamo catturati in un’allucinazione che ci fa sembrare attuali le immagini del passato. E’ questo il significato più profondo del titolo della lezione 7: Io vedo solo il passato (L-pI.7). Qualunque cosa vediamo con i nostri occhi non è realmente lì. Le immagini che vediamo sono la forma concreta e allucinata che il passato- ossia la minuscola folle idea di separazione (T-27.VIII.6:2)- assume in quello che noi crediamo essere il presente. In sostanza l’ego non è altro che un sistema di allucinazioni di dimensioni cosmiche, anche se è basato su un unico, insignificante pensiero di separazione, la minuscola folle idea (T-27.VIII.6:2). Come spiega un’altra frase:
Questo mondo è finito molto tempo fa.
(T-28.I.1:6)
Tuttavia il processo del perdono ci permette di uscire da questo stato di allucinazione e di accedere a un altro stato mentale, nel quale costatiamo che le immagini che ci sembravano così reali non esistono più, perché sono già state sostituite da altre immagini corrette. Forse credevamo che il perdono servisse solo a guarire le nostre relazioni più difficili, o a rimettere in ordine una vita infelice, e scopriamo improvvisamente che ha un significato più profondo: quello di farci sperimentare praticamente che la dimensione in cui crediamo di vivere è semplicemente uno stato di allucinazione, ma che dentro la nostra mente sono già presenti delle immagini alternative a quelle che ci sembrano così reali. Ma ne parleremo ancora.
-384-
Oggi non permetteremo ad alcun pensiero dell’ego di dirigere le nostre parole o le nostre azioni. Quando simili pensieri si presenteranno, ci faremo tranquillamente da parte, li osserveremo e poi li lasceremo andare. Non vogliamo ciò che essi portano con sé. E così non sceglieremo di mantenerli. Essi tacciono ora. E nella quiete, santificata dal Suo Amore, Dio ci parla e ci racconta della nostra volontà, poiché abbiamo scelto di ricordarLo.
(L-pII.254.2)
Anche oggi iniziamo con una nuova citazione dei tre passi del perdono, contenuta in un poetico paragrafo della lezione 254. Il primo passo è costituito dall’osservare i nostri pensieri man mano che si presentano, facendoci tranquillamente da parte, cioè osservandoli senza coinvolgimento come insegnano le lezioni 10 e 31. E il secondo passo è costituito dalla scelta di lasciarli andare. Le frasi richiamano quasi testualmente quelle della lezione 23 che stiamo studiando da qualche settimana (per rileggere gli spunti relativi, cliccare qui). Rileggiamole:
L’idea di oggi introduce il pensiero che tu non sei intrappolato nel mondo che vedi, poiché se ne può cambiare la causa. Questo cambiamento richiede che la causa venga prima identificata e poi lasciata andare, in modo che possa essere sostituita. I primi due passi di questo procedimento richiedono la tua collaborazione. Quello finale no. Le tue immagini sono già state sostituite. Facendo i primi due passi vedrai che è così.
(L-pI.23.5)
I pensieri che scegliamo di lasciare andare nella lezione 254 corrispondono alla causa della nostra sofferenza, che ci intrappola nel mondo che vediamo e che scegliamo di lasciar andare, citata nella lezione 23. A questo punto i pensieri tacciono, cioè non li pensiamo più. E in questo stato di quiete Dio ci parla. E’ un po’ come dire che le nostre immagini di dolore sono sostituite. Dato che i pensieri che pensiamo di pensare appaiono come immagini, ed è questa la ragione per cui non li riconosciamo come nulla (L-pI.15:1), noi crediamo di vedere come se fossero immagini reali quelli che sono semplicemente dei futili pensieri privi di significato all’interno della nostra mente (L-pI.15.1). Vediamo all’esterno di noi proprio quel mondo di dolore che invece proviene semplicemente dal nostro mondo interiore di dolore. E quando scegliamo di lasciar andare i pensieri relativi, scegliendo la pace al loro posto, allora anche il mondo esteriore di dolore diviene uno stato di quiete e di pace, cioè le immagini vengono sostituite.
Il Corso non sostiene qui che magicamente scompaiono alla nostra vista degli oggetti che prima vedevamo chiaramente, o che ne appaiono altri altrettanto magicamente. Le immagini sostituite sono semplicemente le percezioni cambiate. Mentre prima la nostra percezione era guidata dall’ego e dal suo incessante bisogno di proiettare all’esterno la colpa, ora la nostra percezione sarà guidata dallo Spirito Santo – la Voce Che parla per Dio- che estenderà all’esterno l’Amore che finalmente illumina la nostra mente.
Il processo del perdono, o del disfacimento dell’ego, ci permette di accedere a una diversa dimensione della mente, che il Corso definisce mente corretta, in cui possiamo fare un’esperienza quanto meno singolare: i nostri pensieri fissi, le immagini che credevamo immutabili e reali, non erano affatto reali. Le proiezioni che noi consideravamo una verità oggettiva svaniscono come neve al sole e al loro posto vediamo affiorare immagini di pace e di bellezza. E l’angoscia, la paura, la collera che credevamo non dovessero più finire cedono il posto ad uno stato di pace precedentemente inimmaginabile. E questo è del tutto indipendente dalla situazione che stiamo vivendo, e anche dalla sua apparente gravità o difficoltà.
La proiezione avrà così lasciato il posto all’estensione.
Ecco, proprio di questo parleremo nelle prossime settimane: di cosa sia l’estensione per il Corso.
E’ a causa del fatto che i pensieri che pensi di pensare appaiono come immagini che non li riconosci come nulla. Tu pensi di pensarli, dunque pensi di vederli. Questo è il modo in cui è stato fatto il tuo “modo di vedere”. Questa è la funzione che hai dato agli occhi del tuo corpo. Non è vedere. E’ un fare immagini. Prende il posto del vedere, sostituendo la visione con le illusioni.
(L-pI.15.1)
-385-
Ho deciso di scrivere qualcosa su questa emergenza coronavirus in seguito alle richieste che mi sono giunte da più parti. L’attuale situazione mi permette inoltre di esemplificare l’applicazione dei tre passi del perdono che stiamo studiando da qualche anno.
Lo stimolo è partito da un messaggio che chiedeva esplicitamente: “Dove posso trovare, nel Corso, qualcosa sull’emergenza Coronavirus?” E’ chiaro che questa domanda rivela un’incomprensione dello scopo del Corso e dei suoi metodi di applicazione. Infatti il Corso non parla minimamente né del Coronavirus, né di alcun problema del mondo, perché si occupa unicamente della mente. Il focalizzarsi sui problemi del mondo, siano essi relazioni interpersonali, difficoltà economiche o sociali, e problemi di salute, travisa completamente la sua area di intervento.
Il Corso si occupa della mente, termine con cui intende il processo interpretativo.
In altri termini ci direbbe: il problema NON è quello che succede, ma IL MODO in cui interpreto quello che succede. Ci sono alcune frasi nel Manuale per gli insegnanti che riassumono benissimo questo concetto.
Leggiamole:
Forse sarà utile ricordare che nessuno può arrabbiarsi nei confronti di un fatto. E’ sempre un’interpretazione che suscita emozioni negative, indipendentemente dalla loro apparente giustificazione da parte di ciò che si presenta come un fatto. Indipendentemente, anche, dall’intensità della rabbia che viene suscitata”.
(M-17.4:1-3)
E’ l’interpretazione a suscitare emozioni negative: il punto focale del Corso è l’interpretazione o percezione, e non la cosa in sé.
Le prime 3 lezioni del Libro degli esercizi ci aiutano ad inoltrarci in questa direzione. Dicono infatti:
1- Nulla di ciò che vedo….. ha alcun significato
2- Io ho dato a tutto ciò che vedo …. tutto il significato che ha per me
3- Io non comprendo nulla di ciò che vedo…
In altri termini queste lezioni ci insegnano a spostare la nostra attenzione dalle cose in sé alla nostra percezione di esse.
La quarta lezione include in questo nuovo approccio anche i pensieri. Infatti dice:
4- Questi pensieri non significano nulla. Sono come le cose che vedo…
E’ ovvio che se i pensieri in sé non significano nulla e sono come le cose che vedo, allora anche in relazione ai pensieri posso dire quello che ho detto in relazione alle cose, e cioè che:
….Io ho dato a tutti i pensieri che penso tutto il significato che hanno per me, e
….Io non comprendo nulla di ciò che penso.
Con queste semplici lezioni iniziali il Corso ci dice come dovremmo imparare - poco alla volta, ovviamente - ad approcciare qualsiasi cosa: rendendoci conto che diamo alle cose dei significati arbitrari e poi li consideriamo verità oggettive, non rendendoci minimamente conto di come “costruiamo” la nostra realtà. Cosa c’entra tutto questo con il Coronavirus? Beh… uno studente del Corso dovrebbe partire da qui per impostare il suo lavoro, riconoscendo in sostanza che il suo problema non è il Coronavirus ma il modo in cui lui lo percepisce. E questo suo modo di percepirlo determinerà per lui quella che sembrerà essere la realtà oggettiva.
Questo non è altro che l’inizio del primo passo del perdono, cioè - per ritornare ancora una volta al paragrafo 5 della lezione 23 : “… tu non sei intrappolato nel mondo che vedi, perché se ne può cambiare la causa”. Noi non siamo intrappolati nella nostra percezione del mondo, perché possiamo cambiare la causa di questa percezione, ossia la nostra mente. Tuttavia “questo cambiamento richiede che la causa venga prima identificata …..”. Se non identifichiamo la causa, ossia se non siamo consapevoli dei pensieri che pensiamo in relazione ad un determinato evento, allora non potremo mai lasciarla andare. Se consideriamo oggettivo il significato di un evento, e non ci rendiamo conto che siamo stati noi ad aver dato quel significato a quell’evento, non potremo mettere in discussione la nostra percezione.
E’ dunque questo il primo, indispensabile passo da attuare FIN DALL’INIZIO nella pratica del Corso a proposito di QUALSIASI problema: renderci conto che il problema non è la cosa in sé, ma il significato che diamo alla cosa in sé, in genere senza rendercene conto, e quindi giudicando oggettivo tale significato.
La lezione 5 prosegue sulla stessa linea, dicendo:
5- Non sono mai turbato per la ragione che penso io
Proviamo ad applicare meglio questo concetto: la lezione ci dice che crediamo di essere turbati perché c’è un virus, perché c’è un’emergenza, perché abbiamo paura di subire un crollo economico, perché le norme del Governo sono eccessive o inefficaci, perché siamo costretti a rimanere isolati in casa, ecc. mentre in realtà non siamo affatto turbati per queste ragioni. Allora perché siamo turbati? Ovviamente l’avevano già detto le lezioni precedenti: siamo turbati per IL SIGNIFICATO che diamo a ciò che vediamo o pensiamo, ossia al virus, all’emergenza, al crollo economico, alle norme del Governo, alla crisi economica, all’isolamento in casa, e così via. E questo significato dipende dalla nostra percezione.
Ancora una volta il problema non è “là fuori”, non è la cosa in sé. Il problema è la nostra interpretazione della cosa in sé, il significato che diamo al virus, all’emergenza, alle norme di Governo, ecc. E’ questo che ci turba. Continua a leggere
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vorrei ringraziare tutti coloro che negli ultimi giorni mi hanno scritto commenti e domande relativi al mio articolo sul Coronavirus e i tre passi del perdono, inviato con l’ultima newsletter (se volete rileggerlo, cliccate qui). Il tono entusiastico che li caratterizza mi rallegra molto e mi incentiva ulteriormente a scrivere questi spunti. Proprio in relazione ai messaggi ricevuti vorrei quindi aggiungere ancora qualche riflessione sullo stesso argomento.
Lo scopo del mio articolo era chiarire che l’attuale emergenza Coronavirus offre agli studenti del Corso un’opportunità per mettere in pratica il processo del perdono, così come viene spiegato nel Corso stesso.
Ovviamente non è un’occasione speciale per raggiungere il miracolo della pace interiore, perché se la ritenessimo tale stabiliremmo una gerarchia di illusioni, sostenendo che qualcosa è più importante di qualcos’altro. E questo contraddirebbe chiaramente il primo principio dei miracoli, che recita:
Non c’è ordine di difficoltà nei miracoli.
Uno non è più “difficile” o “più grande” di un altro. Sono tutti uguali
. Tutte le espressioni d’amore sono massimali. .
(T-1.I.1)
Queste frasi ci dicono infatti che il raggiungimento della pace non è più difficile in una situazione piuttosto che in un’altra. Dato che il miracolo della pace interiore non può avvenire se non scegliamo di accedere alla parte corretta o sana della nostra mente, è evidente che la conseguente percezione corretta può estendersi a qualsiasi cosa, situazione o persona percepiamo. Senza alcuna eccezione, differenza o gerarchia. Di conseguenza la difficoltà nello sperimentare uno stato di pace in relazione ad un evento di risonanza mondiale è assolutamente analoga alla difficoltà che si sperimenta in relazione ad un evento di dimensioni molto più ridotte, quale per esempio un piccolo contrattempo o un lieve dissapore con gli amici.
Quindi la situazione che stiamo vivendo in questi giorni non è per nulla speciale, nei termini del processo del perdono che ci suggerisce il Corso. E’ sicuramente speciale in termini umani, ma non è affatto speciale per quanto riguarda il raggiungimento della pace interiore. E allora perché parlarne? Perché in questo periodo tutti ne siamo coinvolti, e questo la rende un’ottima occasione per esemplificare tutta la teoria che sto trattando da molti anni. Ma c’è anche un’altra motivazione: per sottolineare che ignorare qualcosa che avviene nel mondo potrebbe essere un errore analogo al dargli troppa importanza. Infatti si nega proprio ciò che si teme perché – appunto - lo si ritiene speciale o specialmente temibile.
Nell’articolo, tra le altre cose, ho citato la lezione 193 che afferma che ogni cosa è una lezione che Dio vuole che noi impariamo, ossia è un’opportunità per apprendere una lezione spirituale, mettendo in discussione il nostro ego e accettando - così come riusciamo - l’Espiazione (o correzione della nostra mente) per noi stessi (T-2.V.5:1). Penso che la specialezza sia proprio uno degli aspetti più utili da osservare - imparando quindi una lezione molto importante - mentre compiamo quell’indagine sui nostri pensieri che ho cercato di proporre la scorsa settimana. Ritengo insomma che possiamo usare proprio l’attuale situazione per guardare la nostra tendenza a sopravvalutare o sottovalutare le cose, rendendole in tal modo speciali. La tendenza a sopravvalutare può apparire sotto forma di paura, colpevolizzazione, rabbia, e così via. La tendenza a sottovalutare può apparire come negazione, far finta di niente, cercare di sfuggire a quanto spaventa troppo, ironizzare sulla paura altrui, ecc. Sopravvalutare e sottovalutare sono due forme diverse dello stesso tentativo di portare l’accento sulla cosa in sé invece che sulla nostra interpretazione o percezione della cosa in sé. E questo contraddice chiaramente le prime due lezioni del libro degli esercizi, che dicono che nulla di ciò che vediamo ha alcun significato, perché siamo noi a dargli tutto il significato che sembra avere per noi.
Penso che gli studenti del Corso, tutti indistintamente, qualunque sia il loro livello di comprensione e la loro capacità di applicazione degli strumenti offerti dal Corso, dovrebbero in questi giorni vigilare sulla propria tendenza - prettamente egoica - di negare o sopravvalutare quanto sta succedendo. E dovrebbero anche guardare come provino a proiettare tale tendenza sul mondo esterno, diventando giudici del comportamento altrui. Perché l’osservazione delle nostre proiezioni è sicuramente un ottimo punto di partenza per stanare l’ego dentro la nostra mente. Quando ci sperimentiamo turbati da quello che qualcuno dice o non dice, fa o non fa, dovremmo ricordarci di un’importante frase della lezione 134: accuserei me stesso per questo? Forse vale la pena di leggere insieme l’intero paragrafo:
C’è un modo semplicissimo per trovare la porta del vero perdono e percepire che è spalancata in segno di benvenuto.
Quando senti che sei tentato di accusare qualcuno di peccare in una qualsiasi forma, non permettere alla tua mente di soffermarsi su ciò che pensi che egli abbia fatto, perché questo è autoinganno.
Chiediti invece: “accuserei me stesso per questo?
(L-pI.134.9)
In altri termini, non è che sto accusando qualcuno a proposito di qualcosa, perché proprio in relazione a quella cosa non sono specialmente in pace dentro la mia mente? Non è che sto giudicando il mio vicino che esce spesso di casa, o al contrario è troppo ligio alle direttive date dal Governo mantenendo rigorosamente la distanza di un metro, perché mi giudico per essere troppo ossequioso o troppo ribelle, magari sul posto di lavoro? Non è che mi arrabbio quando qualcuno insiste tanto sulla pericolosità di questo virus, o al contrario la sminuisce, proprio perché mi colpevolizzo o mi vanto, magari per un’insistenza eccessiva esercitata in passato con un partner? In ultima istanza quello che vediamo nelle situazioni che sembrano toglierci la pace è la relazione distorta che abbiamo con Dio, e cominciare a vedere le dinamiche che mettiamo in atto giornalmente con i nostri simili può aprirci gli occhi e portarci, con il tempo, a risolvere proprio quel problema ontologico iniziale che sta alla base di tutte, la presunta separazione dalla nostra Fonte. Guardare la paura che abbiamo potrebbe aiutarci ulteriormente in questo processo, perché temiamo proprio ciò che attacchiamo. Dunque se temo qualcuno o qualcosa vuol dire che l’ho attaccato con il mio giudizio, e se l’ho attaccato o giudicato vuol dire che ho giudicato me stesso per la stessa ragione.
Ecco perché rendiamo speciali le cose dentro la nostra mente (sopravvalutandole o sottovalutandole): perché in questo modo possiamo usarle per attaccare qualcuno o qualcosa e liberarci in questo modo del senso di colpa primordiale che nutriamo nei confronti di Dio, l’unica e vera malattia che ammorba e avvelena la nostra mente.
In questi giorni siamo letteralmente bombardati da decine e decine di mail, what’s up, messaggi di ogni tipo. E spesso, proprio nelle chat che raggruppano studenti del Corso, vedo che imperversano giudizi di ogni tipo sia a proposito dell’emergenza in genere, che nei confronti di altri studenti: giudizi spesso e volentieri celati dietro frasi o video di poeti, cantanti, saggi, filosofi, comici, ecc. Ecco…. un serio studente del Corso dovrebbe domandarsi “qual è lo scopo per cui sto inviando questo messaggio?” Comprendo, ovviamente, il tentativo di lenire l’ansia crescente attingendo da ogni possibile fonte e cercando di trovare alleati (alleati, ma non fratelli, direbbe il Corso. T-6.IV.4:4; T-15.VII.9:3) per sopprimere il proprio angosciante senso di solitudine. Tuttavia mi auguro anche che noi studenti del Corso, che abbiamo per le mani uno strumento così straordinario per osservare la nostra mente e disfare il nostro ego, uno strumento per raggiungere uno stato di autentica pace interiore in cui sperimentare gioiosamente che non c’è nulla di cui avere paura (L-pI.48) e che non siamo mai soli perché Dio viene con noi ovunque andiamo (L-pI.41), mi auguro - dicevo - che tra un messaggio e l’altro ci ricordiamo di fare la sola cosa che il Corso ci consiglia di fare, ossia osservare l’imperversare dell’ego dentro la nostra mente. E se per caso ce ne dimentichiamo, mi auguro che riusciamo almeno a domandarci: “Qual è lo scopo?” (T-4.V.6:7-11)” Credo che sia una domanda interessante, e credo che potremmo rifletterci sopra tutti quanti per almeno una settimana.
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Anche questa settimana vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno inviato i loro commenti allo spunto della scorsa settimana. Fra le varie domande ricevute vorrei oggi rispondere alla seguente:
“Potresti farmi un esempio concreto -e la conseguente scelta- di cosa si pensa con la mente corretta e con la mente sbagliata? Per esempio quando si vedono alla TV le bare in fila, tutti quei morti …. vederle con la mente sbagliata e con la mente corretta…. che cosa può cambiare? Io ho provato: se scelgo lo Spirito Santo è come se quell’evento fosse irrilevante, se scelgo l’ego muoio di paura”.
Credo di aver descritto i pensieri della mente sbagliata nella prima parte del mio articolo dedicato al Coronavirus come opportunità per praticare i tre passi del perdono (per rileggerlo, cliccare qui). E credo di aver chiarito a sufficienza che si tratta sempre e solo di una percezione. Noi non siamo mai turbati per la cosa in sé, ma sempre e solo per la percezione che abbiamo della cosa in sé, per l’interpretazione che ne diamo (L-pI.5).
Posso riassumere ulteriormente quanto detto evidenziando che la percezione egoica è chiaramente riconoscibile perché è SEMPRE priva di autentica pace. Per esempio alcuni pensieri e sensazioni che potrebbero sorgere nella mente mentre osserviamo la fila di bare alla TV potrebbero essere la paura di fare la stessa fine e magari provare ansia per qualche aspetto o relazione della propria vita, oppure la tristezza pensando che quelle persone erano sole al momento della morte, oppure la collera pensando che il Governo avrebbe dovuto intervenire prima o prendere delle misure preventive più importanti, oppure il senso di colpa perché non ci si sta occupando a sufficienza di un proprio parente che vive da solo, oppure un profondo senso di solitudine per questa emergenza che ci obbliga a rimanere chiusi nelle nostre case e a non prestare aiuto alle persone in difficoltà, ecc. L'indicatore che siamo nella mente sbagliata è sempre la mancanza di pace (T-14.XI). La forma può variare dal sentirsi in colpa, al colpevolizzare qualcuno o qualcosa, all’arrabbiarsi, al provare paura, o rancore, o tristezza, o ansia o angoscia, al sentirsi catturati da un senso di morte, al sentirsi soli, al senso di impotenza e inadeguatezza, al desiderio di vendetta, e da molte altre sensazioni prive di pace in tutte le possibile gradazioni e mescolanze.
Un’altra variante che l’ego ci propone è la pseudo pace, ossia una sensazione di mancanza di emozioni, un senso di ottundimento come se ci si tirasse indietro, come se non si volesse sperimentare nulla. La lezione 74 ci mette in guardia dal credere che questa sia la pace, in quanto la pace è caratterizzata da una gioia profonda e da un’attenzione più vigile. Se quindi sperimentiamo sonnolenza, indebolimento, confusione, freddezza, indifferenza, aridità, è certo che l’ego si è intromesso e cerca di ingannarci offrendoci la sua versione della pace, per impedirci di cercare di raggiungere la vera pace. In sostanza il non provare nulla a proposito di qualunque cosa non va assolutamente confuso con la pace di cui parla il Corso. (L-pI.74.5-6)
E allora quali sono le caratteristiche di un’autentica pace interiore? Ce lo spiegano chiaramente le lezioni 35-50, dedicate integralmente ai pensieri della mente corretta. In particolare le lezioni 44-47:
Dio è la luce un cui vedo
Dio è la Mente in cui penso
Dio è l’Amore in cui perdono
Dio è la forza in cui confido
Se – come anticipava la lezione 42- Dio è la nostra Fonte, allora la nostra mente corretta può contenere il riflesso della luce, della chiarezza mentale, dell’amore, e della forza che provengono da Lui. Le caratteristiche dell’autentica pace- quella che proviene dallo Spirito Santo, e non quella fasulla proposta dall’ego- saranno proprio luce, chiarezza mentale, amore e forza interiore. E accanto ad esse, come abbiamo già visto, una gioia profonda che deriva dal sentirsi improvvisamente liberi dalle catene dell’ego che ci facevano percepire solo oscurità e dolore.
E’ importante comprendere che il Corso ci parla di uno stato miracoloso, tanto più miracoloso quanto più la situazione che si sta sperimentando in quel momento sembrerebbe essere fonte di sola angoscia e paura. Non a caso il Corso è intitolato “Corso in miracoli”. Non ci propone uno stato mentale al quale si accede con il ragionamento, né tantomeno concentrandosi sui pensieri positivi o sulle frasi belle, gradevoli, confortanti e spirituali del Corso. La pace autentica è uno stato a cui – nei termini del Corso- si può accedere solo praticando un processo molto profondo, che consiste nel prendere coscienza del proprio ego e nella conseguente decisione di metterlo in discussione con l’indispensabile aiuto di un’istanza spirituale già presente nella nostra mente.
Continua a leggere
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Ancora una volta grazie per le mail e i messaggi ricevuti in questa settimana in relazione al mio ultimo articolo sull’applicazione dei tre passi del perdono all’emergenza Coronavirus (cliccare qui per leggerne la prima parte, e qui per la seconda). In alcuni dei messaggi che mi sono stati inviati ho trovato, ripetuta in molte forme diverse, una domanda che cercherò qui di sintetizzare con parole mie:
“Al fondo della seconda parte del tuo articolo hai scritto che il metodo proposto dal Corso è semplice e straordinario. A me non sembra. Non solo il Corso è di difficile comprensione, ma i risultati raggiunti sono inferiori a quelli che tu hai descritto, nonostante abbia cercato molte volte di praticare il perdono”.
Vorrei dire qualche parola di incoraggiamento a questo proposito.
Se è vero che la comprensione del linguaggio e della teoria del Corso implica uno studio molto profondo, e presumibilmente per molti anni, è anche vero che sì, il metodo è semplice e chiaro. E’ il Corso stesso a sostenerlo in più punti. Andiamo a leggere qualche citazione in cui troviamo espresso questo concetto, cominciando da un paragrafo inizialmente rivolto in modo specifico a Helen Schucman:
Questo corso è perfettamente chiaro.
Se non lo vedi chiaramente è a causa della tua interpretazione contro di esso, e pertanto non ci credi.
E poiché ciò in cui credi determina ciò che percepisci, tu non percepisci cosa significa e quindi non lo accetti.
(T-11.VI.3:1-3)
Siamo solo nel capitolo 11, ma troviamo un concetto che diverrà il tema principale del capitolo 21: la proiezione fa la percezione (T-21.In.1:1), cioè vediamo solo ciò che vogliamo vedere, e questo determinerà le nostre esperienze. Questo significa che se non sperimentiamo la semplicità del Corso, è solo perché non la vogliamo accettare, ci difendiamo da essa, facciamo resistenza. E perché? Perché – come viene chiarito all’inizio del capitolo 24 - il Corso ci insegna l’esatto contrario di tutto ciò in cui noi crediamo.
Imparare questo corso richiede che tu sia disposto a mettere in dubbio ogni valore che hai.
Neppure uno potrà essere tenuto nascosto e oscuro senza compromettere il tuo apprendimento.
Nessuna credenza è neutrale. Ciascuna ha il potere di dettare ogni decisione che prendi.
(T-24.In.2:1-4)
L’idea della semplicità del Corso viene ripetuta altrove:
La ragione per cui questo corso è semplice, è che la verità è semplice.
La complessità è dell’ego e non è altro che il tentativo dell’ego di oscurare ciò che è ovvio.
(T-15.IV.6:1-2)
Qui viene aggiunta un’idea molto interessante, e cioè che è l’ego ad essere complesso, non il Corso. L’ego è una specie di dottor Azzeccagarbugli di manzoniana memoria, esperto solo in confusione (T-8.II.1:6), abile nel complicare le cose, incapace di dare risposte sensate (T-6.IV.2:8) e bravissimo nel non rispondere mai quando viene messo alle strette (T-4.V.4:9-10). Il problema è che quando siamo identificati con l’ego (ahimè gran parte del tempo!), non potremo che funzionare esattamente allo stesso modo: complicheremo le cose, incapaci di darci delle risposte sensate e abilissimi nel non trovare soluzioni funzionali. Continua a leggere
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Una settimana è breve e tuttavia questa settimana santa è il simbolo dell’intero viaggio che il Figlio di Dio ha intrapreso. Egli ha incominciato col segno della vittoria, la promessa della resurrezione, che gli era già stata data.
(T-20.I.3:1-2)
Questa è la descrizione che il Corso dà della settimana santa: un viaggio di soli sette giorni che simboleggia tutto il viaggio che l’intera Figliolanza ha compiuto. E’ iniziato con la promessa della resurrezione, ossia con la completa correzione del sogno di separazione (l’Espiazione), attuata dallo Spirito Santo nell’istante preciso in cui la mente separata ha scelto di credere vera la minuscola folle idea di separazione da Dio (T-27.VIII.6:2). Una correzione che la mente non ha accettato, scegliendo scioccamente di rimanere nel mondo dell’ego e accettando volutamente la propria crocifissione; l’angosciante percezione del peccato e della colpa. Da essa sono derivate tutte le percezioni conseguenti: la paura della punizione, la rabbia, la depressione, la solitudine, la disperazione e la morte. Perché la crocifissione è il destino che l’ego riserva sempre a chi lo segue. Anche se poi ci insegna a proiettare questa crocifissione all’esterno, nel tentativo di liberarcene. E allora crocefiggeremo gli altri, trasformandoli da fratelli in nemici colpevoli. Crederemo di esserci liberati del nostro dolore ma lo avremo solo aumentato.
E’ questo l’inferno della crocifissione, la morte interiore che l’ego ci ha “donato” per avergli dato retta.
La pena di morte è l’ultimo obiettivo dell’ego, perché esso è fermamente convinto che tu sia un criminale, che meriti la morte, così come Dio sa che meriti la vita. La pena di morte non lascia mai la mente dell’ego, poiché è quello che alla fine ti riserva sempre.
(T-12.VII.13:2-3)
Questa settimana possiamo dunque intraprendere simbolicamente il viaggio di liberazione dall’inferno. Ci sarà un momento molto doloroso e profondo - simboleggiato dal venerdì santo - in cui potremo vedere fino in fondo il dolore della nostra scelta di rimanere nell’inferno del nostro ego trascinando con noi i nostri fratelli con le nostre proiezioni.
…perché questa è la reale crocifissione del Figlio di Dio
(T-13.III.6:6)
Ma proprio in quel momento di dolore profondo potremo compiere la scelta di perdonare, vedendo che non siamo affatto crocifissi. Smettendo di crocifiggere gli altri sperimenteremo anche la nostra guarigione interiore.
E tuttavia egli non è crocifisso. Qui c’è sia il suo dolore che la sua guarigione, perché la visione dello Spirito Santo è misericordiosa ed il Suo rimedio veloce. Non nascondere la sofferenza alla Sua vista, ma portala lietamente a Lui. Poni davanti alla Sua eterna sanità mentale tutte le tue ferite e lascia che Lui ti guarisca. Non lasciare alcuna traccia di dolore nascosta alla Sua luce e ricerca attentamente nella tua mente qualsiasi pensiero tu possa temere di scoprire. Poiché Egli guarirà ogni piccolo pensiero che hai serbato per ferirti e lo pulirà della sua piccolezza, ripristinandolo alla grandezza di Dio.
(T-13.III.07)
Questa settimana possiamo dunque cercare di scegliere nuovamente, lasciando andare la nostra devozione alla crocifissione, e accettando finalmente quella resurrezione che ci è stata promessa tanto tempo fa. Ma per farlo dobbiamo mettere in discussione la principale difesa che l’ego ha inventato per allentare il dolore della crocifissione, la proiezione, scegliendo al suo posto di perdonare i nostri fratelli. E allora vedremo risplendere l’amore sia dentro la nostra mente che fuori di essa. L’estensione dell’amore attuata dallo Spirito Santo avrà sostituito la proiezione della colpa generata dall’ego. La vita avrà trionfato sulla morte.
Questa settimana comincia con le palme e termina coi gigli, il segno bianco e santo che il Figlio di Dio è innocente. Non permettere ad alcun oscuro segno di crocifissione di interporsi tra il viaggio e il suo scopo, tra l’accettazione della verità e la sua espressione. Questa settimana celebriamo la vita, non la morte. E onoriamo la perfetta purezza del Figlio di Dio e non i suoi peccati. Offri a tuo fratello il dono dei gigli, non la corona di spine; il dono dell’amore e non il “dono” della paura. Sei di fianco a tuo fratello, con le spine in un mano e i gigli nell’altra, incerto su cosa dare. Adesso unisciti a me e getta via le spine offrendo i gigli al loro posto.
(T-20.I.2:1-7)
Se cogli un barlume del volto di Cristo dietro al velo, guardando attraverso i candidi petali dei gigli che hai ricevuto e dato come tuo dono, vedrai il volto di tuo fratello e lo riconoscerai. Io ero uno straniero e tu mi hai accolto, senza sapere chi fossi. Ma lo saprai grazie al tuo dono di gigli. Nel tuo perdono di questo straniero, che ti è estraneo e tuttavia è il tuo vecchio Amico, risiede la sua liberazione e la tua redenzione con lui. Il periodo della Pasqua è un periodo di gioia, non di dolore. Guarda il tuo Amico resuscitato e celebra la sua santità con me. Perché la Pasqua è il momento della tua salvezza insieme alla mia.
(T-20.I.4:2-7)
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Nell’ultimo mese ho dedicato questi spunti all’applicazione pratica del processo del perdono, di cui sto esponendo i principi teorici da molti anni. Per farlo mi sono riferita all’emergenza Covid-19 che sta coinvolgendo tutto il mondo, cercando di dimostrare praticamente come tutto può divenire un’opportunità per perdonare. Chi desidera rileggere gli articoli dedicati a questo argomento, può cliccare qui.
E’ tempo ora di riprendere l’argomento che avevo iniziato a trattare proprio allo scoppio della pandemia nel nostro paese: l’estensione (per rileggere lo spunto relativo cliccare qui). Partirò dalla definizione contenuta nel Glossary- Index di Kenneth Wapnick parzialmente tradotto sul sito. (per accedervi cliccare qui)
estensione
conoscenza: il processo continuo della creazione, in cui lo spirito estende se stesso: Dio che crea Cristo; dal momento che il Cielo è al di là del tempo e dello spazio, l’«estensione» non può essere compresa come processo temporale o spaziale.
vera percezione: estensione della visione dello Spirito Santo o di Cristo sotto forma di perdono o pace; l’uso che lo Spirito Santo fa della legge della mente, in contrasto con la proiezione dell’ego; siccome le idee non lasciano la loro fonte, ciò che viene esteso resta nella mente, dove viene riflesso nel mondo dell’illusione.
Dunque la parola estensione nel Corso può riferirsi sia alla conoscenza che alla vera percezione, in altri termini può essere utilizzata e compresa sia nel linguaggio di primo che di secondo livello. Per prima cosa è meglio ripassare insieme i due livelli. E’ un argomento che ho già accennato in alcuni spunti degli anni passati (per rileggere gli spunti relativi, consultare l’indice cliccando qui).
Il primo livello si riferisce al rapporto tra la realtà dell’Uno e l’irrealtà del non-Uno (che comprende sia il duale che il molteplice). L’Uno c’è ed è reale, il non-Uno non c’è e non è reale. Ne consegue che secondo il Corso tutta la nostra esperienza quotidiana non c’è, è puramente illusoria. Questa impostazione è la premessa su cui si fonda il Corso nella sua interezza, ma è estremamente astratta e non può esserci di alcun aiuto nel quotidiano, perché troppo lontana dalla nostra esperienza basata invece su una miriade di eventi che sembrano effettivamente avvenire e succedersi in sequenza temporale. Di conseguenza il Corso prende in considerazione anche tale esperienza quotidiana suddividendola – sulla base della dicotomia del primo livello - in due categorie percettive: la percezione sbagliata e quella corretta. E’ a questo secondo livello che dobbiamo imparare a riferirci quando pratichiamo il processo del perdono, perché è a questo livello che facciamo esperienza di noi stessi e degli altri. Il lettore che desiderasse approfondire quest’argomento potrebbe leggere il capitolo 5 del mio libro, dedicato proprio ai due livelli di scrittura del Corso (cliccare qui per informazioni).
Nelle pagine del Corso I due livelli di scrittura e comprensione sono mescolati, per cui un lettore non sufficientemente informato o attento potrebbe facilmente confonderli. Così possiamo trovare una frase di primo livello seguita da una frase di secondo livello e poi ancora da una frase di primo livello. E a volte una stessa frase può contenere i due livelli insieme. Per fare un esempio, il paragrafo 1 della VI sezione del capitolo 5 del Testo alterna frasi di primo e frasi di secondo livello, e in particolare la frase 3 li contiene entrambi: “Il ritardo non ha importanza nell’eternità, ma è tragico nel tempo”(T-5.VI.1:3). Il ritardo non ha importanza nell’eternità, perché non è reale (primo livello), ma nella nostra esperienza quotidiana diviene tragico quando lo percepiamo in modo sbagliato, perché l’ego usa il tempo per mantenerci in una condizione di dolore e morte (secondo livello).
Solitamente nei due livelli il Corso utilizza parole molto diverse (per esempio eternità si riferisce solo al primo livello, e così pure Mente Una o Cristo; mentre ego, Espiazione, tempo si riferiscono solo al secondo livello). Altre volte no. Una stessa parola può riferirsi sia al primo che al secondo livello. E’ proprio il caso della parola estensione.
Vediamone dunque il significato nei due livelli, ritornando alla definizione del Glossary riportata all’inizio di questo spunto.
Nella conoscenza, il livello astratto di cui non facciamo mai esperienza in questa dimensione mentale illusoria, l’estensione è sinonimo di creazione. Quindi secondo il Corso Dio crea estendendo Se stesso. Ma dato che nell’Uno non esistono né il tempo né lo spazio (che per definizione implicherebbero punti o momenti differenziati incompatibili con l’Uno) questa estensione non è né spaziale né temporale. E allora che cos’è? E’ difficile capirlo, perché per noi l’estensione implica sempre uno spostamento di luogo o di tempo (pensiamo per esempio a un elastico). E il Corso ci conferma che è proprio così: nel nostro attuale stato di illusione non possiamo comprenderlo ma solo postularlo, anche se al nostro risveglio ci sarà possibile conoscerlo.
Noi diciamo “Dio è”, e poi smettiamo di parlare, perché in quella conoscenza le parole sono prive di significato. Non vi sono labbra per pronunciarle, né parte della mente sufficientemente distinta da sentire che è ora consapevole di qualche cosa che non sia se stessa. … Non possiamo assolutamente parlare né scrivere e neppure pensare a tutto ciò.
(L-pI.169.5:4-5, 6:1)
Questo, per quanto riguarda la conoscenza. Nella vera percezione invece l’estensione si trova nella mente corretta, e rappresenta l’uso che lo Spirito Santo fa della legge della mente: quando perdoniamo, lo stato di pace presente nella nostra mente viene esteso a tutto ciò che la mente percepisce.
E nella percezione sbagliata? Beh… nella percezione sbagliata l’estensione non c’è. C’è solo la proiezione. Ma per questa settimana c’è già abbastanza materiale su cui riflettere. Riprenderò quest’argomento nei prossimi spunti.
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La scorsa settimana (per rileggere lo spunto cliccare qui) abbiamo visto che la parola estensione viene usata nel Corso sia per definire la creazione (I livello) che per definire l’uso che lo Spirito Santo fa della legge della mente (II livello), un uso di cui noi facciamo esperienza ogni volta che perdoniamo. Infatti perdonando accediamo per definizione alla percezione corretta e questo ci permette di estenderla a qualsiasi cosa o persona ci possa venire in mente.
Abbiamo anche visto che nella percezione sbagliata l’estensione non è possibile, perché - quando sceglie l’errore - la mente può solo proiettare.
Cerchiamo di comprendere meglio questa teoria, partendo dalla legge della mente. Che cos’è?
Abbiamo detto che senza proiezione non può esserci rabbia, ma è anche vero che senza estensione non può esserci amore. Queste riflettono una legge fondamentale della mente e perciò una legge che funziona sempre. E’ la legge con la quale crei e sei stato creato. E’ la legge che unifica il Regno e lo mantiene nella Mente di Dio.
(T-7.VIII.1:1-4)
La legge fondamentale della mente è la legge della Creazione o estensione, con la quale il nostro vero Sé è stato creato. Questa legge fondamentale appartiene dunque al primo livello, il livello dell’Uno o del Regno di Dio. Tuttavia viene riflessa anche all’interno dell’illusione, cioè nel nostro attuale stato mentale. Se nel primo livello essa attiene al concetto di infinito e di eternità, nel secondo livello - cioè nell’illusione in cui crediamo di esistere - essa viene riflessa in due dinamiche contrapposte. Perché l’illusione è suddivisa in due grandi categorie percettive: l’illusione sbagliata e quella corretta. Continuando a leggere, possiamo vedere come appare la legge della mente in queste due categorie.
Per l’ego la legge è percepita come mezzo per liberarsi di qualcosa che non vuole. …. Per lo Spirito Santo è la legge dell’estensione….. Questa scelta dipende da te, ma non dipende da te decidere se utilizzerai la legge oppure no. Ogni mente deve proiettare o estendere, perché è così che vive, ed ogni mente è vita.
(T-7.VIII.1:5,7,10-11)
Insomma: la legge appartiene alla mente, e non dipende da noi metterla in moto o meno. Per il semplice fatto di essere mente, noi vi siamo soggetti e non possiamo evitarla. Tuttavia possiamo scegliere come usarla: se per proiettare o per estendere. E questo dipende da quale insegnante – o scopo - decidiamo di seguire. Se seguiamo l’insegnamento dell’ego, e quindi crediamo nella presunta realtà della separazione, allora proietteremo. Anzi, non potremo fare a meno di proiettare. Se scegliamo il perdono, e quindi adottiamo la correzione dello Spirito Santo, allora estenderemo. Anzi non potremo fare a meno di estendere.
La nostra scelta non consiste dunque nel proiettare o nell’estendere, ma in quale insegnante vogliamo seguire. Da tale scelta dipenderà automaticamente il modo il cui la basilare legge della mente verrà messa in moto.
Per quanto riguarda la proiezione abbiamo visto a lungo come la scelta di credere vera la minuscola folle idea implica il dover proiettare all’esterno la colpa ad essa collegata (per rileggere gli spunti relativi cliccare qui), ma dobbiamo ancora comprendere bene come funziona la legge dell’estensione.
Lo vedremo nei prossimi spunti.
Prima di concludere tuttavia permettetemi di notare – proprio nella descrizione che fa della legge della mente - il modo magistrale in cui il Corso collega i suoi due livelli di scrittura e comprensione. Non potremmo comprendere il significato che il Corso conferisce alle parole proiezione ed estensione (II livello) se non comprendessimo che sono due riflessi (uno sbagliato e uno corretto) del principio dell’estensione di primo livello. Estensione e proiezione, in altri termini, sono il modo illusorio in cui la legge della mente di primo livello (l’estensione) opera nell’illusione.
Questo concetto è riassunto nella seguente frase:
L’estensione della verità, che è la legge del Regno, si basa solo sulla conoscenza di cos’è la verità
(T-7.II.5:6)
Per rivedere i due livelli di comprensione della parola estensione è possibile consultare l’indice di questi spunti . (cliccare qui)
-392-
Ho detto in precedenza che dipende da te cosa proietti o estendi, ma devi fare o l’uno o l’altro, perché questa è una legge della mente, e devi guardare dentro prima di guardare fuori.
(T-12.VII.7:1)
Rimaniamo anche questa settimana sul principio dell’estensione, che il Corso definisce “legge della mente”, come abbiamo visto nello spunto della scorsa settimana (per rileggerlo cliccare qui).
E’ una legge di primo livello, ossia fa parte del Regno, la Mente Una. Questa Mente per definizione si estende perché è infinita, illimitata. Il Suo estendersi è la creazione. Ma il Corso precisa che è un estendersi non spaziale né temporale perché spazio e tempo non esistono nell’Uno, essendo molteplici e pertanto totalmente illusori. Quindi l’idea dell’estensione di primo livello non è comprensibile a menti - come le nostre - che non conoscono più l’Uno, ma fanno esperienza dell’illusione molteplice.
Tuttavia questa legge attiene al funzionamento della mente, alla sua vita, quindi non può essere alienata. In sostanza ne faremo esperienza anche nella dimensione illusoria nella quale siamo precipitati, anche se in modo diverso. Quindi in questa illusione la legge della mente apparirà in due modi: come proiezione, che è una dinamica della mente sbagliata, e come estensione, che invece è una dinamica della mente corretta. In altri termini la credenza nella separazione trasforma l’estensione del Regno in proiezione mentre il perdono trasforma la proiezione in estensione.
Non è possibile non adottare una delle due modalità, perché è in questo modo che la mente funziona: estendendo o proiettando. E che cosa viene esteso o proiettato? Come spiega la citazione odierna, quanto è stato precedentemente “visto dentro”. In altri termini prima “guardiamo dentro”, ossia scegliamo il nostro insegnante interiore, o- per dirla ancora più chiaramente- decidiamo che la separazione è vera o decidiamo di metterla in discussione. E poi “guardiamo fuori”, ossia vediamo la manifestazione di quello che abbiamo scelto dentro. Se avremo scelto l’ego, allora lo proietteremo all’esterno vedendolo nel mondo e credendoci circondati da testimonianze dell’ego. Se avremo scelto lo Spirito Santo, allora Lo estenderemo all’esterno vedendoLo nel mondo e credendoci circondati da testimonianze dello Spirito Santo.
Quando il Corso sostiene che il mondo non c’è, intende esattamente questo: il mondo che vediamo all’esterno non è altro se non il risultato del meccanismo di proiezione o estensione, grazie al quale vediamo fuori ciò che abbiamo prima scelto di vedere dentro. E qui interviene il grande potere del perdono. Attraverso di esso possiamo mettere in discussione la presunta separazione da Dio che credevamo fosse reale. E possiamo anche vedere - al suo posto - la manifestazione di tale correzione, nel mondo “là fuori”. Il primo passo ci insegna a “guardare dentro” invece che “fuori” per trovare la causa del nostro dolore, e il secondo passo ci insegna a chiedere aiuto allo Spirito Santo “dentro” per lasciare andare questa causa. Avendo fatto questo lavoro “dentro” vedremo “fuori” delle immagini mutate, cioè vedremo che le nostre percezioni avranno preso una forma diversa, più pacifica e amorevole. Estenderemo la pace invece di proiettare la separazione e la colpa. E queste immagini amorevoli ci sembreranno assolutamente reali, proprio come prima ci sembravano del tutto reali le nostre proiezioni. Faremo esperienza del fatto che le nostre immagini sono state miracolosamente sostituite.
Il perdono ci permette di passare dalla proiezione all’estensione, e il terzo passo del perdono ci permette di farne esperienza pratica.
………… tu non sei intrappolato nel mondo che vedi, poiché se ne può cambiare la causa. Questo cambiamento richiede che la causa venga prima identificata e poi lasciata andare, in modo che possa essere sostituita. I primi due passi di questo procedimento richiedono la tua collaborazione. Quello finale no. Le tue immagini sono già state sostituite. Facendo i primi due passi vedrai che è così.
(L-pI.23.5)
-393-
Abbiamo detto che senza proiezione non può esserci rabbia, ma è anche vero che senza estensione non può esserci amore. Queste riflettono una legge fondamentale della mente e perciò una legge che funziona sempre. E’ la legge con la quale crei e sei stato creato. E’ la legge che unifica il Regno e lo mantiene nella Mente di Dio. Per l’ego la legge è percepita come un mezzo per liberarsi di qualcosa che non vuole. Per lo Spirito Santo è la legge fondamentale della condivisione, con la quale tu dai ciò a cui dai valore per tenerlo nella tua mente. Per lo Spirito Santo è la legge dell’estensione. Per l’ego è la legge della privazione. Essa, perciò, produce abbondanza o scarsità, a seconda di come scegli di applicarla. Questa scelta dipende da te, ma non dipende da te decidere se utilizzerai la legge oppure no. Ogni mente deve proiettare o estendere, perché è così che vive, ed ogni mente è vita.
(T-7.VIII.1)
La legge fondamentale della mente- quell’estensione del Pensiero di Dio in base alla quale siamo stati creati- funziona anche nel mondo dell’illusione, ma il suo funzionamento è diverso a seconda che sia l’ego a spadroneggiare nella mente o sia lo Spirito Santo a illuminarla. Se abbiamo dato la nostra mente all’ego, ossia alla credenza nella separazione da Dio, allora sperimenteremo un doloroso senso di colpa e non potremo fare a meno di proiettare tale colpa all’esterno, nel tentativo di liberarci di qualcosa che non vogliamo. La colpa che avevamo visto e reso reale dentro di noi sarà percepita fuori. E credendo reali le nostre proiezioni ci sperimenteremo circondati da nemici da cui rifuggire, o con cui tentare di instaurare delle contrattazioni sacrificali allo scopo di trasformarli da nemici in alleati. Dato che è una proiezione che parte dalla separazione, ossia dalla scarsità, tale percezione produrrà scarsità, cioè senso di solitudine e abbandono. Non ci renderemo conto di aver fatto tutto da soli, e ci sentiremo perseguitati da un destino crudele. Questa è la dinamica della proiezione come viene spiegata nel Corso.
Se invece scegliamo di dare la nostra mente allo Spirito Santo, ossia all’Espiazione - la correzione dell’idea di separazione da Dio - allora la pace che si diffonderà nella nostra mente non potrà non essere estesa a tutto ciò che vediamo. Proprio come prima ci vedevamo perseguitati da nemici, ora ci percepiremo circondati da persone amorevoli o da fratelli che chiedono aiuto, le due varianti del giudizio dello Spirito Santo (T-12.I.3:3-4). L’abbondanza che avevamo visto dentro verrà estesa all’esterno e avremo la visione che trascende la percezione fisica, grazie alla quale saremo in grado di percepire, e quindi sperimentare, la profonda unione che ci lega gli uni agli altri.
Lo Spirito Santo estende e l’ego proietta. Siccome i loro obiettivi sono opposti, anche il risultato lo è.
(T-6.II.4:3-4)
L’estensione non dipende da noi. E’ il lavoro dello Spirito Santo. A noi spetta solo il compito di sceglierLo.
Ed è proprio questo che facciamo con i 3 passi del perdono.
Partiamo da una qualche esperienza dolorosa di cui ci sentiamo vittime, che ci fa arrabbiare, che sembra toglierci la pace. Con il primo passo ce ne assumiamo la responsabilità, vedendo che la causa del nostro dolore non è la cosa in sé, ma l’interpretazione che ne diamo; e sentendo profondamente che questa interpretazione è basata su una nostra antica malattia, la separazione da Dio. Con il secondo passo scegliamo di chiedere aiuto allo Spirito Santo per lasciar andare la credenza nella separazione. E a questo punto la proiezione svanisce. Ma dato che dobbiamo proiettare o estendere, perché è così che la mente funziona, la proiezione viene automaticamente sostituita dall’estensione, che ci permette di vedere all’esterno la scelta che abbiamo compiuto all’interno.
E’ questo il momento in cui faremo esperienza di un risultato miracoloso: vedremo all’esterno le immagini mutate. Eppure non avremo fatto nulla all’esterno: avremo solo cambiato la percezione interna.
Perché il mondo esterno non è altro che il testimone del nostro stato mentale, l’immagine esterna di una condizione interna (T-21.in.1:5). E l’urgenza a cercare di cambiare in prima istanza il mondo esterno non è che il tentativo dell’ego di indurci a non attuare alcun cambiamento sostanziale.
Quindi non cercare di cambiare il mondo, ma scegli di cambiare la tua mente riguardo al mondo
(T-21. In.1:7)
-394-
I pensieri cominciano nella mente di colui che pensa, dalla quale si protendono all’esterno. Questo è vero per il Pensiero di Dio come lo è per il tuo. Siccome la tua mente è separata, puoi percepire oltre che pensare. Tuttavia la percezione non può sfuggire alle leggi basilari della mente. Percepisci dalla tua mente e proietti le tue percezioni all’esterno. Nonostante qualsiasi tipo di percezione sia irreale, l’hai fatta tu e lo Spirito Santo può quindi usarla bene. Egli può ispirare la percezione e guidarla verso Dio.
(T-6.II.9:1-7)
Nel primo livello - è a questo che si riferiscono le prime frasi sopra citate - il Pensiero di Dio si protende all’esterno. Questo è il pensare. Nel livello della separazione, o secondo livello, i pensieri obbediscono alla medesima legge, ma in questo caso la mente non penserà ma percepirà. Questo perché secondo il Corso il pensare si riferisce alla conoscenza dell’Uno, mentre il percepire implica l’esperienza del due. La Mente Una pensa, mentre la mente separata percepisce. Dunque nel secondo livello, nello stato mentale duale che rappresenta la nostra esperienza quotidiana, la mente percepisce e non pensa. Inoltre abbiamo visto più volte che esistono due modi di percepire: uno sbagliato e uno corretto. Il primo è guidato dall’ego - che per il Corso simboleggia la credenza nella separazione - mentre il secondo è ispirato dallo Spirito Santo, che per il Corso simboleggia la correzione di tale credenza alla luce dell’unione. In altri termini lo Spirito Santo può utilizzare la proiezione - fatta dall’ego - e ispirarla in modo da indirizzarla a Dio.
Come fa lo Spirito Santo a ispirare la percezione? Trasformandola in estensione. La proiezione implica la separazione, ossia il prendere qualcosa presente in sé e vederlo all’esterno di sé come se non ci fosse soluzione di continuità tra il proprio sé e il sé percepito come esterno. L’estensione invece esclude la separazione, essendo il prolungamento di qualcosa presente in sé fino a includere qualcosa o qualcuno che è sperimentato come esterno a sé.
Possiamo anche visualizzare queste due dinamiche nel seguente modo: nel caso della proiezione possiamo immaginare un proiettile che parte da noi e va a colpire un oggetto esterno. A questo punto cambia l’appartenenza del proiettile, perché non saremo più noi a possederlo, ma l’oggetto esterno che ne è stato colpito. Nel caso dell’estensione invece possiamo immaginare un elastico che si estende da una mano a un’altra. Pur essendosi proteso dalla prima mano alla seconda, continuerà a rimanere anche nella prima. In altri termini entrambe le mani possiederanno l’elastico.
La differenza tra la proiezione dell’ego e l’estensione dello Spirito Santo è molto semplice. L’ego proietta per escludere e quindi per ingannare. Lo Spirito Santo estende riconoscendo Se stesso in ogni mente, e quindi le percepisce come una sola.
(T-6.II.12:1-3)
Dato che l’ego è l’artefice della proiezione, essa riguarderà essenzialmente la colpa, che è l’emozione che all’ego sta più a cuore. Grazie alla proiezione la colpa viene letteralmente proiettata da un sé ad un altro sé. In questo modo il primo sé si percepirà immune da essa, e quindi si sperimenterà come innocente, mentre il secondo sé verrà percepito come se fosse il nuovo proprietario, e quindi sarà automaticamente sperimentato come colpevole. Dato che vede i due sé come se fossero separati, l’ego potrà quindi percepirli diversi: nella sua percezione uno sarà diventato innocente e l’altro colpevole.
Ma è proprio così? L’idea della colpa ha effettivamente abbandonato il sé che ha attuato la proiezione, ed è effettivamente diventata proprietà del secondo sé, su cui la colpa è stata proiettata? In altri termini l’idea della colpa ha abbandonato la sua fonte, ossia il sé che l’ha proiettata all’esterno?
Il Corso dice di no. E’ quanto cercheremo di comprendere meglio nelle prossime settimane.
-395-
Ciò che proietti lo ripudi, e quindi non credi che sia tuo. Stai escludendo te stesso col fatto stesso che giudichi di essere differente da colui sul quale proietti. Siccome hai anche giudicato contro ciò che proietti, continui ad attaccarlo perché continui a mantenerlo separato. Facendolo inconsciamente, cerchi di mantenere fuori dalla tua consapevolezza il fatto che hai attaccato te stesso, e così immagini di esserti messo al sicuro.
(T-6.II.2)
La scorsa settimana abbiamo visto la differenza fra la proiezione e l’estensione utilizzando due immagini: quella di un proiettile e quella di un elastico. (per rileggere lo spunto, cliccare qui). La citazione odierna descrive la componente autodistruttiva della proiezione. Cercando di liberarci di ciò che ripudiamo - la colpa - la proiettiamo su un sé esterno a noi. Così facendo crediamo di averlo reso colpevole. Ci illudiamo in questo modo di essere diversi dal sé su cui abbiamo attuato la proiezione, perché credendo di esserci liberati dalla colpa ci consideriamo a questo punto innocenti. E avremo bisogno di continuare ad attaccare il sé esterno per mantenere tale illusione. Questa dinamica – per inciso - spiega bene la nostra incapacità di smettere di attaccare gli altri, anche quando crediamo di non volerlo più fare. In realtà vogliamo ancora attaccare, perché se smettessimo di farlo dovremo accollarci nuovamente proprio quella colpa (legata alla minuscola folle idea di separazione da Dio - T-27.VIII.6:2) che grava così pesantemente nella nostra mente. Tutto questo viene fatto inconsciamente, cioè dimentichiamo di aver attuato la proiezione subito dopo averla fatta. E a questo punto non ci accorgeremo più di aver proiettato, ma crederemo reali le nostre proiezioni, oggettive le colpe altrui, e giustificata la nostra rabbia. Ma quello che l’ego non ci dirà mai è che avremo soltanto attaccato noi stessi, perché le difese fanno ciò da cui vogliono difendere (T-17.IV.7:1). In altri termini la proiezione e la negazione (cioè le difese) rinforzeranno in noi proprio quella colpa di cui credevamo di esserci liberati. E a causa della negazione potremmo non riuscire a capire perché- a fronte delle colpe altrui- proprio noi dobbiamo sentirci in colpa. L’ego sarà riuscito a generare nella nostra mente quello stato di confusione che è una delle sue prerogative vincenti.
(L’ego) è esperto solo in confusione.
(T-8.II.1:6)
Tuttavia, e al di là della sua confusione cronica, perché l’ego attua una strategia così distruttiva e inclemente nei nostri confronti? Perché, se ha così bisogno di noi? In fin dei conti utilizza proprio il potere della nostra mente per mantenere l’illusione della sua esistenza. Non gli converrebbe un atteggiamento meno aggressivo e volto a nostro favore?
Il perché di tale contraddizione viene spiegato chiaramente nel libro degli esercizi:
L’ego è folle
(L-pII.12.2:1)
E nella sua follia attacca proprio la mente che gli permette di esistere:
L’ingegnosità dell’ego per preservarsi è enorme, ma proviene dal potere stesso della mente che l’ego nega. Questo significa che l’ego attacca ciò che lo preserva, il che deve avere come risultato un’ansia estrema.
(T-7.VI.3:1-2)
In altri termini l’ego non può non attaccare la mente, e questo genera in noi un’ansia estrema che l’ego cerca di lenire attraverso il meccanismo della negazione, ossia facendoci credere di averci realmente aiutato a liberarci dalla colpa.
Abbiamo già detto che l’ego cerca di mantenere e accrescere la colpa, ma in un modo tale che tu non riconosca ciò che vuole farti. Perché la dottrina fondamentale dell’ego è che sei sfuggito da ciò che fai agli altri. L’ego non vuol bene a nessuno. Tuttavia la sua sopravvivenza dipende dal fatto che credi di essere esente dalle sue intenzioni malvagie. Il suo consiglio, quindi, è che se lo ospiti ti metterà in grado di dirigere la sua rabbia all’esterno e così sarai protetto. E così si imbarca in una catena infinita e insoddisfacente di relazioni speciali, forgiate dalla rabbia e dedite a un’unica folle credenza che più rabbia investi al di fuori di te, più sarai al sicuro.
(T-15.VII.4)
L’accorato appello contenuto nella terza frase di quest’ultima citazione dovrebbe metterci in guardia contro le presunte buone intenzioni dell’ego:
“L’ego non vuol bene a nessuno” ci avverte il Corso. Un po’ come se dicesse: “Apri gli occhi! Consigliandoti di attaccare qualcuno per liberarti della tua colpa, l’ego non fa i tuoi interessi! Non ti sta dando un consiglio amichevole. In quanto simbolo della separazione e dell’attacco (T-11.V.4:6) non conosce l’amore e non è capace di volere il bene!”
Forse è arrivato il momento di smettere di dargli retta, non pensate?
-396-
Ciò che proietti lo ripudi, e quindi non credi che sia tuo. Stai escludendo te stesso col fatto stesso che giudichi di essere differente da colui sul quale proietti. Siccome hai anche giudicato contro ciò che proietti, continui ad attaccarlo perché continui a mantenerlo separato. Facendolo inconsciamente, cerchi di mantenere fuori dalla tua consapevolezza il fatto che hai attaccato te stesso, e così immagini di esserti messo al sicuro.
(T-6.II.2)
La scorsa settimana abbiamo visto che l’ego ci induce ad attaccare gli altri per liberarci dalla colpa che proviene dalla presunta separazione da Dio, la cosiddetta minuscola folle idea (T-27.VIII.6:2). E abbiamo anche visto che questa proiezione risponde a un piano preciso dell’ego per aumentare la colpa dentro la nostra mente, piano di cui l’ego cancella totalmente la consapevolezza in noi attraverso la dinamica della negazione. (per rileggere lo spunto cliccare qui) Tutto questo è alquanto distruttivo. Ma non basta, leggiamo ancora:
L’ego usa la proiezione solo per distruggere la tua percezione sia di te stesso che dei tuoi fratelli. Il processo inizia con l’escludere qualcosa che esiste in te ma che non vuoi, e porta direttamente all’escluderti dai tuoi fratelli.
(T-6.II.3:7-8)
In sostanza questa brillante dinamica dell’ego produrrà un altro effetto devastante: un senso di solitudine determinato da un isolamento che avremo generato da soli, ma di cui attribuiremo la responsabilità agli altri, perché – avendola negata- non ci renderemo più conto di esserne gli artefici. In questo quadro delirante il Corso ci propone un’alternativa: quell’alternativa alla proiezione che dà il titolo alla sezione da cui sono tratte le citazioni che studiamo oggi.
Abbiamo imparato, tuttavia, che c’è un’alternativa alla proiezione. Ogni capacità dell’ego ha un uso migliore, perché le sue capacità sono dirette dalla mente, che ha un Voce migliore. Lo Spirito Santo estende e l’ego proietta. Siccome i loro obiettivi sono opposti, anche il risultato lo è.
(T-6.II.4)
La proiezione è una capacità della mente, che l’ego usa arbitrariamente perché si impossessa della mente proprio come l’edera si abbarbica ad una quercia per potersi sostenere. Tuttavia la mente è libera, e può scegliere di farsi guidare da una Voce migliore, quella dello Spirito Santo. A questo punto le sue capacità verranno usate in modo diametralmente opposto, e anche le conseguenze di questo utilizzo saranno diametralmente opposte.
Lo Spirito Santo comincia col percepirti perfetto. Sapendo che questa percezione è condivisa, Egli la riconosce negli altri, rafforzandola così in entrambi. Invece della rabbia, suscita amore per entrambi, perché stabilisce l’inclusione.
(T-6.II.5:1-2)
Ecco come si sviluppa l’alternativa alla proiezione, cioè l’estensione: inizia con una percezione radicalmente diversa del sé. Mentre la proiezione iniziava con la colpa (che doveva appunto essere proiettata all’esterno), l’estensione parte dal riconoscimento che la mente è perfetta, in quanto non si è mai separata da Dio. Parte in sostanza dall’Espiazione. Tale perfezione esclude qualsiasi colpa e quindi qualsiasi separazione o esclusione degli altri sé, e quindi viene condivisa da tutti i sé. Tutto questo suscita inclusione e amore, mentre la proiezione suscitava esclusione, isolamento e rabbia. In conclusione:
La differenza tra la proiezione dell’ego e l’estensione dello Spirito Santo è molto semplice. L’ego proietta per escludere e quindi per ingannare. Lo Spirito Santo estende riconoscendo Se stesso in ogni mente, e quindi la percepisce come una sola.
(T-6.II.12:1-3)
-397-
La differenza tra la proiezione dell’ego e l’estensione dello Spirito Santo è molto semplice. L’ego proietta per escludere e quindi per ingannare.
(T-6.II.12:1-2)
L’ego usa la proiezione solo per distruggere la tua percezione sia di te stesso che dei tuoi fratelli. Il processo inizia con l’escludere qualcosa che esiste in te ma che non vuoi, e porta direttamente all’escluderti dai tuoi fratelli. .
(T-6.II.3:7-8)
Negli ultimi spunti ci siamo concentrati sulla differenza tra la proiezione e l’estensione, leggendo vari passaggi della II sezione del capitolo 6 (per rileggere i commenti relativi, cliccare qui). Abbiamo visto che l’ego parte dall’idea di separazione, che genera colpa. E’ utile ricordare che l’ego non può esistere senza la separazione, in quanto ne è il simbolo (T-11.V.4:6). Di conseguenza comprende di dover escogitare un modo per lenire il dolore della colpa senza mettere seriamente in discussione la separazione, altrimenti la mente - sopraffatta dall’angoscia - decide di liberarsi dell’ego stesso. Per mantenere la separazione senza sperimentare colpa l’ego propone allora alla mente di proiettarla su qualcosa o qualcuno esterno alla mente stessa. In sostanza, e come spiega la prima delle due citazioni, l’ego proietta per escludere da sé la colpa. Ma è un inganno, perché la colpa non viene affatto eliminata dalla mente. Non scompare dal sé che – guidato dall’ego- ha attuato la proiezione. Quella che scompare è la percezione della colpa, non la colpa stessa. In altri termini la colpa viene soltanto negata o repressa o resa inconscia. Ma continua a sussistere nella mente che continuerà incessantemente a cercare di liberarsene, attaccando senza tregua tutto e tutti. E questo provoca una conseguenza veramente nefasta: escludere sempre di più i fratelli, cioè le persone che vengono percepite come colpevoli. Potrà essere un allontanamento fisico o anche solo un giudizio o una percezione di differenza che ci farà provare rifiuto nei confronti degli altri o disagio in loro presenza. Indipendentemente dalla forma dell’esclusione, il sé si sperimenterà allora come solo e abbandonato, e non si renderà conto di essere stato l’artefice di tutto il processo. Penserà di esserne vittima. L’ego sarà riuscito a portare a compimento una delle sue più brillanti strategie: dall’esclusione della colpa sarà arrivato all’esclusione del sé dagli altri. E questa esclusione genererà altra colpa che dovrà essere ulteriormente proiettata. E la nuova proiezione genererà nuova esclusione degli altri.
La proiezione di colpa – un vero e proprio attacco - verrà percepita come un’autodifesa che genererà il bisogno di attaccare ancora. La separazione sarà stata rafforzata. Il circolo vizioso sarà stato innescato e produrrà nella mente danni costanti finché non verrà interrotto.
La mente è ora confusa e non sa dove girarsi per trovare una via di fuga dalle sue fantasie. E’ come se la tenesse stretta un cerchio, all’interno del quale un altro cerchio la incatenasse e un altro cerchio ancora all’interno di questo, finché non è più possibile riuscire a fuggire, né sperare di poterlo fare. Attacco, difesa; difesa, attacco diventano i circoli viziosi delle ore e dei giorni che incatenano la mente con pesanti fasce di ferro rivestite d’acciaio, che ritornano solo per incominciare di nuovo. Non sembra esservi alcuna pausa, né termine nella morsa sempre più attanagliante dell’imprigionamento della mente.
(L-pI.153.2:6-3:3)
Ma la via d’uscita c’è, e consiste nel rendersi conto che le cose stanno molto diversamente da come l’ego ci fa vedere. La causa di questo disastro sta proprio dentro la nostra mente. E’ da lì che parte la colpa, ed è lì che questa colpa deve essere disfatta.
Adesso ti viene mostrato che puoi sfuggire. Tutto ciò di cui c’è bisogno è che tu veda il problema per quello che è, non per come lo hai impostato tu.
(T-27.VII.2:1-2)
Perché l’idea della colpa – nonostante l’allucinazione indotta dall’ego con la proiezione- non ha lasciato la mente che l’ha generata. Le idee non lasciano la loro fonte.
Ripasseremo nei prossimi spunti questo importante principio, uno dei più importanti del Corso, relativo al funzionamento della mente.
-398-
Le idee non lasciano la loro fonte e sembra solamente che i loro effetti siano separati da esse. Le idee appartengono alla mente. Ciò che è proiettato al di fuori e sembra essere esterno alla mente, non è affatto al di fuori, ma è un effetto di ciò che è dentro e non ha lasciato la sua fonte.
(T.26.VII.4:7-9)
Negli ultimi spunti ho citato più volte un’importante frase del Corso: le idee non lasciano la loro fonte. E’ un argomento che ho già trattato ripetutamente in questi spunti, a causa della sua centralità nella teoria proposta dal Corso. (Per rileggere gli spunti relativi, consultarne l’indice alla voce le idee non lasciano la loro fonte, cliccando qui). Vorrei riprenderlo ancora una volta per inserirlo nella trattazione dell’argomento che porto avanti da qualche mese: l’estensione.
Abbiamo visto nello spunto 390 che la parola estensione può riferirsi sia al primo livello di scrittura e comprensione del Corso che al secondo livello. Nel primo livello il significato di estensione è creazione. Nel secondo livello l’estensione è l’uso che lo Spirito Santo fa della legge della mente, in contrasto con la proiezione dell’ego. Ma cos’è la legge della mente? Abbiamo visto anche questo. La legge della mente è che i pensieri cominciano dalla mente di chi li pensa, e da lì si protendono all’esterno (T-6.II.9:1).
Mettendo tutto insieme possiamo dire che la mente, per sua stessa natura, si estende. Non può non farlo. L’estensione è una sua legge intrinseca. E questo si applica sia alla mente Una che alla mente separata. Ma nella mente separata -e quindi dualistica- questa estensione appare in due forme diverse, diametralmente opposte: sotto forma di proiezione e sotto forma di estensione. Abbiamo anche visto chiaramente la differenza fra queste due forme (spunti 392 -397, per rileggerli cliccare qui): la proiezione serve a escludere qualcosa che si rifiuta in modo da vederlo come se fosse al di fuori di sé, mentre l’estensione serve ad includere qualcosa che si ama per sentirsi in comunione con esso. La proiezione è basata sull’illusione della separazione, mentre l’estensione è basata sulla premessa dell’unione.
Ora possiamo aggiungere un ultimo punto: se le idee non lasciano la loro fonte, e ciò che è proiettato all’esterno (la colpa) non è affatto al di fuori ma è rimasto dentro la sua fonte (la mente), allora la proiezione è soltanto un effetto allucinatorio indotto, un espediente che l’ego elabora per ingannarci, facendoci credere che le idee lascino la loro fonte e divengano realtà. Per dirla ancora in modo diverso, l’ego si appropria di una legge ineludibile della mente e la trasforma in uno strumento a suo vantaggio allo scopo di rendere reale la separazione. Ciò che si trova dentro la mente viene adesso sperimentato come se fosse al di fuori di essa, come se avesse una sua realtà oggettiva, come qualcosa da cui doversi difendere separandosi il più possibile da esso. La colpa, respinta dalla mente, diviene una cosa, un fatto, una persona da ripudiare e allontanare da noi. E adesso che sembra essere divenuta una realtà oggettiva non potrà più essere evitata se non separandosi dalle apparenti realtà oggettive di cose e persone. Ma abbiamo anche visto che la separazione induce colpa, e quindi il meccanismo della proiezione diviene un’arma a doppio taglio che incastra sempre di più la mente, impedendole di trovare una via d’uscita.
E’ un’esperienza angosciosa molto comune e condivisa, e genera la sensazione di non poter uscire da un qualche “destino” che ci perseguita e che non riusciamo ad evitare e a volte nemmeno a identificare. Il Corso ci offre una speranza. Ci illustra chiaramente il meccanismo, chiedendoci di osservarlo dentro la nostra mente. Solo vedendolo in noi possiamo prenderne coscienza e passare dalla teoria alla pratica, dallo studio di un testo più o meno affascinante alla sperimentazione quotidiana dell’uscita da un meccanismo perverso.
Solo osservando attentamente il nostro stato mentale quando attuiamo una proiezione (cioè quando accusiamo qualcuno o qualcosa) possiamo vedere che la colpa proiettata all’esterno è rimasta dentro la nostra mente e non ha lasciato la fonte che l’ha generata, nonostante l’ego sostenga esattamente il contrario. Questo è il primo passo del perdono. A questo punto possiamo decidere se vogliamo mantenere o no questa colpa nella nostra mente, e possiamo chiedere aiuto allo Spirito Santo per accettare quell’Espiazione che può liberarci dalla colpa. Questo è il secondo passo del perdono.
Se scegliamo di fare questi due passi sperimenteremo il terzo, il miracolo della pace interiore e della liberazione dalla colpa. Rinunciando alla colpa la mente smetterà di proiettare. Ma non potrà smettere di estendersi, perché questa è una legge della mente. E ciò che verrà esteso apparirà oggettivo proprio come appariva oggettiva la colpa proiettata. Vedremo delle immagine nuove, delle immagini mutate, per il semplice fatto che avremo rinunciato alla colpa. Non avremo cambiato il mondo fuori, ma il mondo dentro. E il mondo fuori testimonierà questo cambiamento meraviglioso.
L’idea di oggi introduce il pensiero che tu non sei intrappolato nel mondo che vedi, poiché se ne può cambiare la causa. Questo cambiamento richiede che la causa venga prima identificata e poi lasciata andare, in modo che possa essere sostituita. I primi due passi di questo procedimento richiedono la tua collaborazione. Quello finale no. Le tue immagini sono già state sostituite. Facendo i primi due passi vedrai che è così.
(L-pI.23.5)
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Negli ultimi spunti ho parlato molto della legge della mente e dell’applicazione che ne fanno l’ego e lo Spirito Santo: la proiezione e l’estensione.(T-7.VIII.1). Per rileggere gli spunti relativi, cliccare qui. Dopo tante precisazioni teoriche vorrei ora soffermarmi sull’aspetto pratico, cioè sul modo in cui possiamo fare esperienza di questa estensione. Troviamo una prima applicazione nella lezione 36: La mia santità avvolge tutto ciò che vedo.
Per comprendere meglio il senso di questa frase è tuttavia necessario fare un passo indietro leggendo la lezione precedente, la 35, che afferma la realtà della nostra santità. E data l’apparente assurdità di un concetto del genere è bene ricordare – come precisa il primo paragrafo della 35 - che tale definizione non descrive il modo in cui noi ci percepiamo adesso, quanto piuttosto ciò che ci mostrerà la visione. A questo punto sorgono naturalmente almeno due domande: che cos’è la visione e che cosa esattamente ci mostrerà di noi, quando l’avremo finalmente raggiunta. Ebbene… nel Corso la visione corrisponde alla percezione corretta, uno stato della mente cui si giunge attraverso il perdono. E quello che la visione ci mostrerà sarà un mondo di pace scevro di colpa, cosa che include non solo la percezione degli altri, ma anche di noi stessi.
Come si arriva a un obiettivo così ambizioso? Con i tre passi del perdono che il libro degli esercizi ci ha presentato fin dalla lezione 23 (L-pI.23.5): dopo aver visto l’orrore dell’ego dentro la nostra mente (primo passo del perdono) e aver chiesto aiuto allo Spirito Santo per vedere in un modo diverso (II passo del perdono) possiamo giungere all’esperienza di un sé diverso, privo di separazione e di colpa. In altri termini possiamo finalmente arrivare a sperimentare praticamente il principio dell’Espiazione per noi stessi, cosa che costituisce la nostra sola e unica responsabilità. (T-2.V.5:1). Sarà utile ricordare a questo punto che il termine Espiazione definisce nel Corso la correzione della falsa idea di separazione da Dio, e che accettandola vedremo scomparire dalla nostra mente la colpa conseguente. E con la scomparsa della colpa vedremo diffondersi nella mente un profondo senso di pace, che corrisponde proprio a quell’esperienza di amore incondizionato e innocenza che il Corso definisce santità.
Questo per quanto riguarda la lezione 35. Ma ritorniamo ora alla lezione 36, che ne è la logica conseguenza.
Cosa succede quando - avendo praticato i tre passi del perdono e avendo accettato l’Espiazione per noi stessi - sperimentiamo finalmente quella pace miracolosa che è l’obiettivo del Corso? Come abbiamo visto da molte settimane, questa pace si estende. Non può non farlo, perché il protendersi della mente all’esterno è una legge della mente. Quando sperimentavamo colpa e separazione, ossia eravamo nello stato mentale sbagliato, questo protendersi diveniva proiezione. Ora che finalmente sperimentiamo la pace questo protendersi diviene estensione. Ed è proprio questo che ci propone la lezione 36: la sperimentazione che la nostra santità, ossia lo stato della mente corretta, si estende a tutto ciò che vediamo.
A dire la verità la lezione usa un altro verbo. Dice “avvolge” invece che “si estende”. Il significato è lo stesso, ma il verbo “avvolgere” dà maggiormente l’idea della comunione profonda che ci unisce alle persone e alle cose, quando le percepiamo da una prospettiva di pace invece che da una prospettiva di odio ed attacco. Infatti, come abbiamo visto le scorse settimane, la pace include mentre l’attacco esclude. Quindi la nostra visione includerà - avvolgendola - qualsiasi cosa ci capiterà di osservare. Il senso di unione avrà sostituito il senso di separazione.
L’idea di oggi estende l’idea di ieri da colui che percepisce a ciò che viene percepito. Tu sei santo perché la tua mente è parte di quella di Dio. E poiché sei santo, anche la tua vista deve essere santa. “Innocente” significa senza peccato. Non puoi essere solo un po’ senza peccato. O lo sei o non lo sei. Se la tua mente è parte di quella di Dio devi essere senza peccato, altrimenti anche parte della Sua Mente sarebbe peccaminosa. La tua vista è legata alla Sua santità, non al tuo ego, e quindi non al tuo corpo.
(L-pI.36.1)
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Questa idea contiene i primi barlumi della tua vera funzione nel mondo, o del perché sei qui. Il tuo scopo è di vedere il mondo attraverso la tua stessa santità. Così tu e il mondo siete benedetti insieme. Nessuno perde, niente viene tolto a nessuno, tutti guadagnano grazie alla tua visione santa… La tua santità è la salvezza del mondo. .
(L-pI.37.1:1-4; 3:1)
Nello spunto della scorsa settimana abbiamo cominciato a vedere l’applicazione pratica di tutta la teoria che ho affrontato a partire dallo spunto 383, volta a comprendere il significato che il Corso dà alla parola estensione. Per rileggerla cliccare qui.
Siamo partiti dalla lezione 35 del libro degli esercizi, che afferma in noi la presenza della santità precisando che essa non rappresenta la nostra percezione di noi stessi quando siamo identificati con l’ego, ma quella di cui facciamo esperienza quando siamo in grado di accettare l’Espiazione per noi stessi, ossia la correzione della nostra separazione da Dio. Dalla lezione 35 siamo poi approdati alla lezione 36, che - prima fra tutte nel libro degli esercizi - ci insegna a percepire l’estensione di tale santità a tutto ciò che vediamo.
L’esercizio ci propone di guardare gli oggetti che si trovano intorno a noi e di applicare ad essi una frase, il cui modello è: “la mia santità avvolge…”. La lezione successiva, la 37, suggerisce un esercizio molto simile, nel quale viene variato un solo verbo. Infatti dovremmo ripetere la frase “La mia santità benedice….” . E in entrambi i casi la frase andrebbe completata applicandola all’oggetto osservato volta a volta.
Ma va sottolineato che la benedizione (o l’ “avvolgimento” della lezione 36) presume che noi siamo riusciti a contattare in noi la santità, perché è la santità a benedire o “avvolgere” ogni cosa. Per dirla con parole diverse, è dalla mente corretta che parte l’estensione, non da quella sbagliata. Infatti dalla mente sbagliata può solo partire la proiezione di colpa, ossia l’attacco. Cosa implica tutto questo? Significa che se PRIMA di ripetere le due frasi della lezione 36 e della lezione 37 non abbiamo praticato i tre passi del perdono l’estensione – cioè “l’avvolgimento” o la benedizione - non potrà avvenire. Perché non avremo avuto accesso all’esperienza di pace della mente corretta, e quindi non saremo in contatto – almeno temporaneamente - con la santità.
A volte gli studenti credono che la lezione ci chieda semplicemente di ripetere la frase, come se magicamente le nostre “buone” intenzioni avessero il potere di raggiungere ciò che sembra essere al fuori di noi. Ma nel Testo c’è un’esortazione che ci mette in guardia contro l’arroganza che si nasconde dietro una credenza del genere: Non fidarti delle tue buone intenzioni. Non sono abbastanza. (T-18.IV.2:1-2). In altri termini le nostre “buone” intenzioni non sono sufficienti per produrre il miracolo della visione. E subito dopo leggiamo ancora: Ma abbi fiducia implicitamente nella tua disponibilità, qualsiasi altra cosa possa intromettersi. (T-18.IV.2:3).
Non sono le nostre buone intenzioni, ma la disponibilità (una componente essenziale del secondo passo del perdono), quanto ci permette di accedere alla santità. Chi vuole ripassare il tema della disponibilità, da me già trattato diffusamente, rilegga gli spunti 273-290 ad essa dedicati. Per accedervi cliccare qui.
In sostanza le frasi della IV sezione del capitolo 18 del Testo e quelle delle lezioni 36 e 37 vanno nella stessa direzione: ciò che ha il potere di portare salvezza al mondo – ossia di permetterci di percepire il mondo salvato - è l’accettazione della nostra santità intrinseca. E questo, ci insegna il Corso, avviene attraverso quella pratica che il Corso definisce perdono, con la quale guardiamo spassionatamente le nostre percezioni egoiche (I passo) e decidiamo di lasciarle andare chiedendo aiuto allo Spirito Santo per vedere in un altro modo (II passo).
Credo che sia molto importante comprendere che questa lezione non ci invita a “cercare di avvolgere” o “cercare di benedire” con il pensiero ciò a cui pensiamo, come può avvenire per esempio in certe pratiche molto comuni e diffuse, e alquanto lontane da quanto sostiene e insegna il Corso. Pratiche quali inviare onde di luce, di pace e di amore a coloro che soffrono o – per fare un altro esempio molto frequente- alle zone in guerra sul pianeta.
Perché queste pratiche differiscono da quanto sostiene il Corso? Perché continuare a percepire fuori di noi il bisogno di cambiamento (e quindi la necessità di inviare pace a chi pace non ha) implica l’idea che il problema sia fuori di noi, a differenza di quanto sostiene il primo passo del perdono. Il pensiero che ci sia qualcosa di esterno che necessita di pace è nettamente in antitesi con quello che la lezione 132 definisce il pensiero centrale che questo Corso tenta di insegnare, cioè che non c’è alcun mondo. (L-pI.132.6:2.3) E’ dentro la nostra mente che va attuato il cambiamento, non nel mondo. Questo è un corso sulla causa [la mente], e non sull’effetto [il mondo] (T-21.VII.7:8)!