Secondo gli insegnamenti di Kenneth Wapnick

D 1387 Domanda sulla proiezione

 

D #1387: Comprendo la proiezione in generale. Ogni persona che vedo e il modo in cui la vedo nelle sue azioni, parole e opere, ecc., è tutta una mia proiezione perché non c’è nessuno là fuori! Ciò che non mi è chiaro è se io posso essere proiettato. Se non c’è nessuno là fuori questo non può avvenire, giusto?

 

R: Una parte essenziale della nostra difficoltà nel comprendere la proiezione è che riguarda solo la mente fuori dal tempo e dallo spazio e non il sé fisico individuale, l’“io” che ci è familiare. In realtà ci sono solo una sola mente e le dinamiche di quella sola mente che crede di essere separata da Dio. Questo è il livello a cui si applica l’affermazione “non c’è nessuno là fuori”. Di fatto non c’è nessuno “là fuori”, e pertanto nessun “io” o “mio”.

Ora, parte delle dinamiche della separazione implica continua separazione fino al punto in cui, sebbene ci sia ancora solo un’unica mente, sembrano esserci molte menti: la tua e la mia, ecc. Negazione e proiezione sono gli strumenti usati dalla mente per preservare il suo stato di separazione e nascondere la decisione che ha preso di separarsi per paura che la decisione venga ri-considerata e cambiata. Questo significa che è essenziale che la mente continui a proiettare il suo contenuto. In altre parole è essenziale che ci sia un “esterno” o un “fuori” che menti apparentemente individuali percepiscono come reali e responsabili del loro stato. Le forme senza fine d’interazione servono perfettamente questo scopo” (vedi T-15.VII.4).

Come apparenti individui è necessario per la nostra sopravvivenza (in quanto ego) vedere il peccato negli altri (individui, istituzioni, Dio, ecc.). Questa è la natura della nostra proiezione sugli altri: vediamo in essi quello che neghiamo in noi stessi e a quello reagiamo (rabbia giustificata, paura giustificata e così via). A questo livello, all’interno dell’illusione di molte menti individuali, tutti proiettiamo gli uni sugli altri. Nei termini della nostra pratica di perdono, tuttavia, impariamo ad assumerci la responsabilità di tutto ciò di cui facciamo esperienza interiormente (rabbia, paura, ingiustizia, vittimismo, ecc.). Percepiamo ancora che gli altri sono reali e fanno e dicono cose che hanno un effetto su di noi, ma impariamo a distinguere tra ciò che fanno ed il modo in cui reagiamo, e impariamo che le nostre reazioni riflettono l’insegnante interiore che abbiamo scelto di seguire: Gesù o l’ego. Questo è l’inizio della nostra ascesa sulla scala in cima alla quale finalmente trascendiamo ogni senso di sé individuale, accettando l’unica mente come la sola realtà. Ma questo è un processo e noi iniziamo da dove siamo (vedi T-25.I.5-7).

Potete trovare una disamina approfondita di questa parte chiave della teoria del Corso nel libro di Kenneth intitolato The Message of A Course in Miracles, Volume Uno, All Are Called, Capitolo 4, in cui mostra il processo di scissione nell’unica mente mente. Presentazioni più brevi si trovano nel suo Introduzione a Un corso in miracoli, Capitolo 3, e in Forgiveness and Jesus, Capitolo 1.

Non è un argomento facile da comprendere per via del nostro investimento nello sperimentarci come individui, ma non è necessario comprenderlo pienamente per fare progressi nella nostra pratica del perdono. Il focalizzarci principalmente su questo produrrà effettivamente una comprensione più profonda man mano che procediamo.