Secondo gli insegnamenti di Kenneth Wapnick

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Tu non puoi fare le leggi che governano la scelta, come non puoi fare le alternative tra cui scegliere….. 
Abbiamo già ribadito che ce ne sono solo due, anche se sembrano essercene molte. La gamma di possibilità è definita, e questo non possiamo cambiarlo.
(L.pI.133.3:3; 4:1-2)

Nella lezione 133 il corso distingue chiaramente le due fondamentali categorie di pensiero in cui lo studente del corso deve imparare a raggruppare tutti i suoi pensieri attraverso la pratica dell’osservazione accurata della propria mente. Questo processo di generalizzazione viene insegnato molto praticamente nel libro degli esercizi, e nell’introduzione viene posta grande enfasi sulla sua importanza.

Il trasferimento dell’apprendimento nella percezione vera non procede allo stesso modo del trasferimento dell’apprendimento nel mondo. Se si raggiunge la vera percezione in relazione ad una persona, situazione o evento, è certo il trasferimento totale a tutto e a tutti. 
(L.pI.In.5:1-2)

Una piccola ma importante precisazione, contenuta sempre nella lezione 133, evidenzia la didattica del corso a tale proposito:

Sarebbe molto ingeneroso per te lasciare che le alternative siano illimitate e così ritardare la tua scelta finale, fino a che non le avrai considerate tutte nel tempo; e non essere così chiaramente portato nel luogo dove non c’è che una sola scelta da dover fare. 
(L.pI.133.4:3)

Dover perdonare specificamente ogni singolo pensiero della nostra mente sarebbe “ingeneroso”, perché implicherebbe un lavoro lunghissimo. E la scelta finale, l’accettazione completa dell’Espiazione per sé stessi che dà accesso al Mondo Reale, verrebbe enormemente ritardata. 

Il processo di generalizzazione, grazie al quale apprendiamo l’identicità di contenuto nella molteplicità delle forme, accelera enormemente il percorso. Grazie ad esso veniamo portati “nel luogo” (lo spazio mentale dove il DM sceglie) dove non c’è che una sola scelta da dover fare”: accettare l’Espiazione per noi stessi (T.2.V.5:1).

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Negli ultimi due spunti abbiamo visto la prima delle due regole da tenere a mente nella pratica del libro degli esercizi:

Allora le uniche regole generali da osservare sempre sono: primo, che gli esercizi siano messi in pratica nei minimi dettagli, come sarà indicato. Questo ti aiuterà a generalizzare le idee implicate in ogni situazione in cui ti trovi e ad ogni persona e cosa che sono parte di questa situazione.
(L.pI.In.6:1-2)

Troviamo nella lezione 8 un esempio di questa prima regola. L’esercizio proposto consiste nel completare una frase, identificando specificatamente ogni pensiero ad essa relativo. (L.pI.8.5:1-2) Questo esercizio ci allena all’abitudine di osservare in modo molto specifico i nostri pensieri, allo scopo di osservarne l’apparente diversità formale. Questa è la premessa indispensabile per poter poi ricondurre tale apparente differenza formale alla sostanziale identicità di contenuto, che è espressa nella frase conclusiva (#5:3).

Se non riconosciamo che tutte le differenze percettive sono uguali nel loro contenuto, in altri termini se non riconosciamo praticamente che tutti i problemi sono manifestazioni di quell’unico problema che il corso chiama “minuscola folle idea”, non potremo arrivare a far pratica di quel pensiero di correzione unificata che il corso definisce “Espiazione”.

-153-

Nell’introduzione al libro degli esercizi vengono indicate due regole (“le uniche regole”) che lo studente dovrebbe “osservare sempre” nel suo percorso di studio del libro degli esercizi. Nelle ultime settimane abbiamo visto la prima delle due regole. Ecco ora la seconda:

Secondo, accertati di non decidere che ci sono, per te, alcune persone, situazioni o cose a cui queste idee non siano applicabili. Questo interferirebbe con il trasferimento dell’apprendimento. L’essenza della vera percezione è che essa non ha limiti. E’ l’opposto del modo in cui vedi adesso.
(L.pI.In.6:3-6)

Mentre la prima delle due regole -aiutandoci a non cadere nella confusione di livelli- prepara il processo di generalizzazione, questa seconda regola ci insegna a non interferire con tale processo, ossia con il trasferimento dell’apprendimento.

Se noi facciamo delle eccezioni stiamo implicitamente sostenendo che la lezione del giorno non può essere unificata, ossia che il contenuto di qualcosa è diverso dal contenuto di qualcos’altro. Questo impedisce un autentico perdono, che si basa sul criterio spirituale di identicità in opposizione al criterio egoico di separazione o differenza.

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La verità è sempre uguale e l’infelicità è sempre uguale, ma sono diverse l’una dall’altra sotto ogni aspetto, in ogni caso e senza eccezioni. Credere che possa esserci un’eccezione è confondere ciò che è uguale con ciò che è diverso.
(T.22.II.4:2-3)

In queste righe vengono definite chiaramente le basi del processo di discernimento, così come viene insegnato nel corso: imparare a distinguere ciò che è lo stesso da ciò che è diverso.

L’ego ci insegna che le forme sono tutte diverse, e che questa è una percezione corretta: la verità è oggettivamente diversa per ognuno di noi (T.23.II.2:1).

Secondo il corso questa è invece una percezione falsa, basata sul caos, ossia sull’ego. Ci spiega che esiste un altro modo di percepire, grazie al quale impariamo a vedere che le differenze sono solo apparenti, in quanto al loro interno tutte queste forme diverse condividono lo stesso identico contenuto. Pertanto ci aiuta a riconoscere che le varie forme di verità (cioè il nostro essere ancora Uno con Dio), così come le varie forme di infelicità (cioè la credenza incredibile di esserci separati da Lui), sono sempre uguali fra di loro, qualunque forma assumano.

Peraltro esiste un’importante differenza, ed è quella fra i due contenuti: la verità è totalmente diversa dall’infelicità, l’ego dallo Spirito, l’amore dalla paura. E non ci sono eccezioni a questo principio di base, che è la premessa metodologica per poter sperimentare il fatto che “non c’è ordine di difficoltà nei miracoli”(T.1.I.1:1).

Gli esercizi iniziano ad addestrarci proprio da qui: ci insegnano molto, molto praticamente a distinguere ciò che è lo stesso da ciò che è diverso.

Questo è un esercizio fondamentale, e sarà ripetuto di tanto in tanto in forma in qualche modo diversa… E’ anche l’inizio nell’addestrare la tua mente a riconoscere ciò che è la stessa cosa e ciò che è diverso 
(L.pI.4:3:1,4)

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La verità è sempre uguale e l’infelicità è sempre uguale, ma sono diverse l’una dall’altra sotto ogni aspetto, in ogni caso e senza eccezioni. Credere che possa esserci un’eccezione è confondere ciò che è uguale con ciò che è diverso.
(T.22.II.4:2-3)

Il corso ci propone un modo di pensare diametralmente opposto al modo di pensare dell’ego. E’ un modo di pensare basato su un diverso processo di discernimento, attuabile solo se si è disponibili ad osservare accuratamente e con vigilanza crescente i propri pensieri.

Le premesse metodologiche di tale discernimento, che sono spiegate dettagliatamente nel testo, prevedono un modo diverso di catalogare le informazioni, in base a due categorie di pensiero: la mente sbagliata e la mente corretta. E gli esercizi ci spiegano fin dall’inizio come si fa a discernere ciò che è lo stesso (le varie forme di percezione sbagliata -l’infelicità- o le varie forme di percezione corretta- la verità-) da ciò che è diverso (il contenuto della percezione sbagliata ed il contenuto della percezione corretta).

Ma insistono su un punto fondamentale: non bisogna fare eccezioni in tale processo di catalogazione. Anche una sola eccezione (cioè credere che una qualunque forma di infelicità possa essere vera o una qualunque verità possa renderci infelici) significa confondere ciò che è uguale con ciò che è diverso.

La seconda regola contenuta nell’Introduzione al libro degli esercizi mette in guardia lo studente contro un rischio del genere:

Secondo, accertati di non decidere che ci sono, per te, alcune persone, situazioni o cose a cui queste idee non siano applicabili. Questo interferirebbe con il trasferimento dell’apprendimento. L’essenza della vera percezione è che essa non ha limiti. E’ l’opposto del modo in cui vedi adesso. 
(L.pI.In.6:3-6)

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La seconda delle due “uniche regole” da osservare nella pratica del libro degli esercizi dice:

Secondo, accertati di non decidere che ci sono, per te, alcune persone, situazioni o cose a cui queste idee non siano applicabili. Questo interferirebbe con il trasferimento dell’apprendimento. L’essenza della vera percezione è che essa non ha limiti. E’ l’opposto del modo in cui vedi adesso. 
(L.pI.In.6:3-6)

Questa seconda regola, la regola dell’indiscriminatezza, viene ricordata frequentemente nelle prime lezioni. La troviamo per esempio nella lezione 5 e nella lezione 9:

In questi esercizi, più che nei precedenti, puoi incontrare difficoltà nell’essere indiscriminato ed evitare di dare maggior peso ad alcuni soggetti piuttosto che ad altri 
(L.pI.5.4:1)

Va sottolineato ancora che, pur non dovendo tentare di includere tutto, bisogna evitare di escludere specificatamente qualcosa. Assicurati di essere onesto con te stesso nel fare questa distinzione. Potresti essere tentato di offuscarla.
(L.pI.9.5)

E’ interessante notare infine quanto viene detto nella lezione 19:

Ormai dovrebbe esserti abbastanza familiare l’importanza di essere il più indiscriminato possibile nel selezionare i soggetti per i periodi di pratica, per cui non sarà più ribadita ogni giorno, anche se sarà occasionalmente inclusa come promemoria. Non dimenticare, comunque, che la selezione casuale dei soggetti per tutti i periodi di pratica rimane sempre essenziale. 
(L.pI.19.4:1-2)

Dunque: l’invito all’indiscriminatezza non verrà più ripetuto, ma dovrà sempre essere tenuto a mente. Il corso si aspetta in sostanza che a partire dalla lezione 19 noi abbiamo appreso tale regola, e che d’ora in poi ci eserciteremo ad applicarla a tutti i nostri pensieri, per il resto della nostra vita!

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Perché il libro degli esercizi attribuisce tanta importanza alla regola della indiscriminatezza, al punto di sostenere che - insieme alla regola della assoluta specificità - queste sono le uniche regole da seguire nella pratica?

Troviamo la spiegazione nella lezione 19:

Non dimenticare, comunque, che la selezione casuale dei soggetti per tutti i periodi di pratica rimane sempre essenziale. La mancanza di ordine in questo contesto darà infine significato alla mancanza di ordine dei miracoli.
(L.pI.19.4:2-3)

La regola dell’indiscriminatezza ci prepara all’applicazione del primo principio dei miracoli, che sostiene che “non c’è ordine di difficoltà nei miracoli” (T.1.I.1:1)

In altri termini, per poter sperimentare quotidianamente nella nostra vita i miracoli del perdono, dobbiamo imparare molto praticamente e specificatamente a riconoscere all’interno dei nostri pensieri la sostanziale identicità di contenuto nonostante le apparenti differenze di forma.

E’ proprio questo l’addestramento della mente che tutte le prime lezioni del libro degli esercizi ci insegnano a fare e che viene annunciato nell’introduzione del libro degli esercizi:

Lo scopo di questo libro di esercizi è di addestrare la tua mente in modo sistematico perché giunga ad una percezione diversa di ogni persona e di ogni cosa nel mondo. Gli esercizi sono pianificati per aiutarti a generalizzare le lezioni, affinché tu capisca che ciascuna di esse è ugualmente applicabile a tutto ciò che vedi e a tutti. 
(L.pI.In.4)

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Lo scopo di questo libro di esercizi è di addestrare la tua mente in modo sistematico perché giunga ad una percezione diversa di ogni persona e di ogni cosa nel mondo. Gli esercizi sono pianificati per aiutarti a generalizzare le lezioni, affinché tu capisca che ciascuna di esse è ugualmente applicabile a tutto ciò che vedi e a tutti. 
(L.pI.In.4)

Che cosa è questa “percezione diversa di ogni persona e di ogni cosa nel mondo”? E’ la percezione unificata proposta dallo Spirito Santo, ossia dal Pensiero di correzione che si trova all’interno della nostra mente e che ognuno di noi- il DM, ossia la parte della mente che ha il potere di decidere- è libero di scegliere in ogni singolo istante della sua vita. Questa percezione unificata ci permette di vedere che siamo sostanzialmente tutti uguali, e condividiamo tutti un medesimo interesse comune: ritornare all’Uno.

Ma per esercitare tale diritto di scelta dobbiamo prima esserci resi conto di come il nostro pensiero sia errato. Ed è questo ciò che il primo passo del perdono ci insegna a fare. Guardando senza giudizio né colpa le nostre proiezioni sul mondo esterno, come abbiamo visto dallo spunto 86 allo spunto 104 (cliccare qui) , possiamo renderci conto del fatto che le nostre sofferenze non sono determinate da problemi esterni a noi, ma dai nostri pensieri. E tutti questi pensieri, che sembrano essere così diversi, hanno di fatto un unico contenuto, in quanto sono di fatto riconducibili ad un unico pensiero, che il corso definisce “minuscola folle idea” (T.27.VIII.6:2)

Il libro degli esercizi ci insegna praticamente a fare esperienza di questa teoria, aiutandoci a vedere molto specificatamente i nostri pensieri in modo indiscriminato, in modo da favorire quel processo di generalizzazione che ci aiuterà a percepire in ognuno di essi lo stesso contenuto errato e lo stesso potenziale di correzione.

Ma bisogna seguire attentamente due regole, che sono preannunciate nell’introduzione al libro degli esercizi. Due regole molto, molto importanti, su cui ci siamo concentrati a partire dallo spunto 148.(clicca qui)

Allora le uniche regole generali da osservare sempre sono: primo, che gli esercizi siano messi in pratica nei minimi dettagli, come sarà indicato. Questo ti aiuterà a generalizzare le idee implicate in ogni situazione. Secondo, accertati di non decidere che ci sono, per te, alcune persone, situazioni o cose a cui queste idee non siano applicabili. Questo interferirebbe con il trasferimento dell’apprendimento. L’essenza della vera percezione è che essa non ha limiti. E’ l’opposto del modo in cui vedi adesso. (L.pI.In.6)

Facendo dunque tesoro di questi insegnamenti fondamentali, ed applicandoli al nostro esercizio quotidiano di osservazione dei nostri pensieri, sospendiamo i nostri spunti per la pausa estiva. Con le meravigliose parole conclusive del libro degli esercizi, vi giungano i nostri migliori auguri.

Tu non cammini da solo. Gli angeli di Dio si librano vicino a te e tutt’intorno. Il Suo Amore ti circonda, e di questo sii certo: io non ti lascerò mai privo di conforto. (L.pII.ep.6:6-8)

INSEGNARE E IMPARARE

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mi auguro che il periodo delle vacanze sia stato per tutti l’occasione per recuperare le forze all’insegna della pace e del perdono, e che ora siamo tutti pronti a riprendere il nostro cammino con rinnovata energia.

A fine luglio ho completato gli spunti di riflessione relativi agli aspetti fondamentali del primo passo del perdono, che avevo iniziato nell’ottobre 2012 con lo spunto n. 73 (se desiderate rileggerli, cliccate qui). Dopo questa pausa estiva mi ero ripromessa di iniziare le riflessioni sul secondo passo, ma poi ho pensato che fosse meglio affrontare prima un altro tema importante della teoria del corso, perché negli ultimi mesi ho ricevuto molte lettere e telefonate da studenti che desiderano dei chiarimenti sull’insegnamento del corso.

Dato che mi sembra che ci sia molta confusione a riguardo, nel corso dell’estate ho deciso di scrivere un saggio sull’argomento, cercando di esporre in dettaglio cosa intende esattamente il corso con i termini “insegnare” ed “imparare”, e con l’espressione “’insegnante di Dio” a cui viene dedicato un intero volume, il Manuale degli Insegnanti.

Considerando il fatto che il corso presume che noi studiamo questi argomenti, che sono parte integrante della sua teoria, ho dunque pensato di dedicare i prossimi spunti ad una indagine su questi temi. Al termine, verrà pubblicato sul sito l’intero saggio che ho scritto nel corso dell’estate e sul quale avremo riflettuto insieme per un po’.
Come sempre vi invito a scrivermi, se lo desiderate, per approfondire la discussione.

Rinnovo i miei migliori auguri di buon cammino a tutti i lettori di questa newsletter, che seguono con tanto affetto e partecipazione il nostro forte impegno nella diffusione dell’insegnamento di Kenneth, rileggendo insieme a voi uno dei paragrafi più toccanti della Chiarificazione dei Termini:

Non dimenticare che una volta cominciato questo viaggio, la fine è certa. I dubbi lungo il cammino verranno per tornare nuovamente. Tuttavia la fine è sicura. Nessuno può non riuscire a fare ciò che Dio gli ha assegnato. Quando ti dimentichi, ricordati che cammini con Lui e con la Sua Parola nel tuo cuore. Chi può disperarsi quando ha una Speranza come questa? Illusioni di disperazione sembreranno assalirti, ma impara a non lasciarti ingannare da esse.
Dietro ognuna di esse c’è la realtà e c’è Dio.
(C.ep.1:1-9)

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Le parole “imparare” ed “insegnare” hanno nel Corso un significato molto diverso dall’accezione corrente del termine.

Questo è uno dei problemi maggiori che lo studente si trova a dover affrontare: studiare ed applicare il corso significa – soprattutto nella fase iniziale di discernimento- svolgere una sorta di “traduzione interna” di ciò che si legge, man mano che lo si legge, in modo da allenarsi a dare alle parole un significato diverso, se non diametralmente opposto, rispetto a quello che affiora immediatamente alla consapevolezza. Tale atteggiamento mentale, basato sull’osservazione attenta e priva di giudizio dei propri pensieri, allena lo studente alla pratica basilare del perdono, che - nel significato che il corso dà a questo termine- consiste nel percepire diversamente le relazioni in cui ci sperimentiamo coinvolti (in questo caso la relazione con le parole), lasciando andare completamente il giudizio ed il significato basati sull’attacco che avevamo già conferito loro precedentemente.

Le parole possono essere utili, particolarmente per il principiante, nell’aiutare la concentrazione e facilitare l’esclusione, o almeno il controllo, dei pensieri estranei. Non dimentichiamo, però, che le parole non sono altro che simboli di simboli. E quindi sono doppiamente lontane dalla realtà.
(M.21.1:8-10)

Quindi gli studenti spesso fraintendono il significato delle parole “imparare” ed “insegnare”, proprio come fanno con i principali termini usati nel Corso, credendo che insegnare significhi svolgere un’attività specifica per non dire speciale. E- partendo da tale errore- giungono poi alla credenza distorta che il Manuale degli insegnanti sia una sorta di testo avanzato, adatto specificatamente (ma anche qui sarebbe meglio dire “specialmente”) a coloro che- superata la fase dell’apprendimento- arrivano alla fase di insegnamento, e che questa fase coincida con l’insegnare in varia forma il corso. Nulla di più sbagliato: non c’è nessuna indicazione nel Corso sullo svolgere una qualsivoglia attività, mentre ci sono molte indicazioni sul fatto che lo studente debba diventare Insegnante di Dio.

Nelle prossime settimane cercheremo di studiare questi temi. Cominciamo ora a riflettere sul seguente paragrafo:

Il ruolo dell’insegnamento e dell’apprendimento, nel modo di pensare del mondo, è di fatto rovesciato. Il rovesciamento ne è un aspetto tipico. Sembra che insegnante e studente siano separati, con l’insegnante che dà qualcosa allo studente piuttosto che a se stesso. Inoltre, l’atto di insegnare è considerato un’attività speciale nella quale si impegna soltanto una parte relativamente piccola del proprio tempo.
(M.In.1:1-4)

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Nell’Introduzione al Manuale degli Insegnanti troviamo la più chiara definizione del significato che il corso attribuisce ai concetti di insegnare ed imparare. Leggiamola insieme:

Il ruolo dell’insegnamento e dell’apprendimento, nel modo di pensare del mondo, è di fatto rovesciato. Il rovesciamento ne è un aspetto tipico. Sembra che insegnante e studente siano separati, con l’insegnante che dà qualcosa allo studente piuttosto che a se stesso. Inoltre, l’atto di insegnare è considerato un’attività speciale nella quale si impegna soltanto una parte relativamente piccola del proprio tempo. Il corso, d’altro canto, sottolinea che insegnare è imparare cosicché insegnante e studente sono la stessa cosa. Esso sottolinea anche che l’insegnamento è un processo costante: procede in ogni momento del giorno e continua persino nei pensieri del sonno.
(M.In.1)

E’ un’esposizione molto chiara: per il corso l’insegnamento non viene espletato attraverso lo svolgimento di un’attività, e quindi non implica l’impiego di una parte limitata del proprio tempo. E’ un processo costante, che avviene in continuazione, addirittura nel corso del sonno, perché la mente “non dorme mai” (T.2.VI.9:6).

In sostanza tutti insegniamo tutto il tempo. Ma allora che cosa significa “insegnare”? La spiegazione si trova nelle prime frasi del secondo paragrafo:

Insegnare è dimostrare. Ci sono solo due sistemi di pensiero, e tu dimostri in ogni momento di credere che sia vero l’uno o l’altro. Gli altri imparano dalla tua dimostrazione, e anche tu. La questione non è se tu insegnerai, poiché in questo non c’è scelta 
(M.In.2:1-4)

In pratica l’insegnamento non è un’attività formale, ma si riferisce al contenuto che sottende qualunque tipo di attività formale. Come il Corso ripete in continuazione, e come viene ribadito anche in queste poche righe, esistono solo due contenuti: i due sistemi di pensiero dell’ego e dello Spirito Santo, basati sulla errata credenza nella separazione o sulla correzione di tale errata credenza (definita nel corso “Espiazione”). Non possiamo NON insegnare l’uno o l’altro dei due sistemi di pensiero -e questo non ha nulla a che fare con l’attività che svolgiamo in quel momento, qualunque essa sia (per esempio lavorare, giocare, parlare con qualcuno o addirittura dormire) - perché questa è una proprietà della mente:

I pensieri cominciano nella mente di colui che pensa, e dalla mente si protraggano all’esterno 
(T.6.II.9:1).

Questo significa che i pensieri, che cominciano all’interno del sistema di pensiero che li origina, vengono inevitabilmente applicati dentro la mente a qualunque cosa la mente creda far parte del mondo esterno.

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I pensieri cominciano nella mente di colui che pensa, e dalla mente si protraggano all’esterno 
(T.6.II.9:1)

La modalità con cui i pensieri si protraggono all’esterno è diversa, a seconda della voce che parla dentro la nostra mente: lo Spirito Santo estende, mentre l’ego proietta. (T.6.II.4:3).
In altri termini i pensieri che pensiamo nella mente sbagliata, e che quindi sono guidati dall’ego, sono proiezioni del nostro senso di colpa e di scarsità, e si traducono in pensieri di attacco, giudizi, condanne, vendette e ritorsioni, rancori e rivendicazioni, esaltazioni idolatre e presunzioni di autonomia, illusioni di bisogni e sogni malati di completamenti speciali.
Invece i pensieri che pensiamo nella mente corretta, e che quindi sono guidati dallo Spirito Santo, saranno dolci correzioni di tutti questi pensieri egoici, e saranno basate su un diverso tipo di giudizio che è totalmente scevro di condanna; saranno osservazioni gentili della propria mente con quell’atteggiamento di lievità che ne toglie il pesante investimento di separazione ed attacco; saranno estensioni della scintilla di luce presente nella nostra mente, che riflette lo splendore dei Grandi Raggi.

Nella scorsa newsletter abbiamo visto che:

Insegnare è dimostrare. Ci sono solo due sistemi di pensiero, e tu dimostri in ogni momento di credere che sia vero l’uno o l’altro. Gli altri imparano dalla tua dimostrazione, e anche tu. La questione non è se tu insegnerai, poiché in questo non c’è scelta 
(M.In.2:1-4)

Dunque, se siamo nella mente sbagliata insegniamo il sistema di pensiero dell’ego, mentre se siamo nella mente corretta insegniamo il sistema di pensiero dello Spirito Santo. E la mente con cui ci saremo identificati dimostrerà qual è l’insegnante interiore che abbiamo scelto di seguire, dimostrando proprio il sistema di pensiero in cui crediamo nel preciso momento in cui lo pensiamo.
E questo non ha nulla a che fare con quanto il corpo -con il quale siamo identificati- sembra fare in quel preciso momento.

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Nelle scorse newsletter abbiamo visto i seguenti aspetti del processo di insegnamento:

……….l’insegnamento è un processo costante: procede in ogni momento del giorno e continua persino nei pensieri del sonno. 
(M.In.1) 
Insegnare è dimostrare. Ci sono solo due sistemi di pensiero, e tu dimostri in ogni momento di credere che sia vero l’uno o l’altro. 
(M.In.2:1-2)

Ma chi sono gli “allievi” ai quali insegniamo? Leggiamo ancora:

Si potrebbe dire che lo scopo del corso è di fornirti il mezzo per scegliere ciò che vuoi insegnare sulla base di ciò che vuoi imparare. Non puoi dare a qualcun altro, ma solo a te stesso, ed impari ciò attraverso l’insegnamento.
(M.In.2:5-6)

Indipendentemente dunque da quanto diamo o non diamo agli altri, daremo sempre e comunque a noi stessi, cioè saremo gli allievi di noi stessi, perché impareremo proprio quel contenuto che - dimostrandolo - stiamo insegnando.

“E’ l’insegnamento che sta dietro a ciò che dici che ti insegna” 
(M.In.3:6).

In altri termini: è il contenuto che sottende le nostre parole l’insegnamento che insegniamo prima di tutto a noi stessi.

Imparare ed insegnare sono una cosa sola proprio come “dare e ricevere sono una cosa sola” (lezione 108).
Questo significa che rafforzeremo nella nostra mente il sistema di pensiero in cui in quel momento crediamo, come viene chiarito fin dai primi capitoli del Testo:

“I pensieri si accrescono donandoli” .
(T.5.I.2:2)

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Abbiamo visto nelle scorse newsletter che insegniamo (cioè dimostriamo) tutto il tempo il contenuto della nostra mente, ossia il sistema di pensiero nel quale crediamo. Ed esistono solo due contenuti: il sistema di pensiero dell’ego, basato sulla separazione, e quello dello Spirito Santo, basato sulla correzione della separazione.

Inoltre abbiamo visto che possiamo insegnare solo a noi stessi, in quanto in ogni singolo istante rafforziamo dentro la nostra mente proprio il sistema di pensiero nel quale crediamo in quel preciso momento.

“Si potrebbe dire che lo scopo del corso è di fornirti il mezzo per scegliere ciò che vuoi insegnare sulla base di ciò che vuoi imparare. Non puoi dare a qualcun altro, ma solo a te stesso, ed impari ciò attraverso l’insegnamento”. 
(M.In.2:5-6)

Questo sembra contraddire quanto era espresso in una frase che compare nella stesso paragrafo, poche righe prima:

“Gli altri imparano dalla tua dimostrazione” .
(M.In.2:3)

La verità è che noi diamo il contenuto del nostro insegnamento solo a noi stessi, in quanto gli altri avranno sempre il libero arbitrio di scegliere qual è l’interpretazione -ossia il contenuto- da dare alla nostra dimostrazione. Inoltre abbiamo visto che possiamo insegnare solo a noi stessi, in quanto in ogni singolo istante rafforziamo dentro la nostra mente proprio il sistema di pensiero nel quale crediamo in quel preciso momento.
Proprio come noi anche essi, se sono nella mente sbagliata, seguiranno l’interpretazione basata sull’attacco fornita dal loro ego e proietteranno tale attacco su quanto noi avremo dimostrato, mentre se sono nella mente corretta seguiranno l’interpretazione amorevole dello Spirito Santo, che estenderà la sua visione amorevole sulla nostra dimostrazione. E quanto impareranno sarà determinato da quanto avranno insegnato, ossia dal contenuto –vero o falso- a cui avranno dato retta dentro la loro mente.

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Negli ultimi spunti abbiamo visto alcuni aspetti fondamentali della teoria del corso relativa al concetto di insegnamento (per rileggerli, cliccare qui). Continuando la lettura dell’introduzione del Manuale degli Insegnanti, i concetti si chiariscono ulteriormente:

“Il programma di studi che stabilisci viene, quindi, determinato esclusivamente da quello che pensi di essere e da quello che credi che sia la relazione degli altri nei tuoi confronti” 
(M.In.3:1)

Questa frase aggiunge un elemento molto importante al concetto di insegnamento-apprendimento che abbiamo visto nei numeri scorsi: il concetto del sé, ciò che crediamo di essere.

Se ci sperimentiamo come un corpo (e questa è la credenza di chiunque ascolti la voce dell’ego dentro la sua mente), allora crederemo di essere in relazione con altri corpi e crederemo che le relazioni siano delle interazioni fra persone. Se invece ci sperimentiamo come l’osservatore che prende la decisione (e questa è la correzione che viene gradualmente accettata da chiunque ascolti la Voce dello Spirito Santo dentro la propria mente), allora non crederemo più di relazionarci con altri corpi, e quindi comprenderemo che le relazioni sono essenzialmente dei processi che avvengono solo e soltanto dentro la nostra mente, là dove si trovano anche gli altri, perché la mente è una.

Non a caso nella terza sezione del Manuale degli insegnanti, in cui vengono descritte le tre principali relazioni in cui può trovarsi l’insegnante, tali relazioni vengono definite con un’espressione totalmente nuova: situazioni di insegnamento-apprendimento. Come a ribadire che in realtà noi siamo essenzialmente in relazione con i nostri processi mentali, ossia le relazioni che abbiamo con gli altri sono semplicemente delle opportunità per guardare i pensieri che pensiamo e che rafforziamo dentro la nostra mente (cioè impariamo) man mano che li dimostriamo attraverso la proiezione dell’ego o l’estensione dello Spirito Santo (cioè man mano che li insegniamo).

Rafforzando tali pensieri rafforzeremo anche il nostro concetto del sé, ossia la credenza di essere l’eroe del sogno o il sognatore del sogno, un corpo o una mente, una persona che agisce nel mondo o un osservatore che osserva i propri pensieri:

“L’insegnamento non fa che rafforzare ciò che credi riguardo a te stesso”.
(M.In.3:7)

Ed i nostri “allievi” non sono altro che gli altri personaggi di quello stesso sogno che il nostro corpo sta “vivendo” in quel preciso momento, che ci offrono l’opportunità di compiere nella nostra mente quel processo del perdono che ci permetterà di imparare a risvegliarci gradualmente dal sogno.

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Riassumo ora i punti che abbiamo visto nelle ultime newsletter, relativi all’insegnamento del corso:

• Insegnare è dimostrare. Insegniamo in continuazione il sistema di pensiero (ne esistono solo due) nel quale crediamo in ogni singolo istante. 
• Non possiamo non insegnare.
• Insegniamo prima di tutto a noi stessi, rafforzando nella nostra mente proprio il sistema di pensiero nel quale crediamo in quel momento.
• Il sistema di pensiero nel quale crediamo, e che quindi insegniamo, cioè dimostriamo, rafforza il nostro concetto del sé, ossia quanto crediamo riguardo a noi stessi.
• E infine l’insegnamento non si riferisce alla forma - ossia ad un’attività che si svolge - quanto al contenuto- ossia alla voce o Voce che si ascolta dentro la nostra mente.

Leggiamo insieme alcune righe tratte dal commento di Kenneth Wapnick all’Introduzione del Manuale per gli insegnanti, (Wapnick, Journey through the Manual of ACIM, pag 4) che sintetizzano chiaramente quest’ultimo punto:

Prima di imbarcarci nel nostro viaggio attraverso il manuale, c’è un punto finale che speriamo aiuti gli studenti ad evitare una comune trappola dell’ego. Ricordate che una delle varianti importanti del nostro tema di interessi condivisi è forma e contenuto. La forma divide e separa come, ad esempio, vediamo nei corpi, che chiaramente demarcano dove un sé finisce e ne inizia un altro. Ecco perché Gesù afferma nel testo “ Nulla è così accecante come la percezione della forma” (T-22.III.6:7). La forma ci rende ciechi alla verità che siamo uno. Di nuovo non c’è bisogno che comprendiamo il vero contenuto dell’Unità – “l’Unità unita come Una cosa sola” – ma possiamo comprendere il riflesso di quella Unità: siamo la stessa cosa perché siamo sullo stesso viaggio. Condividiamo lo stesso sistema di pensiero dell’ego: odio, crudeltà, colpa, sofferenza, dolore, specialezza e morte; condividiamo la stessa correzione nella nostra mente corretta: perdono, guarigione e pace; e condividiamo la stessa capacità della mente di scegliere tra il sistema di pensiero della mente sbagliata dell’ego e quello della mente corretta dello Spirito Santo. In altre parole abbiamo la stessa mente separata e lo stesso bisogno: risvegliarci dal sogno di morte alla vita eterna che non abbiamo mai perduto. La forma ci confonde riguardo questo risveglio perché ci mantiene nel sogno di separazione. Quindi, quando Gesù parla di insegnanti ed insegnamento, egli non parla della forma – un corpo che insegna ad un altro, sia che si tratti di aritmetica, storia, scienze o Un corso in miracoli. Nell’introduzione al manuale egli discute in maniera specifica che insegnare significa dimostrare e in un bellissimo passaggio del testo afferma:

Non insegnare che sono morto invano. Insegna piuttosto che non sono morto dimostrando che vivo in te.
(T-11.VI.7:3-4)

Così, l’insegnamento di cui parla Gesù non riguarda il parlare ad un gruppo, per esempio, ma di un insegnamento che avviene tramite la dimostrazione.

Ma a questo punto emerge una nuova domanda: se l’insegnamento non si riferisce alla forma, chi è l’insegnante di Dio?
Cercheremo nei prossimi spunti di comprendere che cosa dice il corso a questo proposito. 

-167-

L’insegnante di Dio viene definito in parecchi modi nel Manuale degli Insegnanti che a lui è dedicato.
Questa è la prima delle varie definizioni:

“Un insegnante di Dio è chiunque scelga di esserlo. I suoi requisiti consistono unicamente in questo: in qualche modo, da qualche parte, egli ha fatto una scelta deliberata in cui non ha visto i propri interessi separati da quelli di qualcun altro. Una volta che ha fatto ciò, la sua strada è stabilita e la sua direzione è certa. Una luce è entrata nell’oscurità. Può trattarsi di una luce sola, ma è sufficiente. Ha fatto un accordo con Dio anche se non crede ancora in Lui. E’ diventato un portatore di salvezza. E’ diventato un insegnante di Dio”
(M.1.1)

L’insegnante di Dio è lo studente che ha percepito almeno una volta la totale, assoluta uguaglianza con un fratello, ossia il fatto di avere il medesimo scopo ed i medesimi interessi di tornare a Casa che ha lui. Questo è il significato della prima frase che abbiamo letto nel paragrafo precedente. La scelta ancora una volta non è formale, non consiste nel dire a sé stessi “voglio essere un insegnante di Dio” perché “le parole sono solo simboli di simboli” (M. 21.1:9), e quindi potrebbero simboleggiare uno scopo o contenuto egoico. Questo studente ha dunque iniziato il cammino di disfacimento del proprio ego, avendo accettato di ascoltare almeno una volta la correzione dello Spirito Santo, e quindi avendoGli permesso di estendere la pace nella propria mente. L’espressione non definisce pertanto chi ha ultimato il percorso di apprendimento o addirittura chi è entrato nel Mondo Reale; non definisce chi ha compreso alla perfezione la teoria del corso, né tantomeno chi è in grado di applicarla costantemente a tutte le situazioni della sua vita; e -non riferendosi alla forma ma al contenuto- non definisce affatto chi insegna formalmente il corso.

Come abbiamo visto negli spunti precedenti), tutti insegniamo tutto il tempo, perché – che ci piaccia o no- dimostriamo l’uno o l’altro contenuto (ce ne sono solo due) che si trova dentro la nostra mente e in cui crediamo in quel momento: o il sistema di pensiero dell’ego, che viene proiettato dal nostro ego sulle situazioni della nostra vita, o il sistema correttivo dello Spirito Santo che estende alle medesime situazioni della nostra vita la luce, la forza e la pace che già si trovano –spesso non riconosciute- all’interno di noi.

Dunque diveniamo tutti insegnanti di Dio nel momento in cui sperimentiamo l’Istante Santo e mettiamo in discussione l’arroganza dell’ego, vedendo che condividiamo gli stessi interessi degli altri, ossia siamo tutti uniti nello scopo di tornare a Casa. Ma ridiventiamo tutti insegnanti dell’ego nel momento in cui ritorniamo ad abbracciare il suo sistema di pensiero e ispirati dall’ego ricominciamo a proiettare colpa sugli altri e/o a cercare di predare la loro specialezza.

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Lo studente del corso sperimenta degli alti livelli di fluttuazione tra le due menti. “L’investimento alternato fra i due livelli di percezione viene usualmente sperimentato come un conflitto, che può diventare molto acuto” (T.2.III.3:9), e quindi - a causa delle forti interferenze opposte dal suo ego - può cadere nelle molte trappole che l’ego gli tende man mano che avanza nel suo percorso.

Nei termini messi in luce negli ultimi spunti, lo studente del corso alternerà costantemente i due livelli di insegnamento-apprendimento, divenendo alternativamente insegnante di Dio ed insegnante dell’ego, a seconda della voce o della Voce che sceglie di ascoltare. E se il corso ci conforta dicendoci che “la riuscita è certa così come lo è Dio” (T.2.III.3:10), in più punti ci mette in guardia dal credere che il percorso sia rapido e facile. Per esempio:

Ed ora deve raggiungere uno stato che potrà rimanere impossibile da raggiungere per molto, molto tempo. …. Se ogni passo in questa direzione non fosse così marcatamente rinforzato, sarebbe davvero difficile!
(M.4.1.A.7:7,9)

L’espressione “insegnante di Dio” non definisce dunque una qualifica stabilmente raggiunta, ma un percorso che si è liberamente scelto di seguire. E’ un percorso graduale fatto di piccoli passi, tutti uguali nel contenuto, che ci portano dalla fase iniziale, descritta in M.1.1, alla fase avanzata, in cui l’insegnante ha accettato pienamente tutte le caratteristiche che vengono elencate nel IV brano del Manuale degli insegnanti: la fiducia, l’onestà, la tolleranza, la dolcezza, la gioia, l’assenza di difese, la generosità, la pazienza, la fedeltà e l’apertura mentale. Tra queste due fasi si dipana tutto il percorso di disfacimento del proprio ego, definito in questa sezione “lo sviluppo della fiducia”. E’ una fiducia che l’insegnante impara a rafforzare dentro di sé man mano che la insegna, ossia la dimostra, attraverso le apparenti relazioni della propria vita. 

-169-

In più punti, nel corso, la strada di ritorno a Casa viene descritta attraverso il simbolo della salita di una scala.
Così, in T.18.V.2:7 ci viene detto che attraverso lo Spirito Santo costruiremo “una scala, piantata nella solida roccia della fede, che sale fino al Cielo”.
E nel capitolo 28 il simbolo viene ripreso per dirci

“…E così la mente è libera di fare un’altra scelta. Cominciando da qui, la salvezza procederà a cambiare il corso di ogni gradino nella discesa verso la separazione, finché tutti i gradini saranno ripercorsi, la scala scomparsa e tutto il sognare del mondo disfatto” 
(T.28.II.12:6-7),

e ancora:

“…hai appena cominciato a permettere i tuoi primi passi incerti di essere diretti a risalire la scala che la separazione ti ha condotto a scendere” 
(T.28.III.1:2.).

Per non parlare del supplemento “Il canto della preghiera”, in cui proprio la preghiera viene descritta nei termini di una scala che ci porta direttamente in Cielo. (CdP.1.II).

Utilizzando il medesimo simbolo possiamo dunque dire che in ogni momento ogni insegnante di Dio si trova ad un qualche punto della scala di ritorno a Casa. Una scala che inizia con la propria decisione di essere un insegnante di Dio principiante, ossia con la dimostrazione di aver accettato almeno una volta la presenza della correzione dello Spirito Santo dentro la proprio mente, e si conclude quando il processo di generalizzazione del perdono è stato completato e non è rimasto più nulla da perdonare. A questo punto l’ego è totalmente svanito, l’insegnante – che era già diventato un insegnante avanzato - entra nel Mondo Reale, ed accede ad una condizione totalmente diversa, divenendo “insegnante degli insegnanti”. E’ questo l’ambito traguardo nel quale non si è altro se non la manifestazione dello Spirito Santo, ossia la manifestazione di quello che nel corso è l’ “Insegnante” per definizione. (C.6.5)

A seconda del punto della scala in cui si troverà, lo studente avrà una comprensione diversa della teoria del corso, dovuta alla maggiore o minore interferenza dell’ego, e alle maggiori o minori resistenze che sperimenterà nell’accogliere la correzione dello Spirito Santo.

Non disperare, quindi, a causa delle limitazioni.
E’ tua funzione sfuggire loro, ma non di esserne senza
(M.26.4:1-2)

E, a seconda del punto della scala in cui si troverà, lo studente insegnerà (cioè dimostrerà il sistema di pensiero in cui crede in quel momento) in base alla comprensione raggiunta, che potrà ovviamente essere alquanto limitata.

Non fidarti delle tue buone intenzioni. Non sono abbastanza. 
(T.18.IV.2:1-2)

-170-

L’insegnante di Dio, è– nel significato che il corso dà a questa espressione- lo studente del corso che ha percepito almeno una volta l’assoluta uguaglianza con un fratello, avendo riconosciuto che entrambi condividono lo stesso scopo di tornare a Casa.
Come abbiamo visto nell’ultimo spunto, ogni insegnante di trova ad un qualche punto della scala di ritorno a Casa, ed insegnerà, cioè dimostrerà, in base alla comprensione raggiunta in quel momento.
Inoltre, man mano che prosegue il suo viaggio la sua comprensione potrà essere gravemente distorta dai frequenti attacchi dell’ego, perché –tra le molte trappole che l’ego gli tende- ci sarà anche l’attaccare la teoria del corso. 
E quindi, a causa dell’investimento alternato nei due livelli di percezione (T.2.III.3:9), questa comprensione del corso potrà divenire estremamente fluttuante. Anche qualcosa che era stato compreso correttamente un minuto prima potrà essere rapidamente tramutato dall’ego nel suo esatto opposto, perché

“l’ego attaccherà le tue motivazioni non appena esse saranno chiaramente in disaccordo con la sua percezione di te. Questo è il momento in cui cambierà improvvisamente dalla sospetto alla malvagità, dato che la sua incertezza sarà aumentata” 
(T.9.VII.4:6-7),
“Abbiamo detto prima che l’ego vacilla tra l’essere sospettoso e l’essere malvagio. Rimane sospettoso finché disperi di te stesso. Cambia in malvagità quando decidi di non tollerare l’umiliazione che tu stesso ti infliggi e cerchi sollievo. Allora ti offre l’illusione dell’attacco come soluzione” 
(T.9.VIII.2:7-10).

Nel momento in cui l’ego catturerà nuovamente la nostra mente (secondo la magnifica espressione che si trova a pagina 9 della prefazione), saremo nuovamente intrappolati nel sogno, e le profonde verità del testo diventeranno incomprensibili.

Quando sei stato catturato nel mondo della percezione, sei intrappolato in un sogno

Allora l’insegnante di Dio cadrà facilmente nella trappola dell’ego, distorcendo le parole del testo per farle aderire allo scopo di predazione e proiezione dell’ego, ed il messaggio di luce del corso, filtrato dagli specchi deformanti dell’ego, verrà trasformato dallo studente- ora ridivenuto insegnante dell’ego- in un messaggio di attacco e condanna.

La trappola diverrà a questo punto particolarmente sottile, perché – come Ken ha detto molte volte- a questo punto l’ego comincerà a “fare il corso con noi”. Questo sarà il momento in cui lo studente, che può essere anche arrivato al punto di conoscere a memoria alcune delle parole del libro, potrà distorcerne completamente il contenuto, adattandolo agli obiettivi dell’ego. E questo potrà apparirgli come molto “spirituale”, molto “illuminato”, e molto “santo”.

Un pensiero che non perdona fa molte cose. Prosegue il suo obiettivo con un’azione frenetica, distorcendo e rovesciando ciò che vede interferire col cammino che ha scelto. Il suo scopo è la distorsione, che è anche il mezzo con cui la vuole ottenere. Si fissa sui suoi tentativi furiosi di frantumare la realtà, senza tener conto di ciò che sembra contraddire il suo punto di vista.
(L.pII.1.3)

-171-

Abbiamo visto che nel corso la parola “insegnare” significa “dimostrare”, e che quindi tutti insegniamo tutto il tempo, perché – che ci piaccia o no - dimostriamo in ogni singolo istante della nostra vita il contenuto della nostra mente, ossia il sistema di pensiero nel quale crediamo in quel momento.

Insegnare è dimostrare. Ci sono solo due sistemi di pensiero, e tu dimostri in ogni momento di credere che sia vero l’uno o l’altro. Gli altri imparano dalla tua dimostrazione, e anche tu. La questione non è se tu insegnerai, poiché in questo non c’è scelta. 
M.In.2:1-4).

Il sistema di pensiero che insegniamo -cioè dimostriamo- viene automaticamente rafforzato dentro la nostra mente in ogni istante in cui lo pensiamo. Dunque impariamo costantemente ciò che insegniamo. Di conseguenza -e contrariamente al significato usuale del termine- l’insegnante e l’allievo non sono due persone distinte: noi siamo gli allievi di noi stessi, perché rafforziamo continuamente nella nostra mente non solo quello che crediamo, ma anche il nostro concetto del sé, ossia quello che crediamo di essere.

Il ruolo dell’insegnamento e dell’apprendimento, nel modo di pensare del mondo, è di fatto rovesciato. Il rovesciamento ne è un aspetto tipico. Sembra che insegnante e studente siano separati, con l’insegnante che dà qualcosa allo studente piuttosto che a se stesso. Inoltre, l’atto di insegnare è considerato un’attività speciale nella quale si impegna soltanto una parte relativamente piccola del proprio tempo. Il corso, d’altro canto, sottolinea che insegnare è imparare cosicché insegnante e studente sono la stessa cosa. Esso sottolinea anche che l’insegnamento è un processo costante: procede in ogni momento del giorno e continua persino nei pensieri del sonno. (M.In.1)

Se insegniamo/impariamo il sistema di pensiero di separazione ed attacco dell’ego siamo “insegnanti dell’ego”; se invece insegniamo/impariamo il sistema correttivo dello Spirito Santo diventiamo “insegnanti di Dio”. Quindi l’espressione “insegnante di Dio” definisce semplicemente chi ha scelto almeno una volta di accettare la correzione dello Spirito Santo dentro la propria mente, riconoscendo di essere uguale ad un fratello, di avere i suoi stessi interessi, perché ne condivide lo stesso, identico scopo di tornare a Casa.

Un insegnante di Dio è chiunque scelga di esserlo. I suoi requisiti consistono unicamente in questo: in qualche modo, da qualche parte, egli ha fatto una scelta deliberata in cui non ha visto i propri interessi separati da quelli di qualcun altro. 
(M.1.1:1-2)

Con questa sintesi finale, concludo qui le riflessioni sui concetti di insegnamento ed apprendimento che ho proposto negli ultimi mesi.
Chi fosse interessato a leggere integralmente il saggio che ho scritto sull’argomento, lo può trovare cliccando qui.
Dalla prossima newsletter inizieremo a prepararci al Natale. 

-172-

Anche quest’anno cominciamo presto a prepararci alla gioia del Natale seguendo le indicazioni che il corso dà nella bellissima sezione dedicata appunto al Natale:

Questo Natale dai allo Spirito Santo tutto ciò che ti ferisce. Permettiti di essere completamente guarito così che ti possa unire a Lui nella guarigione, e celebriamo insieme la nostra liberazione liberando tutti con noi. 
(T.15.XI.3:1-2)

E cosa significa questo, se non guardare nella nostra mente i nostri tentativi di proiettare sugli altri la nostra colpa? Questo è quanto il corso ci invita a dare allo Spirito Santo, ossia alla Voce che corregge i nostri errori dentro la nostra mente. “Tutto ciò che ci ferisce” non sono le cose che gli altri ci hanno fatto, ma l’interpretazione che ne diamo in termini di attacco. Pertanto dare le nostre sofferenze allo Spirito Santo significa guardare senza giudizio né colpa i nostri giudizi, in modo da poterli portare alla Sua Luce di correzione.

Trascorriamo dunque questa settimana stanando dentro la nostra mente i pensieri di attacco che nutriamo nei confronti degli altri, la rabbia per quello che pensiamo ci abbiano fatto, il rancore per vecchie ferite che ancora non si rimarginano, la costante determinazione a voler avere ragione a tutti i costi, convinti della giustezza delle nostre percezioni, e decisi a non metterle in discussione.

E se non fosse così? Se esistesse un altro modo di vedere le cose?

C’è un altro modo di guardare il mondo. Posso vedere la pace anziché questo.
(lezioni 34 e 35)

-173-

Anche questa settimana continuiamo a prepararci alla gioia del Natale seguendo le indicazioni che il corso dà nella bellissima sezione dedicata appunto al Natale:

Questo Natale dai allo Spirito Santo tutto ciò che ti ferisce. Permettiti di essere completamente guarito così che ti possa unire a Lui nella guarigione, e celebriamo insieme la nostra liberazione liberando tutti con noi. 
(T.15.XI.3:1-2)

E cosa significa questo, se non guardare nella nostra mente i nostri tentativi di proiettare sugli altri la nostra colpa? Questo è quanto il corso ci invita a dare allo Spirito Santo, ossia alla Voce che corregge i nostri errori dentro la nostra mente. “Tutto ciò che ci ferisce” non sono le cose che gli altri ci hanno fatto, ma l’interpretazione che ne diamo in termini di attacco. Pertanto dare le nostre sofferenze allo Spirito Santo significa guardare senza giudizio né colpa i nostri giudizi, in modo da poterli portare alla Sua Luce di correzione.

Ricordiamoci che:

la proiezione fa la percezione 
(T.21.In.1:1)

ossia quanto percepiamo è determinato dall’interpretazione che ne diamo. E inoltre:

“Forse sarà utile ricordare che nessuno può arrabbiarsi nei confronti di un fatto. E’ sempre un’interpretazione che suscita emozioni negative, indipendentemente dalla loro apparente giustificazione da parte di ciò che si presenta come un fatto. Indipendentemente, anche, dall’intensità della rabbia che viene suscitata. 
(M.17.4:1-3)

Alla luce di queste premesse, trascorriamo la settimana guardando dentro la nostra mente i giudizi di condanna ed attacco che nutriamo nei confronti degli altri così come nei confronti di noi stessi. Riconosciamo che si tratta di proiezioni di un nostro disagio interiore. E apriamoci alla possibilità che dentro la nostra mente possa esserci un altro modo di considerare proprio le stesse cose che “ci fanno arrabbiare così tanto”. 
Preferiamo sperimentare la gioia e la pace del perdono, oppure preferiamo mantenere le nostre convinzioni, ciechi e sordi alla Voce interiore che ci dice che possiamo vedere in un altro modo?

"Preferisci avere ragione o essere felice?
(T.29.VII.1:9)

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Anche questa settimana continuiamo a prepararci alla gioia del Natale seguendo le indicazioni che il corso dà nella bellissima sezione dedicata appunto al Natale:

Questo Natale dai allo Spirito Santo tutto ciò che ti ferisce. Permettiti di essere completamente guarito così che ti possa unire a Lui nella guarigione, e celebriamo insieme la nostra liberazione liberando tutti con noi. 
(T.15.XI.3:1-2)

E cosa significa questo, se non guardare nella nostra mente i nostri tentativi di proiettare sugli altri la nostra colpa? Questo è quanto il corso ci invita a dare allo Spirito Santo, ossia alla Voce che corregge i nostri errori dentro la nostra mente. “Tutto ciò che ci ferisce” non sono le cose che gli altri ci hanno fatto, ma l’interpretazione che ne diamo in termini di attacco. Pertanto dare le nostre sofferenze allo Spirito Santo significa guardare senza giudizio né colpa i nostri giudizi, in modo da poterli portare alla Sua Luce di correzione.

L’attacco che nutriamo nei confronti degli altri alimenta nella nostra mente i due circoli viziosi di attacco-difesa e di colpa-attacco, rafforzando nella nostra mente il senso di colpa e la paura della punizione. E’ questo ciò che ci tiene all’inferno, non le cose che gli altri ci hanno fatto.

Attacco, difesa, difesa, attacco diventano i circoli viziosi delle ore e dei giorni che incatenano la mente con pesanti fasce di ferro rivestito d’acciaio, che ritornano solo per incominciare di nuovo. Non sembra esservi alcuna pausa, né termine alla morsa sempre più attanagliante dell’imprigionamento della mente 
(L.pI.153.3:2-3)

Anche questa settimana guardiamo dunque con coraggio questa nostra dedizione all’attacco che ci ferisce perché attanaglia la nostra mente in una ferrea morsa di angoscia. E diamola allo Spirito Santo perché la Sua luce disperda l’oscurità in cui ci sentivamo persi.
….. la rabbia nei confronti di un genitore….la colpa di cui accusiamo un partner…..il tradimento di un’amica…. la delusione nei confronti di un figlio… il lutto per la morte di una persona amata…. Il senso di fallimento per un obiettivo non raggiunto…….la paura del futuro……

Io sono determinato a vedere le cose in maniera diversa 
(L.pI.21)

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Eccoci arrivati alla vigilia di Natale. Anche quest’anno abbiamo cercato di seguire le indicazioni che il corso dà nella bellissima sezione dedicata appunto al Natale:

Questo Natale dai allo Spirito Santo tutto ciò che ti ferisce. Permettiti di essere completamente guarito così che ti possa unire a Lui nella guarigione, e celebriamo insieme la nostra liberazione liberando tutti con noi. 
(T.15.XI.3:1-2)

Nelle ultime settimane abbiamo dunque provato a guardare i nostri pensieri d’attacco e a darli allo Spirito Santo, ricordando che “la proiezione fa la percezione”, e che quindi “quello che ci ferisce” non sono le cose che gli altri ci hanno fatto, ma l’interpretazione che ne diamo in termini di attacco. Pertanto dare le nostre sofferenze allo Spirito Santo significa guardare senza giudizio né colpa le nostre accuse, in modo da poterle portare alla Sua Luce di correzione.

E’ quello che continuiamo a fare anche in queste ultime ore, nella certezza che questo è il modo migliore per fare nascere nel nostro cuore il Bambino di Betlemme.

La mia nascita in te è il tuo risveglio alla grandezza. Non darmi il benvenuto in una mangiatoia, ma nell’altare della santità, dove la santità dimora in pace perfetta” 
(T.15.III.9:5-6)

E’ dunque con la profonda intenzione di pace che si sperimenta nell’altare della santità (ossia nella mente corretta) che lasciamo vibrare nei nostri cuori la bellissima preghiera del Natale:

Ti do allo Spirito Santo come parte di me stesso.

So che sarai liberato, a meno che io non voglia usarti per imprigionare me stesso.

Nel nome della mia libertà scelgo la tua liberazione,

perché riconosco che saremo liberati insieme.

(T.15.XI.10:5-7)

-176-

Questo è il tempo in cui un nuovo anno nascerà presto dal tempo di Cristo. Ho fede assoluta nel fatto che farai tutto ciò che vorrai compiere. Niente mancherà, e tu renderai completo e non distruggerai. Dì quindi a tuo fratello:

Ti do allo Spirito Santo come parte di me stesso.

So che sarai liberato, a meno che io non voglia usarti per imprigionare me stesso.

Nel nome della mia libertà scelgo la tua liberazione,

perché riconosco che saremo liberati insieme.


(T.15.XI.10:5-7)

Così l’anno inizierà con gioia e libertà. C’è molto da fare, ed abbiamo procrastinato parecchio. Accetta l’istante santo mentre nasce quest’anno, e prendi il tuo posto, lasciato vacante così a lungo, nel Grande Risveglio. Fa’ che quest’anno sia differente rendendolo tutto uguale. E permetti a tutte le tue relazioni di essere fatte sante per te. Questa è la nostra volontà.
Amen
(T.15.XI.10:8-14)

I DUE USI DEL TEMPO

-177-

Riprendiamo ora le nostre riflessioni sul perdono. Dedicheremo i prossimi spunti ad un approfondimento del primo passo, che ho già trattato dallo spunto 73 al 159 (per leggerli cliccare qui), prima di avventurarci nel secondo passo che consiste nell’essere determinati a scegliere un diverso modo di percepire, e quindi un diverso Insegnante di percezione, all’interno della nostra mente.
Come sostengono le parole conclusive del capitolo 15:

C’è molto da fare, ed abbiamo procrastinato parecchio. 
(T.15.XI.10:9)

Tuttavia, seguendo l’invito delle lezioni 21 e 28 possiamo iniziare l’anno con la gioia e la libertà di chi è determinato a vedere le cose in modo diverso.
Con questa felice intenzione nel nostro cuore permettetemi, cari compagni di viaggio, di porgere a tutti i miei migliori auguri perché a partire da questo 2015 il nostro viaggio sia lieve e gioioso, costellato di miracoli e illuminato dalla pace del perdono.

Potrai chiederti come puoi essere in pace quando, mentre sei nel tempo, c’è così tanto da fare prima che la via della pace sia aperta. Forse questo ti sembra impossibile. Ma chiediti se è possibile che Dio abbia un piano per la tua salvezza che non funzioni. Una volta che avrai accettato il Suo piano come l’unica funzione che vuoi adempiere, non ci sarà nient’altro che lo Spirito Santo non predisporrà per te senza sforzo da parte tua. Egli procederà davanti a te rendendo diritto il tuo sentiero, e lasciando il cammino senza pietre su cui inciampare e senza ostacoli a sbarrarti la via. Niente di cui hai bisogno ti sarà negato. Nessuna apparente difficoltà farà altro che svanire prima che tu la raggiunga. Non hai bisogno di darti pensiero di niente, senza curarti di alcuna cosa eccetto del solo scopo che vuoi raggiungere. Come ti è stato dato, così lo sarà anche il suo raggiungimento. La garanzia di Dio terrà contro tutti gli ostacoli, perché si basa sulla certezza e non sulla contingenza. Si fonda su di te. E che cosa può essere più certo di un Figlio di Dio? 
(T.20.IV.8)

-178-

Riprendiamo ora l’argomento del perdono, di cui ho già trattato alcuni aspetti chiave (dal n 129 al 159). Mentre li ripassiamo cercherò di affrontare un argomento nuovo: il ruolo che il passato svolge nel meccanismo di proiezione. 
Come abbiamo visto più e più volte noi non siamo mai turbati per la ragione che pensiamo (lezione 5), ossia per quanto ci capita nel mondo, ma per l’interpretazione che ne diamo.

Forse sarà utile ricordare che nessuno può arrabbiarsi nei confronti di un fatto. E’ sempre un’interpretazione che suscita emozioni negative, indipendentemente dalla loro apparente giustificazione da parte di ciò che si presenta come un fatto. Indipendentemente, anche, dall’intensità della rabbia che viene suscitata. 
(M.17.4:1-3)

E perché vogliamo dare un’interpretazione degli eventi tale da precipitarci in uno stato di turbamento? Per fare un esempio, perché vogliamo scegliere di arrabbiarci per il comportamento di un altro, quando potremmo benissimo scegliere di non farlo? Per una ragione molto semplice: perché abbiamo vogliamo proiettare su quanto consideriamo esterno alla nostra mente il nostro senso di colpa di natura metafisica (cioè derivato dalla cosiddetta “minuscola folle idea”, T.27.VIII.6:2) allo scopo di liberarcene. Proiettando sugli altri la responsabilità per la nostra rabbia potremo continuare a mantenere l’esperienza della separazione senza sentirci in colpa. 
Purtroppo - e questo l’ego non ce lo dice affatto - il senso di colpa proiettato all’esterno non si allontana da noi, ma permane dentro la nostra mente e si radica sempre di più al suo interno, perché l’idea della colpa non lascia la mente che l’ha prodotta.

Le idee non lasciano la loro fonte e sembra solamente che i loro effetti siano separati da esse. Le idee appartengono alla mente. Ciò che è proiettato al di fuori, e sembra essere esterno alla mente, non è affatto al di fuori, ma è un effetto di ciò che è dentro e non ha lasciato la sua fonte. 
(T.26.VII.4:7-9)

Questo è il “piano di salvezza dell’ego”, basato proprio sul serbare dei rancori (lezione 72): in questo modo il nostro ego mantiene sempre più saldamente la sua presa su di noi.

-179-

Quando ascoltiamo l’ego dentro la nostra mente siamo inclini a cadere in vari stati di turbamento (rabbia, paura, colpa, vittimismo, tristezza, depressione, senso di perdita, esaltazione, senso di importanza personale, ecc) allo scopo di attribuire a fattori esterni a noi la responsabilità di tali turbamenti. Questo è lo scopo del meccanismo di proiezione.

La proiezione fa la percezione. Il mondo che vedi è ciò che tu gli hai dato, niente di più. Ma nonostante non sia niente di più, non è niente di meno. Quindi, per te è importante. E’ il testimone del tuo stato mentale, l’immagine esterna di una condizione interna. Come un uomo pensa così percepisce. 
(T.21.In.1:1-5)

In sostanza: la percezione è un’interpretazione, non un fatto. La nostra mente - guidata dall’ego - compie un continuo lavoro di interpretazione dei fatti esterni per poter vedere in essi la causa dei suoi turbamenti.

La percezione è un continuo processo di accettare e rifiutare, organizzare e riorganizzare, mutare e cambiare. La valutazione è una parte essenziale della percezione, perché per selezionare sono necessari i giudizi. 
(T.3.V.7:7-8)

Questo le permette di attribuire a fattori esterni (persone, situazioni, oggetti) la causa del proprio sentire, e così facendo crede erroneamente di potersi liberare del senso di colpa metafisico dovuto all’errata convinzione di essersi separata da Dio.

-180-

La percezione è un continuo processo di accettare e rifiutare, organizzare e riorganizzare, mutare e cambiare. La valutazione è una parte essenziale della percezione, perché per selezionare sono necessari i giudizi. 
(T.3.V.7:7-8)

Il costante lavoro di selezione dei dati sensoriali, organizzandoli cognitivamente allo scopo di esprimere dei giudizi, permette all’ego dentro la nostra mente di costruire un mondo inesistente, soggettivo e alienato, che non ci separa soltanto dalla immutevole Realtà di Dio, ma ci separa anche gli uni dagli altri in quanto le percezioni soggettive sono basate sul passato individuale.

Ciascuno popola il proprio mondo di figure del proprio passato individuale ed è per questo che i mondi privati differiscono tra loro. Ma le figure che vede non sono mai state reali, perché nascono solo dalle sue reazioni ai suoi fratelli e non includono le loro reazioni nei suoi confronti. Perciò non si accorge di averle fatte lui, né si rende conto che non sono intere. Perché queste figure non hanno testimoni in quanto sono percepite soltanto in una mente separata. 
(T.13.V.2)

-181-

Quando ascoltiamo l’insegnamento dell’ego dentro la nostra mente cerchiamo costantemente di liberarci del nostro dolorosissimo senso di colpa metafisico (causato dalla presunta separazione da Dio, la cosiddetta “minuscola folle idea” (T.27.VIII.6:2) e lo facciamo attraverso il meccanismo della proiezione, che ci permette di vedere all’esterno di noi quanto invece continua a permanere dentro la nostra mente, perché


“le idee non lasciano la loro fonte... Le idee appartengono alla mente. Ciò che è proiettato al di fuori e sembra essere esterno alla mente, non è affatto al di fuori, ma è un effetto di ciò che è dentro e non ha lasciato la sua fonte” 
(T.26.VII.4:7-9)


La proiezione determina quindi la percezione di un mondo totalmente illusorio ed inesistente, che costruiamo individualmente dentro la nostra mente, ma che a questo punto sembrerà oggettivo ed esterno a noi.
La costruzione di questo mondo alienato che ci separa sia dalla Realtà immutevole di Dio che dalle percezioni altrui si basa sulle cosiddette “ombre del passato”, ossia le figure del passato individuale che ognuno di noi mantiene volutamente all’interno della sua mente per poter attuare indisturbato questo costante gioco di proiezione.

Nessuna relazione speciale viene vissuta nel presente.
Ombre del passato l’avvolgono, e la rendono ciò che è.
(T.16.VII.2:3-4)

Richiamando continuamente alla memoria queste ombre del passato le proietteremo sul mondo esterno, percependo in esso proprio quei fattori di disturbo che ci sembreranno oggettivi, e che ci precipiteranno in vari stati di turbamento.

Le figure indistinte del passato sono precisamente ciò a cui devi sfuggire. Non sono reali e non hanno presa su di te a meno che tu non le porti con te. Esse portano nella tua mente i segni del dolore, e ti incitano ad attaccare nel presente come rivalsa per un passato che non è più. E questa è una decisione che porta ad un dolore futuro. A meno che non impari che il dolore passato è un’illusione, scegli un futuro di illusioni e perdi le molte opportunità che potresti trovare per liberarti nel presente. L’ego vuole preservare i tuoi incubi ed impedirti di risvegliarti e comprendere che sono passati. 
(T.13.IV.6:1-6)

Tuttavia c’è un metodo, il perdono, che ci permette di liberarci da queste proiezioni compulsive. Ed il corso ce lo insegna. Ma per metterlo in pratica dobbiamo imparare prima di tutto a guardare senza giudizio né colpa il nostro bisogno costante di attuarle. Questo è il primo passo del perdono. (L.pI.23.5:1-2)

-182-

La mia mente è preoccupata da pensieri del passato 
(L.pI.8)

Come abbiamo visto negli spunti precedenti, manteniamo nella nostra mente le cosiddette “ombre del passato”, ossia il ricordo doloroso del passato, allo scopo di proiettare tali ombre sul mondo che ci sembra di vivere in tempo presente. Il dolore può essere rappresentato sia da quanto riteniamo che ci abbia fatto soffrire, che da quanto consideriamo migliore rispetto al presente. In questo modo manteniamo in vita l’idea di essere vittime degli abusi altrui, del destino, degli eventi, ecc, e questo ci permette di proiettare indisturbati sul mondo esterno il nostro senso di colpa metafisico (derivato dalla cosiddetta “minuscola folle idea”, T.27.VIII.6:2) ossia l’errata credenza di esserci separati da Dio). Ma questo meccanismo ci precipita anche in un mondo totalmente alienato e isolato, uno vero e proprio stato di malattia mentale, in cui vediamo ciò che non c’è, e lo riteniamo causa del nostro malessere.

..la relazione speciale è un tentativo di inscenare nuovamente il passato e cambiarlo. Affronti immaginati, dolori ricordati, delusioni passate, ingiustizie e privazioni percepite, tutte entrano nella relazione speciale, che diventa un modo in cui cerchi di ripristinare la tua autostima ferita. Che base avresti per scegliere un compagno speciale senza il passato? Ogni scelta di questo genere viene fatta a causa di qualcosa di “male” accaduto in passato al quale ti attacchi, e per il quale qualcun altro deve espiare. 
(T.16.VII.1:2-5)

Tuttavia c’è un’alternativa a questo meccanismo di proiezione apparentemente ineluttabile. Consiste nello scegliere un diverso Insegnante dentro la nostra mente, un Insegnante che ci aiuti a ricordare che la soluzione dei nostri problemi non sta nel continuare ad inscenare il passato proiettandolo nel presente, ma nel decidere di mantenere la nostra mente in un presente santo, ossia privo di colpa.

Il passato se ne è andato: non cercare di preservarlo nella relazione speciale che ti lega ad esso, e che vuole insegnarti che la salvezza è nel passato e che quindi devi tornare al passato per trovare la salvezza. Non c’è fantasia che non contenga il sogno di vendetta per il passato. Preferisci inscenare il sogno o lasciarlo andare? 
(T.16.VII.4)

-183-

Il passato non è niente. Non cercare di incolparlo per ciò di cui ti ha privato, perché il passato se ne è andato. In realtà non puoi non lasciare andare ciò che se ne è già andato. Deve essere, quindi, che mantieni l’illusione che non se ne sia andato perché pensi che serva a qualche scopo che vuoi sia soddisfatto. E deve anche essere che questo scopo non possa essere soddisfatto nel presente ma solo nel passato 
(T.16.VII.2:8-12)

Queste frasi evidenziano che dietro al nostro bisogno di rimanere legati al passato c’è uno scopo deliberato. In sostanza non è vero che non riusciamo a liberarci dai nostri ricordi dolorosi, per esempio dai nostri rimpianti per qualcosa di bello che è ineluttabilmente svanito, o dai nostri rimorsi per quello che non abbiamo fatto, o dalla rabbia per gli affronti che abbiamo subito. Il nostro attaccamento al passato è deliberato. E’ una strategia che l’ego dentro la nostra mente vuole mantenere in atto per attuare due importanti meccanismi di difesa congiunti: negare l’esperienza dolorosissima della nostra presunta separazione da Dio (la minuscola folle idea, T.27.VIII.6:2) e proiettarla su qualcosa che viene percepito come esterno a noi, in modo da attribuirgliene la causa. Questi due meccanismi sono contemporanei e si alimentano a vicenda: la negazione si attua mediante la proiezione, e la proiezione mantiene la negazione. In questo modo il nostro ego ottiene il suo scopo: mantenere l’illusione della separazione senza sperimentarne la colpa relativa, che viene attribuita a qualcosa percepito come esterno alla nostra mente. Questo è lo scopo per cui vogliamo mantenere dentro la nostra mente l’illusione che il passato non sia svanito e continui a tormentarci.

Perché vorresti attaccarti ad essa (la colpa) con il ricordo se non ne desiderassi gli effetti? Ricordare è selettivo come la percezione, essendo il suo tempo passato. E’ la percezione del passato come se stesse accadendo ora e fosse ancora lì da vedere. 
(T.28.I.2:4-6)

-184-

E’ per mezzo di queste strane ed indistinte figure che i folli si relazionano al loro mondo folle. Perché vedono soltanto coloro che ricordano loro queste immagini ed è con esse che si relazionano. Così essi comunicano con coloro che non ci sono e sono questi che rispondono loro. E nessuno ode la loro risposta salvo colui che li ha invocati, e solo lui crede che gli abbiano risposto. La percezione nasce dalla proiezione, e tu non puoi vedere al di là di essa. Hai attaccato tuo fratello in continuazione perché hai visto in lui una figura indistinta nel tuo modo privato. E ne deriva che devi attaccare te stesso per primo, poiché ciò che attacchi non è negli altri. La sua sola realtà è nella tua mente e, attaccando gli altri, stai letteralmente attaccando ciò che non esiste. 
(T.13.V.3)

Il corso ci dà un’immagine veramente desolante dello stato di alienazione- una vera e propria follia- nella quale ci troviamo tutte le volte che diamo retta all’ego dentro la nostra mente.
Ma perché vogliamo continuare a vedere ciò che non c’è, e vogliamo credere di relazionarci con esso?
Perché questo ci permette di mantenere l’illusione della separazione senza sperimentarne la colpa – ed il cocente dolore ad essa collegato- all’interno della nostra mente, perché la responsabilità verrà attribuita a qualcosa o qualcuno che verrà percepito come esterno alla mente stessa.
La dinamica è la seguente: l’ego ci convince dapprima di esserci separati da Dio (questa è la credenza nella cosiddetta “minuscola folle idea” T.27.VIII.6:2) e poi – di fronte al terribile dolore che ne consegue, il senso di colpa - ci spinge ad attribuire la responsabilità di tale dolore a qualcosa di esterno a noi. A questo punto il nostro dolore sembrerà causato dagli altri, e non dalla nostra scelta di crederci separati da Dio.
Questo è il meccanismo della proiezione, che ci porterà ad un vero e proprio stato di allucinazione: percepire gli altri come causa dei nostri turbamenti. 
Questo meccanismo viene costantemente ripetuto, finché si instaura un vero e proprio circolo vizioso in cui i presunti affronti passati (presunti perché a loro volta sono stati generati dal medesimo meccanismo di proiezione) vengono proiettati su qualche evento esterno, che viene pertanto considerato la causa del nostro dolore presente. In questo modo l’ego mantiene sia l’illusione della sua continuità che la sua presa su di noi.

-185-

Fin dalle sue prime lezioni il libro degli esercizi ci invita a portare la nostra attenzione all’uso che facciamo del tempo. Ci propone una serie di 5 lezioni (dalla quinta alla nona) in cui ci aiuta a guardare i nostri pensieri in modo da renderci conto del fatto che la nostra percezione, quando ascoltiamo l’ego dentro la nostra mente, è unicamente basata sul passato, e che questa è la vera causa del nostro dolore, e quindi dei nostri turbamenti.
La serie inizia con la frase “Non sono mai turbato per la ragione che penso”, che ci invita a mettere in discussione il rapporto di causa-effetto che noi normalmente consideriamo oggettivo: siamo arrabbiati perché qualcuno ci ha fatto arrabbiare, o siamo tristi perché è successo qualcosa che ci rattrista, e così via.
Quale sia la vera causa del turbamento viene spiegato nella lezione successiva “Io sono turbato perché vedo qualcosa che non c’è”. In altri termini sto vedendo una cosa che non esiste, ma che io voglio vedere allo scopo di attribuire ad essa la causa del mio turbamento. E cos’è questa cosa che non esiste ma che io voglio vedere? Ce lo svela la lezione 7: “Io vedo solo il passato”.
Seguendo la logica di queste 3 lezioni, il corso ci porta a considerare i nostri turbamenti in modo nuovo. Non siamo turbati per un qualche fatto oggettivo avvenuto, ma perché vogliamo attribuire a tale fatto oggettivo una funzione di causalità e questo ci porta a distorcere le cose, vedendo in esse qualcosa che non c’è e che deriva dalle ombre del passato che portiamo dentro la nostra mente e che non vogliamo lasciare andare.
Per esempio noi crediamo di essere arrabbiati per il tradimento di un amico. Il corso ci propone una diversa interpretazione: non siamo arrabbiati per la ragione che pensiamo, ossia per il tradimento -vero o presunto- dell’amico (lezione 5), ma perché vogliamo vedere nel suo comportamento qualcosa che non c’è, ossia il passato (lezioni 6 e 7). E cos’è questo passato che non c’è? Forse un qualche tradimento di cui abbiamo sofferto in passato, ma a monte di esso l’errata credenza di esserci separati da Dio, e quindi di averLo tradito.
In sostanza accusiamo il nostro amico proprio di quello stesso tradimento di cui ci accusiamo. E attraverso il dolore che crederemo provenga da lui, ci dimenticheremo del dolore che proviene solo e soltanto dalla nostra mente e che solo noi stiamo causando a noi stessi.
Questa è la vera ragione, secondo il corso, per cui vogliamo soffrire per il tradimento di quell’amico: non per quello che lui ci ha effettivamente fatto, ma per non sperimentare (e quindi negare) il dolore di un tradimento ben più grave e doloroso di cui ci accusiamo: il tradimento nei confronti di Dio.
In questo modo manteniamo la credenza nella separazione da Dio dandogli un altro nome, e non ce ne rendiamo più conto.
Questo è il piano dell’ego per mantenerci incatenati all’illusione e al dolore.

-186-

Non sono mai turbato per la ragione che penso io.
Io sono turbato perché vedo qualcosa che non c’è.
Io vedo solo il passato.
(L.pI.5-7)

Le lezioni 5-8 del libro degli esercizi ci propongono un diverso modo di percepire la causa dei nostri turbamenti e l’uso che facciamo del tempo.
Come abbiamo visto nello spunto della settimana scorsa non siamo mai turbati per la ragione che pensiamo (lezione 5), ma perché vediamo qualcosa che non c’è (lezione 6), ossia il passato (lezione 7).
Così per esempio noi crediamo di essere tristi perché qualcuno ci ha abbandonati. Il corso ci propone invece un flusso di pensieri che ci porta a delle conclusioni completamente diverse: non siamo tristi per l’abbandono (vero o presunto) di un altro, ma perché in questo abbandono vogliamo vedere qualcosa che non c’è, ossia un passato metafisico: l’errata credenza di esserci separati da Dio e quindi di averLo abbandonato.
Quindi accusiamo un altro proprio di quell’abbandono di cui segretamente ci autoaccusiamo. E il dolore che crediamo derivi dall’abbandono dell’altro ci servirà a non sperimentare proprio quel dolore terribile determinato dall’idea di aver abbandonato Dio, che proviene solo e soltanto dalla nostra mente e di cui solo noi siamo la causa.
Il meccanismo di proiezione ci serve proprio a questo scopo, a non percepire la nostra angoscia metafisica, credendo invece che tutto il nostro dolore sia causato da fatti contingenti ed indipendenti dalla nostra volontà. In altri termini il meccanismo di proiezione serve a mantenere in atto il meccanismo di negazione. A questo punto cadiamo totalmente nella trappola che l’ego ci ha teso e crederemo veramente di essere turbati per questi fatti contingenti ed esterni a noi.
L’ego ci spingerà a ripetere continuamente questo duplice meccanismo di proiezione/negazione, allo scopo di liberarci del nostro dolore metafisico, e la nostra mente si popolerà di ombre del passato, ossia di figure che noi crederemo essere causa del nostro dolore e che ci serviranno ad attuare successivi giochi di proiezione e negazione sempre più raffinati. Questo è quanto viene sintetizzato nella lezione 8 :

La mia mente è preoccupata da pensieri del passato
(L.pI.8)

-187-

Avendo proiettato la propria rabbia sul mondo, (chiunque serbi nella propria mente pensieri di attacco) vede che la vendetta sta per colpirlo. Il suo stesso attacco è così percepito come autodifesa. Questo diventa un circolo sempre più vizioso, finché egli è disposto a cambiare il proprio modo di vedere. Altrimenti saranno pensieri di attacco e contrattacco a preoccupare la sua mente e a popolare tutto il suo mondo. Quale pace mentale gli sarà quindi possibile avere?
(L.pI.22.1:2-6)

Sotto la guida dell’ego dentro la nostra mente cerchiamo costantemente di proiettare sul mondo esterno la nostra rabbia di matrice metafisica, che deriva dalla credenza errata di esserci separati da Dio. E lo facciamo per non sperimentare il dolore cocente che deriva del senso di colpa per tale presunta separazione, tentando di attribuirne la causa a fattori contingenti ed esterni a noi. In sostanza il meccanismo di proiezione serve a mantenere la negazione dentro la nostra mente.
Questo meccanismo di proiezione/negazione diviene un circolo vizioso sempre più pressante, in cui la nostra mente è popolata da pensieri di attacco e contrattacco, e non riusciamo più a pensare ad altro. Questo è un piano deliberato che l’ego attua dentro la nostra mente per preservare sé stesso, ossia per mantenere immutata la credenza di esserci separati da Dio. Se noi non ci rendiamo conto del fatto che tutto il nostro dolore è causato da essa (negazione), e crederemo invece che sia causato da fatti esterni e contingenti (proiezione), non potremo mai assumercene la responsabilità e lasciarla andare.
Quindi l’ego ci spinge in una vera e propria catena di relazioni speciali che vivono solo dentro la nostra mente, formate dai nostri meccanismi di negazione e proiezione e basate sulle ombre del passato che serbiamo accuratamente in memoria affinché occupino incessantemente il nostro spazio mentale.

Il suo consiglio, quindi, è che se lo ospiti ti metterà in grado di dirigere la tua rabbia all’esterno e così sarai protetto. E così si imbarca in una catena infinita ed insoddisfacente di relazioni speciali, forgiate dalla rabbia e dedite ad un’unica folle credenza che più rabbia investi al di fuori di te, più sarai al sicuro. E’ questa catena che lega il Figlio di Dio alla colpa.... 
(T.15.VII.4:5-6,5:1)

-188-

Come abbiamo visto molte volte il corso non è scritto a noi in quanto persone, ma al Decision Maker, ossia al nostro libero arbitrio, alla nostra capacità decisionale di scegliere quale delle due voci (ce ne sono solo due) vogliamo ascoltare dentro la nostra mente: l’ego o lo Spirito Santo. (cliccare qui per leggere gli spunti 54-72 sul DM). Pertanto, quando il corso parla di difesa ed autodifesa non allude mai ad alcunché di fisico o comportamentale. Si riferisce invece ai meccanismi mentali di negazione e di proiezione -i meccanismi difensivi dell’ego- che permettono all’ego di mantenersi indisturbato dentro la nostra mente.
Grazie a questi meccanismi non solo non siamo più consapevoli del fatto che il nostro solo ed unico problema è l’errata credenza di esserci separati da Dio (questa è la negazione); ma attribuiremo il dolore conseguente a tale presunta separazione ad una miriade di cause esterne alla nostra mente (e questa è la proiezione) invece che all’unica causa effettiva: la nostra volontà.
Tuttavia queste difese, che sono talmente radicate nella nostra mente da essere diventate una vera e propria abitudine, di difensivo hanno solo il nome. In realtà sono delle vere e proprie armi a doppio taglio, che ognuno di noi brandisce scioccamente proprio contro sé stesso. Infatti ci mantengono in uno stato di allucinazione costante, abbrutendoci e trasformando la nostra mente in un campo di battaglia in cui si agitano costanti pensieri di attacco e contrattacco.

Avendo proiettato la propria rabbia sul mondo, (chiunque serbi nella propria mente pensieri di attacco) vede che la vendetta sta per colpirlo. Il suo stesso attacco è così percepito come autodifesa. Questo diventa un circolo sempre più vizioso, finché egli è disposto a cambiare il proprio modo di vedere. Altrimenti saranno pensieri di attacco e contrattacco a preoccupare la sua mente e a popolare tutto il suo mondo. Quale pace mentale gli sarà quindi possibile avere? 
(L.pI.22.1:2-6)

Molte delle lezioni del libro degli esercizi espongono la natura autodistruttiva di queste difese, ma è soprattutto nella lezione 135, dove siamo invitati con grande forza a metterle in discussione, che tutta la loro natura paurosa viene descritta in dettaglio.

La difesa fa paura. Deriva dalla paura, e la aumenta man mano che ciascuna difesa viene fatta. Tu pensi che offra sicurezza. Eppure parla di paura resa reale e di terrore giustificato. Man mano che elabori i tuoi piani, rendi più spessa la tua armatura e chiudi più ermeticamente le tue serrature, non è strano che non ti soffermi a chiederti cosa difendi, come, e contro che cosa? 
(L.pI.135.3)

-189-

..questo è il tempo della Pasqua della tua salvezza. E tu risorgi da ciò che sembrava morte e disperazione. Ora la luce della speranza è rinata in te, perché ora vieni senza difese, per imparare la parte riservata a te nel piano di Dio. Quali piccoli piani o credenze magiche potranno ancora avere valore, quando avrai ricevuto la tua funzione dalla Voce che parla per Dio stesso? 
(L.135.25:3-6)

Per comprendere questo paragrafo, che unisce il tema della follia delle difese (ricordiamoci che la parola “difese” nel corso si riferisce ai meccanismi mentali della negazione e della proiezione) a quello della Pasqua, dobbiamo ricordare che il corso usa parole di uso corrente dandogli un suo significato particolare. (per leggere dal Glossario di Kenneth il significato delle parole Pasqua e Resurrezione cliccare qui)
La Pasqua nel corso simboleggia il perdono completo, il momento in cui l’ego viene integralmente trasceso nella nostra mente e noi – grazie alla nostra scelta definitiva di guardare senza giudizio al nostro modo sbagliato di pensare - sperimentiamo il mondo reale, un modo di pensare totalmente libero dalla colpa e dall’ansia, dal dolore e dalla paura, dalla tristezza e dalla specialezza: libero in sostanza da tutto ciò che il corso definisce semplicemente “morte”. (L.pI.163.1). La Pasqua in sostanza è il risveglio definitivo dal sogno della morte, risveglio che ci consente di identificarci completamente con il nostro vero Sé.
Con il bel paragrafo della lezione 135 citato all’inizio, che è stato trascritto da Helen Schucman proprio durante un periodo pasquale, il corso sembra dunque usare la Pasqua per invitarci a compiere una volta per tutte la decisione di mettere in discussione il nostro ego, risvegliandoci dallo stato di abbrutimento in cui esso ci imprigiona, e risorgendo quindi da quella morte dormiente che noi chiamiamo solitamente vita.

Tocca a te scegliere tra una morte dormiente e sogni di malvagità,
o un lieto risveglio e gioia nella vita. 
(T.27.VII.9:4)

E qual è il consiglio che ci dà per risorgere “da ciò che sembrava morte e disperazione” (L.pII.135.25:4)? Ci suggerisce di abbandonare le nostre difese, ossia - come ho cercato di sottolineare nelle riflessioni delle ultime settimane (spunti 187- 188, cliccare qui) - di consapevolizzare i nostri meccanismi di negazione e proiezione cominciando a metterli in discussione.
Forse in questa Pasqua non saremo ancora in grado di “risorgere” completamente – come Gesù- dal sogno di morte al quale l’ego ci ha incatenati dentro la nostra mente. Ma se proviamo a guardare senza giudizio né colpa le nostre proiezioni, se cominciamo a mettere in discussione la nostra abitudine costante di ricorrere alle difese per proteggerci da una paura inesistente, se ci apriamo alla possibilità che le cose stiano diversamente da come noi le percepiamo, se- in una parola- siamo disposti a perdonare gli altri per quello che NON è accaduto (L.pII.1.1:1), allora faremo sicuramente un “passo gigantesco” lungo la strada della libertà e della pace interiore. E tutto il mondo lo farà con noi, perché la mente è una.

Cerca di non modellare questo giorno nel modo in cui credi ti beneficerebbe maggiormente. Perché non puoi immaginare tutta la felicità che ti verrà senza la tua pianificazione. Oggi impara. E tutto il mondo farà questo passo gigantesco, e celebrerà con te la tua Pasqua. Per tutto il giorno, quando piccole sciocchezze si presenteranno per provocare in te un atteggiamento di difesa e ti tenteranno ad impegnarti in piani tortuosi, ricordati che questo è un giorno speciale per imparare, e riconoscilo con questo: Questa è la mia Pasqua. E voglio mantenerla santa. Non mi difenderò, perché il Figlio di Dio non ha bisogno di difese contro la verità della sua realtà. 
(L.pI.135.26)

-190-

Non sono mai turbato per la ragione che penso io.
Io sono turbato perché vedo qualcosa che non c’è.
Io vedo solo il passato.
La mia mente è preoccupata da pensieri del passato.
Io non vedo nulla com’è adesso.
(L.pI.5-9)

Dopo la breve parentesi pasquale, riprendiamo il tema delle ombre del passato su cui ci stiamo concentrando da inizio anno (gli spunti relativi, dal 178 al 185). Rileggiamo ancora una volta tutta la serie di cinque lezioni che per la prima volta all’interno del libro degli esercizi ci fa riflettere sulla vera natura dei nostri turbamenti, e ci propone un diverso modo di percepirli. Queste lezioni sostengono che il nostro abituale modo di pensare, in base al quale pensiamo di essere turbati per qualcosa che succede a noi o alle persone con cui in un modo o nell’altro ci identifichiamo, è errato.
Al contrario, la causa del nostro turbamento proviene solo e solamente da noi, ossia dal fatto che proiettiamo sugli eventi qualcosa che non esiste e che deriva da un passato molto, molto lontano, che abbiamo totalmente dimenticato: l’errata credenza di esserci separati da Dio (la cosiddetta “minuscola folle idea” T.27.VIII.6:2-3). Così, per esempio, non siamo tristi per una perdita subita, ma per il bisogno di percepire l’evento che ci è capitato come una perdita, allo scopo di sentirci vittime e quindi di “scontare” almeno in parte la terribile (ma inesistente) colpa commessa separandoci da Dio. E non abbiamo paura a causa di una diagnosi medica negativa, ma a causa del fatto che proiettiamo su tale diagnosi l’aspettativa della punizione per la medesima – ma solamente presunta - colpa commessa. E infine non siamo arrabbiati per un torto che ci è stato fatto, ma perché abbiamo bisogno di percepire quanto ci è stato fatto come torto, perché questo ci permette di sentirci oltraggiati e quindi vittime e di sperimentare la colpa come esterna a noi.
Questo ci porta ad intasare la nostra mente di pensieri concatenati fra di loro in una serie interminabile ed insoddisfacente di relazioni che proietteremo costantemente al di fuori della nostra mente, credendole oggettive. Crederemo in sostanza di essere in relazione con delle persone o degli eventi, mentre saremo sempre e soltanto in relazione con delle catene di pensieri che sono correlati fra di loro in circoli viziosi, che si trovano soltanto dentro la nostra mente, e che sono tutti riconducibili ad un unico problema totalmente negato: la credenza nella separazione da Dio.

Tutta questa complessità non è che un disperato tentativo di non riconoscere il problema, e quindi di non permettere che sia risolto.
Se riuscissi a riconoscere che il tuo solo problema è la separazione, indipendentemente dalla forma che assume,
potresti accettare la risposta perché vedresti che è pertinente.
Percependo la costante che sta alla base di tutti i problemi con cui sembri trovarti a confronto, capiresti che hai il mezzo per risolverli tutti. E useresti il mezzo, perché riconosci il problema.
(L.pI.79.6)

Tutti questi problemi non sono altro che pensieri del passato collegati fra di loro, tutti uguali nel contenuto (la costante che sta alla base di tutti i problemi) ma diversi nella forma. E tutti questi pensieri intasano la nostra mente al punto di non riuscire più a vedere ciò che realmente c’è nel momento presente. 
Questo è il piano dell’ego per mantenersi al sicuro dentro la nostra mente, e per mantenerci in uno stato di vera e propria follia.

Ci si può ben chiedere se questo possa mai essere chiamato vedere. Non è forse più adatta la parola fantasia per questo processo, ed allucinazione un termine più appropriato per il suo risultato? 
(L.pI.23.3:3-4)
 

-191-

Proseguiamo la nostra indagine sulle ombre del passato cercando di comprendere qualche elemento in più sulla natura del tempo, così come viene spiegata in Un Corso In Miracoli.
Il Corso dice moltissime cose sul tempo. Possiamo cominciare la nostra indagine andando a leggere la sintesi compiuta da Kenneth Wapnick nel suo Glossario (cliccare qui) .

TEMPO

livello I: parte integrante del mondo illusorio di separazione dell’ego, in contrapposizione con l’eternità che esiste solo in Cielo; mentre il tempo sembra essere lineare, è tutto contenuto in un minuscolo istante che è già stato corretto e disfatto dallo Spirito Santo ed in verità non è mai accaduto.
livello II:
mente sbagliata: mezzo per mantenere l’ego, preservando i peccati del passato attraverso la colpa proiettata nel futuro dalla paura della punizione, trascurando il presente che è l’approssimazione più vicina all’eternità.
mente corretta: mezzo per disfare l’ego perdonando il passato attraverso l’istante santo, il mezzo dei miracoli; quando il perdono sarà completo, il mondo del tempo avrà soddisfatto lo scopo dello Spirito Santo e semplicemente scomparirà.


Come ho brevemente accennato nei primi spunti (per rileggerli cliccare qui) il Corso è scritto a molti livelli, riconducibili essenzialmente a due: il primo livello (non dualistico) che tratta il rapporto tra la Realtà dell’Uno e l’illusione dualistica in cui noi crediamo di esistere; ed il secondo livello che raffronta fra di loro le due percezioni -sbagliata e corretta- di tale illusione dualistica. Gli stessi concetti avranno un significato diverso nei due livelli, e quindi una stessa parola – a seconda del livello di scrittura in cui è inserita- potrà simboleggiare due esperienze interiori addirittura antitetiche.
Nel primo livello il tempo è un’illusione, perché solo l’eternità esiste. In questo primo livello quindi il tempo non viene preso in considerazione se non per ribadirne la totale inesistenza.
Nel secondo livello (in cui l’illusione non viene ignorata, ma temporaneamente considerata per poter essere trascesa), il tempo diventa un importante aspetto da perdonare, perché può essere percepito in modo sbagliato o corretto. Per poter essere perdonata, e quindi corretta, la percezione del tempo deve tuttavia essere consapevolizzata. In altri termini dobbiamo comprendere qual è l’uso che l’ego fa del tempo, e di conseguenza qual è l’uso che ne facciamo noi quando diamo retta all’ego dentro la nostra mente.
E’ quello che cercheremo di fare nei prossimi spunti.

-192-

Come abbiamo visto la scorsa settimana la parola “tempo” ha nel corso un significato totalmente diverso se si riferisce al primo livello di scrittura e di comprensione del Corso, o al secondo livello. Ricordando che il secondo livello, e non il primo, è quello da tenere in considerazione per poter attuare il processo di perdono o correzione, andiamo a rileggere nel Glossario di Kenneth il significato della parola “tempo” nel secondo livello (cliccare qui) .

TEMPO

livello I: parte integrante del mondo illusorio di separazione dell’ego, in contrapposizione con l’eternità che esiste solo in Cielo; mentre il tempo sembra essere lineare, è tutto contenuto in un minuscolo istante che è già stato corretto e disfatto dallo Spirito Santo ed in verità non è mai accaduto.
livello II:
mente sbagliata: mezzo per mantenere l’ego, preservando i peccati del passato attraverso la colpa proiettata nel futuro dalla paura della punizione, trascurando il presente che è l’approssimazione più vicina all’eternità.
mente corretta: mezzo per disfare l’ego perdonando il passato attraverso l’istante santo, il mezzo dei miracoli; quando il perdono sarà completo, il mondo del tempo avrà soddisfatto lo scopo dello Spirito Santo e semplicemente scomparirà.


Dunque nel secondo livello il tempo viene usato in modo antitetico dall’ego e dallo Spirito Santo attraverso i due sistemi di pensiero che sembrano popolare la nostra mente. Nella mente sbagliata il tempo non è altro se non un mezzo per mantenere l’illusione della colpa dentro la mente. Questo concetto è sintetizzato in una frase che troviamo nel 5° capitolo del testo:

I sensi di colpa sono i preservatori del tempo .
(T.5.VI.2:1)

Perché la colpa preserva il tempo? Perché mantiene nella nostra mente il legame tra il passato ed il futuro. Non potremmo sentirci in colpa e temere la punizione futura se non ci riferissimo a qualcosa che abbiamo fatto o abbiamo omesso di fare nel passato. E allo stesso modo non potremmo incolpare gli altri e auspicare la loro punizione futura se non li accusassimo di qualcosa che hanno fatto o hanno omesso di fare nel passato.
Tuttavia nella mente corretta il tempo diviene proprio lo strumento per disfare sia l’ego che il tempo stesso. Infatti il perdono lascia andare la colpa, e in contemporanea disfa il collegamento che l’ego -allo scopo di perpetuare sé stesso - ha instaurato nella nostra mente tra il passato ed il futuro.

-193-

I sensi di colpa sono i preservatori del tempo. Essi inducono paure di rappresaglia o di abbandono e così assicurano che il futuro sarà come il passato. 
(T.5.VI.2:1-2)

Nelle scorse settimane (cliccare qui) abbiamo visto che l’ego usa la colpa per mantenere dentro la nostra mente l’illusione del tempo. Infatti se oggi mi sento in colpa perché ieri ho dimenticato un appuntamento con un amico, sto collegando nella mia mente il momento presente, in cui mi sento in colpa, al momento passato, in cui è avvenuto l’evento di cui mi accuso.
Tuttavia l’ego non si limita solo a collegare il passato al presente. Dato che per definizione la colpa richiede punizione (T.19.II.1:6), l’aspettativa di tale punizione nel futuro instaura un ulteriore collegamento temporale, quello tra il momento passato ed il futuro. In altri termini la colpa presente mette in collegamento il momento passato, quello in cui è avvenuto l’evento, al momento futuro, in cui temo da parte dell’amico una rappresaglia (potrebbe comportarsi con me allo stesso modo) o un abbandono (potrebbe non invitarmi più).
In questo modo l’ego dentro la mia mente renderà il futuro uguale al passato. Forse non nella forma, in quanto nel futuro potranno verificarsi eventi diversi da quelli che si sono verificati nel passato, ma sicuramente nel contenuto, perché entrambi rientreranno nella logica colpevolizzante del sistema di pensiero dell’ego e lo manterranno immutato dentro la mia mente.

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I sensi di colpa sono i preservatori del tempo. Essi inducono paure di rappresaglia o di abbandono e così assicurano che il futuro sarà come il passato. Questa è la continuità dell’ego. 
(T.5.VI.2:1-3)

La definizione di tempo che troviamo in Un Corso in Miracoli è veramente singolare: l’illusione della continuità temporale dell’ego viene mantenuta in essere nella nostra mente mediante la colpa. 
Se per esempio accuso un partner di aver tradito la mia fiducia sto ospitando nella mia mente l’idea della colpa, che ovviamente non attribuirò a me stessa ma al mio partner, visto che percepisco il suo comportamento come se fosse un tradimento nei miei confronti. Quindi, pur attribuendo la colpa ad un comportamento altrui avvenuto nel passato, di fatto continuerò a sperimentarne l’esistenza dentro la mia mente nel momento presente sotto forma di rabbia. 
Grazie alla colpa collego dunque fra di loro il presente ed il passato come se fossero continui. In altri termini la rabbia (cioè la proiezione di colpa) che abita la mia mente nel momento presente mi permette di instaurare un collegamento causale tra il passato ed il presente, come se il passato fosse la causa del presente. 
Tuttavia l’accusa che sto rivolgendo al mio partner instaura anche un altro collegamento temporale: quello tra il passato ed il futuro. Infatti le mie accuse metteranno in moto nella mia mente un circolo vizioso colpa attacco, che mi farà percepire gli eventi successivi come se fossero punitivi, basati sulla rappresaglia o sull’abbandono: per esempio, dato che nella mia mente collego ormai il mio partner al tradimento, avrò paura che anche in futuro possa tradire la mia fiducia o abbandonarmi, e sarò incline ad interpretare qualunque suo comportamento in tal senso. 
La colpa che ospito nella mia mente mi permette dunque di collegare un passato percepito come colpevole ad un futuro percepito come pauroso. Guidata dall’ego sto letteralmente “inventando” il tempo dell’ego attraverso un espediente molto semplice: mantenendo nella mia mente l’idea della colpa nelle sue varie forme. 
Questo è il modo in cui l’ego ci offre l’illusione della sua continuità.

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I sensi di colpa sono i preservatori del tempo.
(T.5.VI.2:1)

Abbiamo visto nelle scorse settimane come l’ego usi la colpa con uno scopo ben preciso: mantenere dentro la nostra mente l’illusione del tempo. Infatti se sperimentiamo sentimenti di colpa nel momento presente vuol dire che stiamo giudicando un evento passato come peccaminoso. E proprio la colpa -o la rabbia ad essa collegata- che proviamo ora ci farà temere un futuro punitivo. La colpa collega dunque il passato al futuro come se fossero continui, e anche se la forma degli eventi potrà essere completamente diversa, quello che rimarrà immutato sarà il contenuto di colpa dell’ego.
E’ possibile non sperimentare la colpa nel momento presente? Ovviamente sì, ed il perdono attua proprio questo miracolo: sganciando gli eventi dal contenuto di colpa, ne modifica la percezione in modo da lasciar andare la colpa che avevamo proiettato su di essi.
Ma come si fa a non sperimentare colpa quando un evento passato sembra averci colpito in modo devastante?
Ricordiamo innanzi tutto che possiamo sperimentare colpa in due modi: sentendoci in colpa o accusando un altro di colpa. In entrambi i casi la colpa occupa il nostro spazio mentale ed instaura la continuità temporale dell’ego.
Come si fa dunque a non sentirsi in colpa quando abbiamo gravemente ferito qualcuno? Come si fa a non accusare qualcuno di colpa quando ha veramente compiuto un’azione volutamente aggressiva nei nostri confronti, o nei confronti delle persone che ci sono care?
Il Corso ci aiuta nel processo ricordandoci di distinguere il peccato dall’ errore. Non ci invita minimamente a negare gli eventi avvenuti, ma ci suggerisce di imparare a perdonarli vedendo in essi un errore invece che un peccato.

Il peccato richiede la punizione come l’errore la correzione
e il credere che la punizione sia la correzione, è chiaramente una follia. 
(T.19.II.1:6)

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Il peccato richiede la punizione come l’errore la correzione e il credere che la punizione sia la correzione, è chiaramente una follia.
(T.19.II.1:6)

Abbiamo visto negli spunti precedenti che il Corso ci aiuta a distinguere il peccato dall’errore. 
Il peccato è la percezione colpevolizzante dell’errore. L’errore è la percezione non colpevolizzante del peccato. Non è una differenza da poco, perché il superamento del peccato implica la punizione, mentre il superamento dell’errore richiede la correzione.
La punizione è il modo per mantenere la colpa dando l’illusione di estirparla. La correzione invece non mantiene nella mente il sistema di pensiero dell’ego, ma instaura quello dello Spirito Santo, Che è per definizione il principio di correzione:

Lo Spirito Santo….. è il grande principio di correzione: il portatore della vera percezione, il potere intrinseco della visione di Cristo 
(C.6.3:4)

Il perdono è un processo molto profondo e può richiedere una lunga elaborazione, che a volte può durare tutta la vita. E sicuramente abbiamo bisogno dell’aiuto dello Spirito Santo dentro la nostra mente per poterlo sperimentare con successo. Tuttavia, se vogliamo possiamo farcela perché siamo noi a decidere quali emozioni vogliamo ospitare dentro la nostra mente e quale voce o Voce vogliamo seguire: l’ego o lo Spirito Santo.
Se seguiamo le indicazioni dell’ego, e scegliamo di vedere il peccato in un evento, allora sperimenteremo la colpa nel momento presente, e la paura del futuro. L’ego avrà instaurato una sua continuità temporale dal passato al futuro in cui non avverrà alcun mutamento sostanziale, perché la paura della punizione futura manterrà nella mente la credenza nel peccato.
Se invece seguiamo le indicazioni dello Spirito Santo e scegliamo di vedere nello stesso evento un errore, allora sperimenteremo la pace del perdono nel momento presente, e non vivremo più il futuro come se fosse la temibile conseguenza del passato, perché il presente si estenderà nel futuro e lo libererà.

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Puoi restare attaccato al passato solo per mezzo della colpa. 
Poiché la colpa stabilisce che sarai punito per quello che hai fatto, e così dipende dal tempo unidimensionale, poiché procede dal passato al futuro.
(T.13.I.8:2-3)
Questa è la continuità dell’ego. 
(T.5.VI.2:2)

Nelle scorse newsletters abbiamo visto come la colpa ci lega al passato ed al futuro e come questo mantiene dentro la nostra mente l’illusione della continuità temporale dell’ego.
Ma c’è ancora un punto che dobbiamo tenere presente per comprendere appieno questa continuità. E’ un punto che abbiamo affrontato a lungo negli spunti precedenti (cliccare qui).
Tutte le volte che formuliamo accuse, giudizi d’attacco e condanne nei confronti di altri o di noi stessi, stiamo mettendo in atto le due fondamentali difese dell’ego: la negazione e la proiezione. Stiamo in sostanza negando che proviamo un devastante senso di colpa dovuto alla nostra presunta separazione da Dio e poi –per rendere più efficace la negazione- proiettiamo questo senso di colpa primario su qualunque evento esterno alla nostra mente, evento che percepiamo come colpevole.
L’evento esterno alla nostra mente può essere stato compiuto sia da noi che da qualcun altro; in entrambi i casi sarà esterno a chi siamo veramente: una mente che sceglie quale voce ascoltare. Nel primo caso ci sperimenteremo come se il peccato fosse stato compiuto da noi, mentre nel secondo caso sperimenteremo che il peccato sia stato compiuto da un altro.
In entrambi i casi la colpa che vediamo all’esterno della mente ci servirà a negare la presenza del presunto peccato metafisico interno alla mente, di cui tutti ci accusiamo (la cosiddetta minuscola folle idea: T.27.VIII.6:2-3). E avendolo negato a questo punto non ne faremo più esperienza cosciente. Quindi crederemo veramente di sperimentare migliaia di problemi nel mondo quando invece ne stiamo soltanto nascondendo uno – che oltretutto è inesistente- dentro la mente. 
Crederemo in sostanza di vivere una vita ricca di eventi diversi, e potrà anche apparire così nella forma. Tuttavia se questi eventi saranno percepiti in modo sbagliato, seguendo il suggerimento dell’ego che ci spinge a vedere in essi la colpa, non faremo altro che portare avanti un unico contenuto sempre uguale e sempre doloroso. Saremo caduti in un vero e proprio stato di allucinazione grazie al quale non ci accorgeremo di aver dato innumerevoli forme ed innumerevoli nomi all’ego garantendone la continuità. E se non sarà intervenuta la miracolosa guarigione del perdono tutti i nostri tentativi di migliorare il nostro futuro non faranno altro che rinnovare dolorosamente il contenuto del passato.

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Il tempo sembra andare in una direzione, ma quando raggiungerai la sua fine, si arrotolerà come un lungo tappeto steso lungo il passato dietro di te e scomparirà. Fintantoché crederai che il Figlio di Dio sia colpevole camminerai lungo questo tappeto, credendo che esso conduca alla morte. E il viaggio sembrerà lungo, crudele e senza senso, perché così è. 
(T.13.I.3:5-7)

In questo celebre passaggio del Testo, che descrive il tempo come se fosse un tappeto, il Corso mette insieme il concetto di tempo lineare con quello di colpa e stabilisce un forte collegamento fra di loro: se c’è colpa c’è la percezione della linearità del tempo, e se c’è percezione della linearità del tempo c’è colpa.
Non dimentichiamo che secondo il Corso la nostra percezione che il tempo esista è dovuta al nostro stato di allucinazione: il tempo non c’è perché solo l’eternità è reale. (per la definizione di tempo nel primo livello, rileggiamo la sintesi compiuta da Ken nel suo glossario. Cliccare qui)
Dunque non solo - come abbiamo visto negli spunti precedenti- l’illusione della colpa mantiene l’illusione della continuità temporale, ma è anche vero il contrario: l’illusione della continuità temporale mantiene l’illusorietà della colpa.
Abbiamo visto per alcune settimane come il provare rancore, il condannare gli altri, l’attaccare sé stessi prolunga l’esperienza dell’ego dentro la nostra mente, perché lo proietta dal passato al futuro in un continuum temporale, proprio come avviene ad un tappeto, che srotolandosi si allunga.
Il brano odierno ci mostra come sia vero anche il contrario: se porteremo costantemente la nostra attenzione al passato o al futuro, e non riusciremo a rimanere consapevoli del miracolo del perdono nel momento presente, allora resteremo imprigionati nelle molte forme che assume il sistema di pensiero dell’ego –attacco, rimpianto, rabbia, senso di colpa, paura, aspettativa, ecc.- e queste forme manterranno dentro la nostra mente la colpa dandole molti nomi diversi.
Ed entrambi -sia la colpa che il tempo- ci manterranno strettamente nella morsa dell’ego.

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L’ego ha una strana nozione del tempo e potresti benissimo cominciare a metterlo in dubbio partendo da questa nozione. L’ego investe pesantemente nel passato e alla fine crede che il passato sia il solo aspetto significativo del tempo. 
(T.13.IV.4:1-2)

L’ego ha un forte investimento nel passato, perché questo investimento gli permette di raggiungere un importante obiettivo: ci impedisce di rimanere in tempo presente. Ascoltando la sua voce dentro la nostra mente passeremo tutto il nostro tempo a ricordare i torti subiti, le colpe commesse, le felicità perdute. A noi potrà anche sembrare che questo dipenda dall’intensità degli eventi di cui siamo stati protagonisti o spettatori, ma secondo il Corso non è così. Questo attaccamento al passato non è indipendente dalla nostra volontà, anzi noi lo scegliamo volutamente, perché in questo modo non ci assumiamo la responsabilità di scegliere la pace, responsabilità che possiamo esercitare solo nel presente, in quell’istante che il Corso definisce “istante santo”.

La guarigione non può essere compiuta nel passato. 
Deve essere compiuta nel presente per dare via libera al futuro 
(T.13.IV.9:3-4)

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L’ego ha una strana nozione del tempo e potresti benissimo cominciare a metterlo in dubbio partendo da questa nozione. L’ego investe pesantemente nel passato e alla fine crede che il passato sia il solo aspetto significativo del tempo. Ricorda che la sua enfasi sulla colpa lo mette in grado di assicurarsi la sua continuità rendendo il futuro come il passato e così evitando il presente. Con la nozione di pagare nel futuro per il passato, il passato diventa ciò che determina il futuro, rendendoli continui senza l’intervento del presente. Poiché l’ego considera il presente come una breve transizione verso il futuro, nella quale porta il passato nel futuro interpretando il presente nei termini del passato. 
(T.13.IV.4)

L’attaccamento al passato è un piano deliberato che l’ego attua dentro la nostra mente, e che noi scegliamo di seguire tutte le volte che diamo retta all’ego.
Questo piano prevede di legare strettamente il passato al futuro senza che fra di loro intervenga la liberazione che può avvenire solo nel momento presente. Se guardiamo attentamente i nostri pensieri, ci renderemo conto che tutte le volte che siamo presi da un qualche turbamento (paura, rabbia, tristezza, colpa, esaltazione, specialezza, desiderio) stiamo ricordando con rimpianto o colpa un qualche evento passato, oppure stiamo alimentando la speranza che il futuro sia migliore del passato, grazie al fatto che qualcuno (noi o un altro) pagherà per le colpe commesse. Tuttavia come possiamo nutrire una speranza del genere, se non la riferiamo a qualcosa di passato che desideriamo cambiare? Nel sistema di pensiero dell’ego il futuro è soltanto un’appendice del passato, perché in esso proiettiamo proprio l’ombra di un passato non perdonato, che sembrerà assumere la forma (ma soltanto la forma) di un cambiamento.
Il contenuto non cambierà.
Ed è questo il modo in cui l’ego mantiene la sua continuità dentro la nostra mente, facendola passare per cambiamento.